Spider-Man Homecoming: il ritorno a casa dell’Uomo Ragno

Spider-Man Homecoming: il ritorno a casa dell’Uomo Ragno

Spider-Man: Homecoming si presenta come un prodotto leggero e divertente ma cade vittima dei cliché del genere e lascia un retrogusto di “già visto”.

Diretto da , Homecoming rappresenta la terza incarnazione cinematografica dell'Arrampicamuri di casa Marvel. Ora che alle redini del progetto ci sono i – grazie all'accordo raggiunto dietro le quinte con Sony che ne detiene i diritti di sfruttamento – al regista è toccato l'oneroso compito di dare nuova linfa a un franchise la cui gestione da parte di Sony nel recente passato ha avuto risultati quantomeno altalenanti. Non si può negare che l'obiettivo sia stato raggiunto ma purtroppo solo in parte.

Bastano dieci minuti di film per rendersi conto che esso si rivolge principalmente a un target di giovanissimi, bambini e ragazzini in età adolescenziale al massimo. La pellicola è infatti contraddistinta da una generale infantilità nel modo di approcciarsi alla materia supereroistica, nella quale si percepisce particolarmente l'impronta Disney.

È un approccio, questo, che si palesava in modo marcato, pur con le dovute differenze stilistiche e di tono, già nel secondo capitolo di e che qui diviene ancor più evidente.

Il primo elemento a esserne influenzato è la sceneggiatura. Questa ha un'impostazione da teen movie americano, con tutti i cliché del genere, dialoghi che ricalcano la parlata giovanile e un certo bambinesco umorismo di fondo. Ha senz'altro il merito di risparmiare agli spettatori l'ennesimo retelling delle origini dell' (e la morte dell'ennesimo zio Ben), che vengono date per assodate e su cui il film glissa totalmente. È inoltre ben strutturata e riesce a intrattenere grazie a un ottimo ritmo.

Tuttavia bisogna riconoscere che la sceneggiatura di Watts appare anche oltremodo semplice, lineare e non si discosta mai dagli stilemi triti e ritriti del genere, finendo inevitabilmente per risultare in molti punti banale e prevedibile. Vale la pena sottolineare che l'omissione della morte di zio Ben (tecnicamente avvenuta ma mai menzionata, se non fugacemente) e l'assenza dell'abusato precetto “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità” a gravare sulle spalle del protagonista, hanno portato a un netto cambio di prospettiva rispetto al modo in cui Peter si relaziona alle sue capacità superumane.

Se in tutte le precedenti iterazioni cinematografiche i suoi poteri erano da lui visti come un fardello, ora sono accolti con eccitata esuberanza e rappresentano un'occasione di rivalsa. Questo approccio, ad ogni modo, è lungi dal poter essere considerato un difetto, dal momento che è tutto in funzione della volontà di offrire una versione più al passo coi tempi del personaggio in grado di fare presa sulle nuove generazioni.

Appaiono leggermente sottotono le scene d'azione. Anche qui si può notare la volontà disneyana di creare un prodotto child-friendly, che si traduce nella tendenza a edulcorare il più possibile la violenza mostrata su schermo. Si possono forse contare sulle dita di una mano le occasioni in cui si arriva a un effettivo contatto fisico tra il protagonista e i suoi nemici.

Oltre a ciò, bisogna anche dire che molte di queste scene risultano registicamente confusionarie per via di un montaggio ipercinetico e alla cui intelligibilità certo non giovano setting prevalentemente notturni e una fotografia scura. Questo non vuol dire comunque che manchino i momenti spettacolari e adrenalinici. Anzi, nei 130 minuti della sua durata il film offre diverse sequenze in grado di stupire per la loro messa in scena (l'esempio più lampante è la scena al cardiopalma sul monumento a Washington, visivamente sublime).

Venendo al cast, ciò che tutti erano maggiormente ansiosi di constatare era se la nuova versione di Peter Parker interpretata da si sarebbe rivelata all'altezza. Ci sono buone notizie da questo punto di vista, dato che il protagonista viene rappresentato in maniera estremamente convincente. La prestazione offerta da Holland è nel complesso buona e la sua interpretazione di Peter adolescente, a tratti mogia e abbastanza priva di carisma, che sia una scelta intenzionale o meno, risulta in linea con il personaggio che i fan dei fumetti hanno amato nel corso degli anni.

Per il resto, a livello di resa generale su schermo, questo nuovo Spider-Man riesce a conquistare grazie alla briosa esuberanza che dimostra nel combattere il crimine, una volta indossato il costume, e a una scrittura del personaggio lodevole. È vero che il suo character arc si conforma ai rigidi e prevedibili cliché del genere (l'eroe parte da una condizione di malriposta fiducia nelle proprie capacità, che non gli permette di esprimere il suo pieno potenziale – momentanea caduta dell'eroe, dalla quale trae un prezioso insegnamento – l'eroe si risolleva più risoluto di prima e supera le avversità, forte di una nuova consapevolezza di sé e del proprio ruolo), ma nondimeno il film riesce a illustrare l'evoluzione psicologica e caratteriale a cui il protagonista va incontro con una competenza e un'attenzione decisamente apprezzabili.

Se a questo si aggiunge che anche il nuovo, avveniristico costume è riuscitissimo, è ragionevole pensare che ci troviamo di fronte a quella che, sotto molti aspetti, può essere davvero considerata come la versione cinematografica dell' definitiva.

Più che il protagonista, tuttavia, il vero punto di forza di Homecoming è il cattivo. I Marvel Studios, è cosa risaputa, non sono propriamente noti per la loro capacità di creare antagonisti memorabili. Anzi, tutto l'opposto. Fa enormemente piacere, quindi, constatare che in questo caso è avvenuta un'inaspettata inversione di tendenza.

Accantonati i generici cattivoni superpotenti, dalle motivazioni indefinite e dallo scarso spessore psicologico, Adrian Toomes/l'Avvoltoio funziona perfettamente perché è un villain assolutamente umano. È spinto ad agire da necessità concrete, vicine alla nostra realtà e di cui pertanto si riescono a comprendere le implicazioni. Il regista fa poi un ottimo lavoro nel delineare le varie sfaccettature della sua personalità, mostrando anche uno stralcio di vita quotidiana al di fuori dell'attività criminale. Tutti elementi, questi, che aiutano il pubblico a immedesimarsi nel personaggio e perfino a provare empatia per lui.

Naturalmente, a dare spessore al personaggio contribuisce in larga parte l'interpretazione del sempre bravissimo , il quale riesce a infondergli una grandissima personalità anche solamente con lo sguardo (in questo senso, la scena della macchina è uno dei più fulgidi esempi).

Altro elemento attorno al quale c'era parecchia curiosità era la presenza all'interno del film di Tony Stark/. Bisogna dire che il suo apporto risulta essere molto meno invasivo di quanto i trailer lasciassero presagire, sebbene la tendenza a utilizzarlo come deus ex machina, espediente utilizzato ben due volte per cavare d'impiccio il protagonista, potrebbe risultare un po' troppo convenevole.
Non si discute, comunque, sulle doti attoriali di Robert Downey Jr., il quale finisce anzi per rubare la scena con la sua irresistibile verve ogni volta che compare sullo schermo.

Sfortunatamente il resto del multietnico cast non gode della medesima profondità e tutti gli altri personaggi che fanno la loro comparsa nel corso della pellicola si riducono, nel migliore dei casi, a figure macchiettistiche dalla caratterizzazione appena abbozzata. È vero che si tratta di carachter secondari ma un minimo di approfondimento in più sotto il profilo psicologico o del background sarebbe stato auspicabile.

Perfino la zia May di , a parte l'obbligatorio discorso motivazionale che fa al suo pargolo verso metà film, sembra essere relegata unicamente al ruolo di oggetto delle fantasie sessuali di ogni essere umano di sesso maschile che incroci la sua strada.

Come diretta conseguenza, i rapporti interpersonali tra Peter e i vari comprimari risultano altrettanto blandi e superficiali. Anche il rapporto con il suo migliore amico e aiutante Ned, per quanto leggermente più approfondito, è assolutamente monodimensionale. Una trovata apprezzabile, però, è l'aver modernizzato la figura del bullo attraverso il personaggio di Flash, qui reinventato come odioso figlio di papà che tenta di prevaricare sugli altri in virtù della presunta superiorità datagli dal suo status, più che dalla prestanza fisica.

Una nota di merito va alle musiche, composte da Michael Giacchino. Il tema principale, particolarmente catchy, come direbbero gli anglosassoni, è uno di quelli che rimangono in testa per svariato tempo, una volta usciti dal cinema, e che non ci si può esimere dal canticchiare a ogni occasione. Per il resto la colonna sonora fa ampio uso di brani pop degli anni (o decenni) passati.

Volendo dare un giudizio conclusivo, tutto si riduce al tipo di spettatori che vanno al cinema a vedere il film e a quali aspettative essi hanno nei suoi riguardi. Se si prende a modello un genitore il cui scopo è unicamente quello di far divertire il figlio o un gruppetto di amici che non hanno altra pretesa se non quella di svagarsi per un paio d'ore, allora Spider-Man Homecoming centra in pieno l'obiettivo. Al suo nocciolo è un film scanzonato, leggero, con delle innegabili vette qualitative e che riesce ad adempiere egregiamente alla sua funzione di puro intrattenimento.

Tuttavia, per gli utenti più smaliziati, caduti ormai vittima del senso di assuefazione per un mercato – quello dei blockbuster supereroistici – ormai saturo di prodotti sempre più simili tra loro e in cui l'innovazione sembra essere un obiettivo sempre più difficile da raggiungere, il film di Jon Watts risulta solamente mediocre.

Non riesce insomma a offrire quel guizzo, quel quid in più, necessario al giorno d'oggi per distinguersi dalla massa e risultare memorabile. Si limita a fare quello che gergalmente viene detto “il compitino”, finendo per amalgamarsi alla pletora di altri film sui supereroi divertenti, chiassosi e caciaroni ma poveri di sostanza.

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *