Con Anna per sempre proseguono le storie del “nuovo” Dylan Dog, un personaggio riconoscibile e al contempo diverso rispetto al protagonista dei primi 399 albi; un cambiamento generato dopo che nel numero 400 le Storie sono collassate su sé stesse o, più prosaicamente, da quando Roberto Recchioni da curatore ha preso in eredità in tutto e per tutto il personaggio ideato da Tiziano Sclavi. In questo primo ciclo denominato “666” gli albi ripercorrono le prime storiche avventure della serie, riviste e reinterpretate con lo stile postmoderno, citazionistico, diretto e perfino spaccone riconoscibile in molte opere dell’autore romano.
Il fantasma di Anna Never è uno degli albi più amati della serie e, anche se riletto oggi può forse sembrare lontano dai picchi di Tiziano Sclavi, ne resta una delle pietre angolari per come evidenzia la capacità dello sceneggiatore di passare dal soprannaturale al dramma umano, dall’orrore fantastico al lato più intimo e doloroso del reale. Non di meno, introduce una delle fiamme di Dylan più ricordate e citate, vuoi per la sua genuina goffaggine, vuoi per quel suo apparire per la prima volta in forma di fantasma, vuoi per la poesia che lo stile di Corrado Roi fu capace di riversare nella sua figura. Una storia nella quale oltre alla bella Anna ampio spazio viene dato al personaggio di Guy e alla sua dipendenza dall’alcool, relegando Dylan a un ruolo per certi versi marginale.
In Anna per sempre invece Dylan Dog è elemento centrale, portante, e se Recchioni rende fin da subito chiara la volontà di discostarsi dalla storia originale per quanto riguarda la trama, non sfugge che ne mantenga alcuni temi portanti, adattandoli alla situazione e alla caratterizzazione di questo Dylan ancora poco conosciuto al lettore.
Da un certo punto di vista possiamo quindi interpretare questo numero come un omaggio più che una rilettura dell’originale, fatto reso ancora più esplicito dalla riproposizione di una tavola di grande impatto che ripropone in tutto e per tutto una dell’albo originale, un compito che Sergio Gerasi svolge senza apparire derivativo né frenato, ma al contempo senza tradire niente dell’atmosfera originale. Però questo è anche un numero fondamentale che approfondisce il protagonista, ne svela i lati più oscuri e dà un vero e proprio inizio a un arco narrativo dedicato alle sue debolezze e al suo modo di affrontarle, grazie anche al ritorno di una antagonista ormai ricorrente dell’Indagatore dell’Incubo. Proprio questo espediente sul finale spezza un poco la bolla in cui sembrava racchiuso un racconto di impianto realistico, che pareva in grado di reggersi anche senza riferimenti “in continuity” – che pure appaiono funzionali e quasi obbligati, ma irrompono in maniera destabilizzante e fin troppo didascalica dopo una lunga sequenza di pagine invece mai ridondanti o eccessivamente cariche.Infatti, se in apertura parlavamo dello stile quasi sfrontato, ricco di frasi topiche e di dialoghi zeppi di riferimenti alla cultura popolare, dello sceneggiatore romano, in questo albo ne troviamo invece la versione misurata, lenta ma non per questo priva di pathos o di dramma; anzi, proprio il tempo che lo svolgimento si prende nella parte centrale del racconto regala una lettura ad altissimo livello di tensione. La sequenza centrale è in questo senso esemplare e raggiunge vette di pura angoscia, di strisciante malessere di vita attraverso una serie di tavole mute nelle quali il segno si fa carico di ansia e dolore, in un succedersi dosato ma incalzante di eventi. L’equilibrio tra i tempi del racconto, l’incedere delle vignette e i disegni nervosi e carnali danno vita forse a uno dei punti più alti della serie e certamente al più alto della nuova incarnazione di Dylan Dog. Anche gli altri personaggi giovano di questo approccio: da Gnaghi, il monosillabico braccio destro di Dylan, che beneficia di questa dimensione più introspettiva grazie alla quale si aprono squarci sul suo passato tormentato, dando una maggiore profondità alla sua caratterizzazione, e che si rivela una vera e propria ancora di salvezza fisica per la tempesta emotiva a cui l’indagatore dell’incubo è sottoposto nel corso del racconto; passando per il rapporto con la ex-moglie Rania; finendo per un distensivo incontro con Bloch, che abbiamo scoperto nelle nuove storie essere il padre di Dylan, con il quale ha mostrato finora un rapporto conflittuale.
Se avevamo accennato al ruolo centrale che ne Il fantasma di Anna Never hanno avuto i disegni di Corrado Roi nel creare un’atmosfera e un immaginario indelebile, in Anna per sempre lo stesso compito tocca a Sergio Gerasi. Come nel caso dell’approccio di Roberto Recchioni alla storia, il disegnatore non accenna a nessun tentativo di goffa imitazione ma sfodera piuttosto tutta la sua capacità nel dare sostanza e concretezza a un racconto disperato, doloroso, violento, sordido, nel quale l’orrore ha un aspetto molto, troppo reale, nel quale la violenza è prima di tutto psicologica e che quando esplode è disperata, senza bellezza né grazia.
L’evoluzione del suo stile, nato tra le pagine delle sue collaborazioni con Alessandro Bilotta, tra Mercurio Loi e Il pianeta dei morti degli speciali di Dylan Dog, si dimostra impeccabile nelle sequenze più angosciose, riuscendo a essere fortemente espressivo e chiaro anche nelle scene complesse, e al contempo delicato e partecipe nelle scene più positive o leggere.
Le vignette di Gerasi sono segnate da una linea tremolante ma non certo insicura e da tratteggi decisi e taglienti, da un senso della prospettiva che dà sostanza a volti scavati di segni e rughe, a corpi dinoccolati e tesi, nervosi. Tavole a specchio parallele in cui ognuna delle metà racconta lo stesso momento, lo stesso sentimento, lo stesso spaesamento di Anna e Dylan, così vicini, così lontani, condannati a vivere una convivenza desiderata ma forse non raggiungibile. Un senso della prospettiva che diventa elemento fondamentale anche nel dar vita a inquadrature forzate, distorte, che acuiscono il senso di straniamento di certe scene o la brutalità di altre, e rendendo efficacemente il ritmo del racconto tra accelerate e rallentamenti, tra momenti di stasi e altri velocissimi e inattesi.
Anna per sempre si segnala dunque come il migliore episodio finora uscito della saga 666“ e si distingue comunque nella lunga storia editoriale di Dylan Dog perché mostra, forse per la prima volta, la lotta del protagonista contro uno dei suoi storici “nemici” più subdoli. Una lotta umana, disperata, violenta, una lunga battaglia metaforica segnata da un paio di scene difficilmente dimenticabili, dall’impatto emotivo e visivo davvero sconcertante. Un episodio che segnala la forte anima drammatica del personaggio, qui catturata dalla ottima sinergia creatasi tra sceneggiatore e disegnatore, che delinea probabilmente in maniera migliore le peculiarità del personaggio rispetto ai tre episodi precedenti.
Abbiamo parlato di:
Dylan Dog #404 – Anna per sempre
Roberto Recchioni, Sergio Gerasi, Giorgio Pontrelli
Sergio Bonelli Editore, Aprile 2020
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 3,90 €
Stefano Canino
4 Luglio 2023 a 19:47
Un capitolo che mi ha toccato profondamente l’anima, mi sono ritrovato in molti aspetti di questo “nuovo” Dylan Dog. A volte ci viene molto difficile confrontarsi con i demoni che abbiamo dentro, che ci perseguitano e a volte ci affossano psicologicamente, con i patimenti quotidiani che affrontiamo e che cambiano il modo di agire e pensare. Solo quando si arriva al limite ci accorgiamo di quanto la nostra vita abbia bisogno di una vera svolta, e prendere LA decisione, abbracciare o eliminare il demone? beh, la risposta bisogna trovarla in noi stessi nel momento in cui ci poniamo davanti al bivio…
però se il demone è come quello dell’albo in questione, beh, forse l’avrei abbracciato anche io ;)
la redazione
5 Luglio 2023 a 10:10
Grazie del tuo commento, Stefano.