Ernie Pike, quando i fucili fanno scrack

Ernie Pike, quando i fucili fanno scrack

In una storia a fumetti dove finisce il contributo dello sceneggiatore e dove inizia quello del disegnatore? Me lo chiedo mentre rileggo lo splendido Ernie Pike di Hector G. Oesterheld e Hugo Pratt.

Rizzoli Lizard ha appena ristampato le storie del personaggio in una sontuosa veste editoriale, gioia per lo sguardo e per lo spirito. Ma in qualunque edizione la leggiate, la serie prodotta e pubblicata per la prima volta nel 1957 in Argentina sulla rivista “Hora Cero”, resta uno dei più bei fumetti di ambientazione bellica di sempre, commosso e vibrante, lontano da ogni  “Supereroica”, lontano da ogni super-retorica.

Da fumettofilo, permettetemi qualche riga di superflua riflessione critica. Poco più di un gioco, tipo quando da bimbo nerd, insieme a migliaia di altri ormonali marvel fan, ci domandavamo

Chi è più forte Hulk o La Cosa?

Nel caso di Ernie Pike, non chi sia “più forte” tra Oesterheld e Pratt, ma quanto ci sia dell’uno e dell’altro nell’opera è piacevole chiederselo. Poco più di un gioco, s’intende che, oltretutto, a voler giocare seriamente avrebbe bisogno di uno studio comparato delle sceneggiature e delle tavole…

L’Ernie Pike di Oesterheld

A livello narrativo, Oesterheld, pur aderendo ai modi linguistici del genere, sceglie come protagonista non un combattente, ma un reporter di guerra. Espediente di scrittura che gli permette di porre una distanza tra il dramma e il suo racconto, tra l’azione e la riflessione. Ed è lì che lo sceneggiatore argentino esprime la sua inimitabile forza espressiva, chiudendo e chiosando una sequenza, ora con un commento affidato al balloon del personaggio, ora a una voce off inserita in didascalia.

L’Ernie Pike di Pratt

Pratt asseconda la forza misurata della sceneggiatura, in sequenze di layout discreti e progressioni di vignette sempre lineari. Un Hugo Pratt “giovane” che forse non è ancora tutto e per tutto Hugo Pratt, però in fondo è già Pratt in potenza. Con il suo tratto, ora sottile ora spesso, capace di travolgere l’intento mimetico della realtà nelle espressività dei volti e delle figure… I suoi soldati sono madidi e dolenti: la trincea li sporca, la paura ne segna i volti, il dolore ne spezza i gesti.

Dove si incontrano i due Ernie Pike?

Un buon esempio per me sta in queste due strisce: una sequenza di appena 4 vignette che descrivono l’esecuzione di un soldato, Helmuth Gruber.

In Vig. 1 il balloon con la voce dell’ufficiale “rimbalza” sulla didascalia della voce off del narratore (Pike) per poi inchiodarsi sul volto disperato del soldato. Lo sguardo del personaggio interpella quello di noi lettori, ci confina nella prospettiva che da lì a poco sarà occupata degli altri soldati, chiamati a fucilarlo.

In Vig.2, si sale dal volto dell’ufficiale che intima l’ordine all’ordine stesso, insito nel balloon, nell’angolo alto a destra. Il carnefice non ha esitazioni e, da lettori, assistiamo attraverso una inquadratura sempre vicina, ma laterale, all’approssimarsi dell’appuntamento con la morte di Helmuth. L’impassibilità dell’ufficiale dissolve in chi guarda qualsiasi dubbio sul destino del soldato.

Vig. 3 si irradia con forza grafica centripeta attorno all’onomatopea “scrack” che sormonta e segue il profilo del corpo di Helmuth, trivellato dai colpi. A riguardo, vale la pena ricordare un’interessante annotazione del cartoonist argentino Roberto Fontanarrosa:

I colpi di Pratt non suonavano bang-bang come in tutti gli altri fumetti che avevo letto. Nelle sue strisce i fucili suonavano con un secco, corto e innovativo Crak-Crak-Crak-Crak. Qualche tempo dopo, nella mia vita non così avventurosa, ho sentito spari veri e suonavano così, con l’onomatopea coniata da Pratt, Crak-Crak, come martellate sui una lastra di metallo…

Ma la maestria grafica di Pratt in questa vignetta non si ferma alla potente invenzione di un suggestivo suono onomatopeico. Guardate come tutta l’inquadratura risulti in termini cinematografici, una sorta di controcampo anomalo di Vig.1. Lì eravamo di fronte ad Helmuth, rassegnato ormai alla morte, qui siamo alle sue spalle, ancora una volta partecipi della sua fine.

Far (ri)suonare le immagini

Una vignetta perfettamente compiuta già così, cui non ci sarebbe molto da aggiungere. Eppure,  Oesterheld riesce ad arricchirla di un ulteriore cesello emozionale con la sua scrittura. La didascalia, fateci caso, non aggiunge qualcosa alla descrizione dell’azione, serve invece  a sublimare, il racconto a livello sonoro. Il suono, come dicevamo qualche post fa, è il convitato di pietra del linguaggio dei comics: quel senso negato recuperato attraverso le invenzioni dell’occhio e del verbale.

Lo sparò riecheggiò tra le mura del castello.

La didascalia crea quello che il semiologo Roland Bathes chiamava “l’effetto staffetta” tra immagine e parola, laddove questa subentra per arrivare a un significato informativo/narrativo che l’immagine poteva solo lasciarci intuire…

In Vig.4, le parti si rovesciano. La didascalia sembra dirci già tutto a livello informativo:

Così cadde il soldato Helmuth…

Ma stavolta è la rappresentazione grafica a darci “il di più” emozionale della narrazione, con quel corpo inerme riverso su prato.

Ne vediamo solo le suole delle scarpe, consumate in primo piano, mentre sullo sfondo il plotone dei fucilieri si allontana. Solo ombre, senza volto, così come da ombre erano comparse in Vig. 1, sul muro alle spalle di Helmuth. Così come i volti dei carnefici sono ignoti, così anche il volto di Helmuth finisce fuoricampo, una vittima qualunque tra tante.

In una manciata di vignette, gli autori riescono a cancellare la fanfara del fumetto bellico (e del genere  tout court). Tolta l’epica pubblicistica, della guerra rimane l’umanità con il suo carico di pallottole e dolori. Rimangono le persone con le loro cicatrici sui volti e sull’anima.

E allora, per tornare al gioco/quesito che mi ero posto all’inizio…

Più Oesterheld o più Pratt?

In Ernie Pike parola e immagine sono indissolubilmente legate in un ritmo che non è solo parola e che non è solo immagine. È…Fumetto.

La risposta più equa sta quindi nel ribadire pari dignità a due grandi autori che hanno saputo, nell’occasione, mettersi l’uno al servizio dell’altro.  Come ebbe a riconoscere, all’epoca, lo stesso  Oesterheld:

Ernie Pike mostra fino a che punto la stretta collaborazione dello sceneggiatore e del disegnatore possa arrivare: il personaggio e le avventure le creo io, ma è anche vero che nel processo di creazione ho in mente in ogni momento quello che Hugo farà dopo…

Ernie Pike è frutto dell’incontro tra due grandi maestri dei comics che, per un meraviglioso accidente del destino, a un certo punto della vita, si sono ritrovati a percorrere insieme le strade d’asfalto di Buenos Aires e quelle artistiche dell’emozione disegnata.