
Zerocalcare e l’umanità del porcospino
E. , appena uscito di prigione, è rappresentato come un “pennuto preistorico”. R., moglie di un detenuto, è ritratta come un porcospino. La scelta antropomorfica nella figurazione dei due personaggi è uno dei pochi aspetti “giocosi”, così tipici del suo stile, che Zerocalcare si è concesso in “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, drammatica storia a fumetti sulla vita in carcere, pubblicata lo scorso dicembre su “Scoop”, supplemento di “Internazionale” – e meritoriamente riproposta online dalla rivista nei giorni scorsi, in seguito ai recenti sviluppi della vicenda di Santa Maria Capua Vetere.
L’autore, come spesso gli capita, parte dal vissuto personale in quel microcosmo finzionale, elevato a universo narrativo e poetico, che è il quartiere romano di Rebibbia e che nell’omonimo carcere trova uno dei suoi luoghi chiave di racconto, popolari e dolenti. Attraverso la testimonianza di E. ed R., Zerocalcare ricostruisce le ragioni che hanno portato alle rivolte di Rebibbia e di altri carceri italiani, in coincidenza con il lockdown e la crisi pandemica. Proprio i fatti – allora già noti – di Santa Maria Capua Vetere sono richiamati nel finale della storia.
(Zero)calcare la mano
La rappresentazione antropomorfica delle due figure chiave del racconto è una scelta tipica del cartoonist romano, che pesca a piene mani in questo senso tanto dall’universo disneyano, quanto dai manga e dall’underground. D’altronde, cosa sarebbero i comics senza l’antropomorfismo? Eredi della caricatura e dell’illustrazione, i fumetti fin dalla loro genesi hanno trovato negli animali con caratteristiche umane una delle loro massime espressioni. Dagli “innocenti” orsi e tigri di James G. Swinnerton ai felini più alternativi come il gatto Fritz di Robert Crumb, dall’intero pantheon disneyano fino alle più recenti ibridazioni di genere come BlackSad, i personaggi antropomorfi costituiscono una parte essenziale della forza iconica e dell’immaginario che hanno accompagnato i linguaggi dei comics per tutto il XX° secolo.
Dentro questa tradizione, ai confini di questa tradizione, la caratterizzazione “antropomorfica” di Zerocalcare ha una funzione prima di tutto retorica, perché – come già mi è capitato di ragionare, analizzando lo stile dell’autore – le sue sono storie più di riflessione che d’azione. Densi di balloon, ricolmi di significati e informazioni – a volte anche duri come in questo caso o in quello di Kobane Calling – i racconti di Zerocalcare richiedono un’attenzione costante da parte del lettore.
Le scelte figurative tendono a bilanciare proprio questa gravità di contenuti con una leggerezza iconica, ricca di riferimenti pop e cross mediali, che è essa stessa diventata marchio di fabbrica del cartoonist. Insomma, che si tratti di Mamma-Calcare, ritratta come la Lady Cocca del Robin Hood disneyano, o dell’immancabile Ornitorinco, amico immaginario e contro-coscienza critica dell’autore, l’antropomorfismo serve a stemperare la drammaticità del racconto.
Nel caso di “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, a mio avviso la scelta grafica assume anche un’altra valenza estetica, forse perfino più rilevante in termini d’emozione disegnata.
L’umanità al grado Zero(calcare)
Ho ricordato prima quanto radicata e variegata sia la tradizione dell’antropomorfismo disegnato nei comics. Certo i topi di Floyd Gottfredson non sono i topi di Art Spiegelman: immensi entrambi, ma così vicini e così distanti che di più non si potrebbe… Allo stesso modo, il bestiario sociale di Walt Kelly è ben lontano da quello di Benoit Sokal e si potrebbero citare tanti altri casi… Rispetto a questi tanti mondi diversi, dove possiamo collocare l’universo finzionale di Zerocalcare?
Un fatto è certo: nelle storie del cartoonist romano, pennuti e porcospini, cinghiali e galline, convivono sempre con uomini e donne, disegnati con tratto divertito e divertente in car..ta e ossa. Anzi, non di rado, le vicende assumono un piglio surreale, proprio nel confronto dentro le vignette tra figurazioni dell’uno e dell’altro tipo. Spesso, per esempio, assistiamo a esilaranti dialoghi tra Zerocalcare “umano” – lui non si rappresenta mai in veste animale – e l’amico Cinghiale oppure con il fatidico Armadillo(scienza)…
L’antropomorfismo non riguarda mai tutti i personaggi delle storie di Zerocalcare e, particolarmente in “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, la scelta assume un peso tutto valoriale. E. ed R. possiedono avatar bestiali perché, paradossalmente, rappresentano il senso di umanità preservato all’interno dell’universo carcere. Sono testimoni “leggeri” e positivi di una dignità dolente che, scavalca i muri pure altissimi, in termini fisici, culturali e sociali, costruiti attorno alle prigioni.
Al contrario, quando Zerocalcare ci porta in punta di matita dentro quelle mura, le figurazioni antropomorfiche tendono a ridursi, fino a scomparire nelle sequenze più dure del racconto. Come in Kobane Calling, il pudore grafico del cartoonist romano lo spinge a rinunciare a quel “codice leggero” di rappresentazione rispetto alla gravità degli eventi narrati.
Di fronte alla tragedia sociale della violenza, non c’è edulcorazione finzionale possibile. Non c’è nessuna fiaba alla Esopo da mettere in scena, ma solo il tentativo civico di capire e di raccontare da dove nasca la ferocia bestiale di quegli abusi, compiuti dall’animale più pericoloso del mondo, l’essere umano.