Arrivederci amore ciao: un post(moderno) su Dylan Dog 400
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Arrivederci amore ciao: un post(moderno) su Dylan Dog 400

Abbiamo aspettato che il ciclo fosse completo, chi per affetto verso l’old boy, chi per semplice curiosità editoriale. Abbiamo aspettato che questa fatidica/famigerata Meteora arrivasse e travolgesse il mondo di Dylan Dog così come l’aveva ideato Tiziano Sclavi oltre trent’anni fa e così come, da lettori, l’abbiamo amato a migliaia, per generazioni.

Con il numero 400 della serie si è concluso un ciclo di episodi che, sotto la guida del curatore editoriale attuale del personaggio, Roberto Recchioni, va avanti ormai dal 2013, con l’obiettivo dichiarato di rivoluzionare le avventure del detective dell’incubo.

Non starò a discutere se il cambiamento sia giusto, necessario e via dicendo. Come per qualsiasi prodotto dell’industria culturale, il dibattito attiene le “parti in causa”, ovvero chi realizza il fumetto e chi, se ne ha voglia e risorse, ne fruisce. Come lettore non che mi sento escluso dalla discussione, ma in questa sede più che il piacere di leggere i fumetti, condivido quello di studiarne i linguaggi. Così provo a scrivervi, tra il serio e il faceto, alcune cose che penso di aver capito di questo, curioso e faticoso, percorso editoriale di Dylan Dog.

[ATTENZIONE, SPOILER: CHI NON HA LETTO LE STORIE DI RECENTI  DI DYLAN DOG E VOGLIA FARLO…. SI FERMI QUI! Come avrebbe detto Carlo Collodi,  lettore informato/mezzo salvato]  

insieme a te non ci sto più

E’ iniziato tutto con l’ispettore Bloch, vecchio mentore di Dylan Dog, finalmente in pensione come da sempre anelava. A Scotland Yard l’hanno sostituito con l’omologo Tyron Carpenter, incazzoso incrocio tra Ginko e l’ispettore Tibbs, che ha odiato l’old boy ancora prima di conoscerlo. Poi sono seguiti: arresti; amici che tradiscono la fiducia; ragazze che, prima facevano a gara per infilarsi nelle tue lenzuola, e ora ti rapiscono e seviziano; galeoni e nervi che vanno in pezzi… Una sequenza di sfighe che nemmeno Wil E.Coyote. Ah, ovviamente, Dylan è stato pure sfrattato dallo storico appartamento a Craven Road e costretto a dormire nel maggiolone. Questo prima che il maggiolone si  scassasse…

Al di là di ogni boutade, in termini di scrittura seriale, il pericolo incombente sul protagonista e sul suo mondo, è stato sfruttato da “tirante” orizzontale di una serie sviluppata, invece, per oltre trent’anni sulla drammaturgia tutta verticale degli episodi classicamente autoconclusivi.  Fino ad arrivare all’arco di episodi del “ciclo della Meteora”, in cui il collasso dell’universo finzionale ha assunto una spettacolare evidenza figurativa e, perfino, plastica.

Il cambiamento ha implicato un rovesciamento del patto con il lettore ed una riconfigurazione complessiva degli elementi presenti in ciascun episodio per rendere comprensibile al pubblico il cambiamento di statuto narrativo all’insegna della continuity. L’episodio 399, quello del fatidico matrimonio, è stato in questo senso “serialmente” tenerissimo, con tutti quegli a asterischi in coda  alle vignette con “Vedi Dylan Dog n…”, a ribadire che ogni elemento presentato nei vari episodi era stato pensato per stare insieme, per arrivare a questa, e solo a questa, conclusione.

Salvo che lo stressarlo con quell’insistenza Marvel d’antan mostra quanto la nuova continuity  finora sia risultato un “botulino” narrativo, inoculato per rifare il lifting ad un corpus seriale dalle logiche drammaturgiche comunque diverse. In vari episodi del ciclo, si ha la chiara percezione di come questi elementi di continuità orizzontale siano stati aggiunti su sceneggiature pre-fabbricate di Dyd  –  come ha scritto Alberto Brambilla – “a colpi di martello”.

Dunque, non potevano bastare “le istruzioni per l’uso” in vignetta per dare coerenza a una tale disequilibrio seriale: c’era bisogno di incarnare le ragioni del cambiamento dentro le storie in un avatar dell’apparato editoriale o meglio un fantasma finzionale su misura.  John Ghost.

quella persona non sei tu

In una catena di racconti classicamente iterativa, in cui il lettore non è abituato  – salvo le informazioni fondamentali sull’eroe e sul cast – a lavorare di memoria,  ci si è trovati nell’esigenza di imprimere un ritmo tragico alla serie, per cui i problemi “di puntata” dovevano essere invece giustificati e organizzati in un unico (diabolico) piano tale da cambiare per sempre l’esistenza dell’old boy. Così nasce John Ghost, l’algido antagonista creato ad hoc per quest’opera di drastica ristrutturazione del Dylan-verso, come lui stesso ci suggerisce la prima volta che appare nelle storie, nell’episodio 341, Al servizio del Caos.

La teoria del caos. Una farfalla batte le ali all’equatore e scatena un uragano dall’altra parte del mondo. Il mio nome è John Ghost… e sono quello che costringe la farfalla a battere le ali.

A parte la palese contraddizione nel rivendicare un ruolo causale rispetto alla Teoria del Caos di Lorenz, è fin troppo facile cogliere gli omaggi/citazioni che costruiscono il DNA e la figurazione fumettistica di Ghost. Ci sono Xabaras (ovvio) ma anche l’Ozymandias di Watchmen, il Mister Sinister della saga degli X-Men, Il Moriarty di Sherlock Holmes e (soprattutto, per come è orchestrata la caduta di Dylan) il Kingpin di Daredevil:  Born Again… Si tratta di rimandi talmente esibiti da togliere, più che aggiungere, specificità ad un arci-cattivo che finisce per essere un (non) personaggio, o per dirla alla Vladimir Propp, un “personaggio-tipo”, una mera funzione narrativa.

Ghost nelle storie più che parlare, spiega, o meglio meta-spiega tutto quello che fa, con frasi come questa:

Noi siamo il padre che educa il figlio, lo scudo che protegge il nostro stile di vita, siamo la lancia pronta a colpire chiunque minacci i nostri interessi. In poche parole, signor Dog… noi siamo l’Inghilterra

O ancora:

Al mondo ci sono alcuni luoghi di particolare rilevanza che, come snodi ferroviari del multiverso, fanno convergere tutte le infinite realtà possibili in un solo punto. Moonlight è uno di questi luoghi… Ho fatto costruire i miei palazzi su questa cittadina nella speranza di ridurre il potere che il luogo ha su di te…

La summa di questo “spiegonismo seriale” si raggiunge, al culmine della vicenda del matrimonio, quando l’arci-nemico si rivolge a Dylan in questi termini:

Il tuo archetipo narrativo è piuttosto impermeabile ai mutamenti. Sei cristallizzato nella tua essenza, proprio come tanti personaggi seriali

E’ evidente la totale sovrapposizione tra avatar grafico che abita le vignette  e sceneggiatore  che gli offre la sua voce in modo trasparente (beh, d’altronde parliamo di un fantasma…).   Siamo di fronte a un Deus ex machina, divinamente macchinoso e talmente autoreferenziale, da far crollare insieme alla quarta parete, anche la credibilità del racconto e il coinvolgimento del lettore.

Tant’è che quando si è trattato, finalmente, di svelarci per filo e per segno la portata del proprio mefistofelico piano e la funzionalità di Dylan nel disegno complessivo, abbiamo scoperto che John Ghost l’ha ordito sulla base di una scienza tutta personale. La “fisica fantastica”  (una variazione pop della patafisica di Alfred Jarry direi)  che “combina la teoria del tutto con la narratologia”  ed è basata su calcoli “oltre la tua portata intellettiva”… Ecco appunto. Oltre la portata intellettiva di Dylan Dog e direi pure emotiva di lettori, John Ghost resta una figura su carta,  incomprensibile al di fuori dall’ingegneria narrativa per cui è stato pensato come motore della nuova continuity della serie.

quella persona non sei più

Dicevamo delle tante complicazioni intervenute progressivamente nella vita dell’eroe fino all’epilogo dell’episodio numero 400.  Per far percepire il cambiamento ai lettori, si è scelto di riscrivere tutti i topoi e gli aspetti figurativi “canonici” del personaggio. Ma questi elementi come funzionavano rispetto alla struttura delle storie create da Sclavi e, soprattutto, che cosa comporta modificarli in modo tanto drastico?

Per provare a rispondere a questa domanda, parto da quello che Umberto Eco diceva di Dylan Dog.

Il semiologo piemontese ha sempre considerato le avventure del detective dell’incubo un magistrale esempio di sgangheratezza espressiva. Diversamente dall’accezione comune del termine (“sgangherato” = raffazzonato, poco coerente, etc.), l’idea di Eco è che parlando di testi estetici (letteratura, cinema, fumetti etc.) questa sia invece una caratteristica espressiva in molti casi vincente, capace di determinare il fascino, ed a volte persino il successo, del racconto.

In pratica, si tratti di Amleto, la Bibbia o Casablanca, se una storia  è stata costruita a “pezzi” e questi pezzi (smontabili) riescono a funzionare anche fuori dalla sequenzialità del racconto complessivo, diventano essi stessi nel tempo memoria, citazione, archetipo. Lo spiegava Eco  proprio a Tiziano Sclavi nella deliziosa intervista/dialogo che ebbero qualche anno fa :

…“sgangheratezza” e “sgangherabilità” come condizioni essenziali perché un’opera diventi di culto, sia essa la Divina Commedia, The Rocky Horror Picture Show, l’Ulisse… o Dylan Dog!

In questa prospettiva, Dylan Dog  è una serie strutturalmente sgangherabile come Sclavi stesso nel dialogo riconosce:

…alla fine, le singole sequenze si possono comunque “smontare” e leggere singolarmente… Fermi restando gli elementi di base, i “ritornanti”, vale a dire Dylan che suona il clarinetto, costruisce il galeone e vive quasi sempre un’intensa storia d’amore, gli interventi a sproposito di Groucho, Bloch perennemente in ansia per la sua pensione e così via…

Guarda caso, sono proprio questi elementi che Sclavi definisce come “ritornanti”  a essere stati rimossi  o, comunque problematicizzati  nel corso dell’attuale restyling. Si potrebbe obiettare che se Dylan Dog trasloca da  Craven Road a Baker Street, o se rimpiazzo Xabaras con Ghost cambia poco.  Ma nell’ambito dell’universo seriale, anche se il lettore non è portato a percepirlo in maniera consapevole, i cosiddetti punti fissi o “ritornanti” contribuiscono al piacere della fruizione (periodica) e alla (reiterata) emozione. Sempre Eco lo spiega in uno dei suoi saggi:

La serie in tal senso risponde al bisogno infantile, ma non per questo morboso, di riudire sempre la stessa storia, di trovarsi consolati dal ritorno dell’identico, opportunamente mascherato e fasciato di novità superficiali.

C’è un altro aspetto di cui tener conto che vale per Dylan Dog e più  in generale per tutta la factory Bonelli, dove la mole di tavole scritte disegnate richieste dal classico formato “quaderno” (un centinaio al mese),  implica da sempre l’apporto alla serie di più scrittori e più disegnatori, oltre ai creatori effettivi dei personaggi. In tutti questi anni, il ritorno dell’identico ha permesso di costruire e omogenizzare – a partire dal layout delle pagine con la cosiddetta “gabbia bonelliana” – uno stile di serie omogeneo.

Il che non vuol dire che non si possano mandare Bloch in pensione o Madame Trelkovski in ospizio. Le variabili figurative possono essere infinite, ma gestirne la rimozione complessiva dall’impianto seriale è più difficoltoso di quanto si pensi, perché questi elementi sono innervati al corpus narrativo della serie, all’identità stessa del personaggio.

Al “caso di puntata” ogni volta diverso, così legato alla sensibilità degli interpreti occasionali (sceneggiatore e disegnatore), si salda il macro racconto della serie iterativa – come i ritornelli nelle canzoni pop – che ripropone sempre gli stessi elementi, rinnovando in ogni episodio il patto con il pubblico, in un sostanziale equilibrio tra lettori occasionali e lettori fedeli.

Riscrivere o, addirittura rimuovere, i “punti fissi”  della serie significa mettere appunto in discussione quel patto di complicità che gli autori e il personaggio avevano instaurato con i lettori. E’  l’aspetto che cerco di chiarire nell’ultima parte di questo (lungo) post.

chi se ne va che male fa

Partiamo dalle variant cover  che hanno introdotto in edicola l’ultima avventura del Dylan Dog “canonico”.   Il titolo E ora, l’Apocalisse!  – culmine del ciclo della Meteora – prefigura al lettore la tragedia che sta per travolgere il mondo di Dylan. Al contrario, le 4 diverse immagini ritraggono l’old boy in altrettanti momenti di quiete seriale: la scrittura del diario, la costruzione del modellino di galeone, gli esercizi al clarinetto, il caricamento delle pallottole nella pistola.

Sono tutti momenti che (suggerisce implicitamente l‘arrivo della Meteora distruttrice) forse non torneranno più nella vita editoriale di Dylan Dog. Il richiamo è comprensibile solo per il lettore fedele che già conosca e apprezzi – tanto per dirla alla John Ghost –  la rilevanza di quei topoi seriali nella mitografia del detective dell’incubo.

Tutta la tensione dell’albo, esattamente come era stato in forma di “commedia/melodramma” per il numero precedente relativo al matrimonio, si rapporta alle attese di un pubblico competente, costantemente sollecitato, di tavola in tavola, attraverso il gioco delle memorie. Citazioni e riferimenti alle avventure passate di Dylan vengono impastate nelle vignette a mille mila echi multimediali, dalle canzoni dei Doors a Cuore di tenebra di Joseph Conrad.

Lorenzo Barberis, mio ottimo vicino di blog, nonché una delle penne più colte de  “Lo Spazio Bianco”,  si è divertito a cercare e sviscerare tutte le citazioni presenti nell’albo, in un post che vale la pena leggere. Barberis sostiene che lo strabordante mash-up andrebbe proprio nel senso di una estremizzazione della positiva “sgangherabilità” della serie ma su questo non riesco ad essere d’accordo con lui.

È indubitabile che  lo stile di scrittura di Tiziano Sclavi, caratterizzato anch’esso da frequenti rimandi all’immaginario contemporaneo (cinema, letteratura, musica, etc.), rendesse ciascun episodio della serie un moltiplicatore esponenziale di “sgangherabilità” al quadrato, anzi all’(in)cubo! Ma anche quando Sclavi frammenta il racconto attraverso le citazioni, non perde mai di vista la coerenza complessiva della narrazione.Persino quando l’autore mette in bocca ai personaggi del fumetto parole “di seconda mano”, le battute servono prima di tutto a restituire l’intensità emotiva dei caratteri e, solo a un secondo livello, sono interpretabili come rinvii ad opere diverseLo stile di Sclavi è sgangherabile, ma non sgangherato. Le sue storie sono egualmente appetibili per un lettore occasionale (che gode dell’intreccio) e un lettore fedele (che gode anche del ritorno dell’identico e delle citazioni intessute all’intreccio).

Viceversa, nell’episodio E ora, l’Apocalisse!   – ma si può rintracciare la stessa tendenza anche in altre storie scritte da Recchioni in questi anni come Mater Dolorosa l’affastellamento dei riverberi multimediali sovrasta la progressione della trama vera e propria. Il gioco del riconoscimento delle citazioni, delle contaminazioni e degli inside joke prescinde, in molti casi, dalla loro funzionalità all’interno del racconto. Per certi versi, potremmo dire che citazioni e pastiche sostituiscono (quasi) la storia.Il galeone, l’oceano, l’Isola del Teschio, gli interventi del disegnatore Crandall “Stano” Reed e poi il confronto tra personaggio e creatore… Tutti gli  elementi e gli attori in scena, più che condividere emozioni e pensieri, commentano il loro ruolo nel copione. Da questo punto di vista, l’arci-nemico John Ghost ha davvero trionfato: morto lui, lo “spiegonismo seriale” ha ormai contagiato chiunque compaia nelle vignette. Tutto si consuma su un piano così metaforico e metanarrativo, da impedire qualsiasi accesso al lettore occasionale che volesse avvicinarsi al racconto.

Il ciclo della Meteora che, in teoria, deve aprire la serie a un pubblico diverso, parla quasi esclusivamente a chi Dylan Dog lo leggeva già.

si muore un po’ per poter vivere…

A cosa è servito il Ciclo della Meteora? A dirci che Dylan Dog così com’era non andava più bene per il mondo di oggi, che doveva cambiare, perché era ormai un personaggio fuori dal tempo.

Anche se, a pensarci bene, Dylan Dog era già “fuori tempo” nel 1986, quando si ostinava a usare inchiostro e calamo, mentre tutti (compreso Martin Mystere) stavano scoprendo il pc… Era fuori tempo, quando per distendersi costruiva velieri e suonava il clarino, mentre già impazzavano videogiochi e walkman… Era fuori tempo quando, da romantico, si ostinava a vivere ogni relazione come se fosse l’amore della vita, mentre nel contesto edonista degli anni Ottanta  contava solo il sesso. In un’epoca in cui ci venivano proposti come valori della vita abiti firmati e successo individuale, Dylan si batteva – in logore polacchine e semplici jeans – per gli ultimi e i dimenticati.

Per questo motivo, per quanto fosse brutto il mostro da affrontare, noi lettori eravamo sempre disposti a credere che, al momento giusto, sarebbe arrivato Groucho a lanciargli la pistola. Dylan Dog non è mai stato un fumetto realistico, ma è sempre stato un eroe credibile.

Non basta oggi mettergli in mano uno smartphone alla page, cambiargli taglio di capelli o domicilio per “aggiornarlo”. Perché sono la psicologia stessa del personaggio, la sensibilità di Sclavi nel raccontarne le vicende, a portare i segni di un tempo diverso. Un tempo di cui la serie è riuscita a cogliere in modo tanto magistrale lo spirito – quelli bravi direbbero lo zeitgeist – da diventare icona generazionale e opera cult dell’immaginario – non solo fumettistico – di un intero Paese.

E poi perché dovremmo pretendere da un personaggio di carta quello che in un individuo di carne ci procurerebbe l’Orrore vero? L’idea di “cancellare il tempo che passa”, che qualcuno che aveva trent’anni negli anni Ottanta, debba ancora percepire la realtà come un ventenne o un trentenne di oggi, è una mostruosità ben peggiore di vampiri, zombie e serial killer…

L’ha capito meglio di tutti, Alessandro Bilotta con la saga del Pianeta dei morti, laddove invece di tentare un impossibile ringiovanimento del personaggio, l’ha invecchiato, immergendolo in un futuro zombificato (con una sua coerente ed efficace continuity), che porta alle estreme conseguenze la poetica di Sclavi. E lo fa senza la pretesa di rimuovere trent’anni di “giuda ballerino”, di pistole scariche, di freddure assurde, di storie, meravigliose, belle o brutte… Semmai  lascia che tutto questo entri nel presente, in termini di vecchi rimpianti e nuove speranze.

Il ciclo della Meteora si è limitato, invece, a raccontarci che Tiziano Sclavi è morto, Groucho Marx pure, e anche Dylan Dog non se la passa molto bene. Del suo futuro, non sappiamo ancora granché, tranne che (scorrendo le ultime pagine dell’episodio 400) di qui poi avrà una barba da hipster e una spalla/assistente meno logorroica e (forse) poetica.

Nel 2006, molti anni prima di essere chiamato a definirne le sorti editoriali, Roberto Recchioni da autentico innamorato e conoscitore del personaggio quale è, scrisse un pezzo che si trova anche in rete, sul Dylan Dog del 1986:

Dylan era molto ma molto più avanti di noi. E a rileggerlo oggi, lo è ancora.

La penso esattamente così anche io, ancora oggi.

Nota bibliografica

Questo è un post  e non un saggio. Ma visto che nella lunga disamina faccio riferimento a una serie di questioni sul fumetto seriale – che tra l’altro sono quelle su cui lavoro da tempo in ambito critico – vi propongo una piccola bibliografia da cui prende le mosse il discorso.

Marco Arnaudo,”Il mondo reale riflesso nel Dylan Dog delle origini” in www.arabeschi.it (link)

Lorenzo Barberis, “Dylan Dog 400: il postmoderno di Recchioni” in www.lospaziobianco.it , blog: “Come un romanzo” (link)

Daniele Barbieri, I linguaggi del fumetto, Milano, Bompiani, 1991

Daniele Barbieri, Il pensiero disegnato. Saggi sulla letteratura a fumetti europea, Coniglio Editore, 2010

Daniele Barbieri, Letteratura a fumetti? Le impreviste avventure del racconto , Comicout 2019

Alberto Brambilla, “Il ciclo della Meteora: l’impossibilità di coordinare il caos” in www.fumettologica.it (link)

Sergio Brancato, “Martin Mystére e Dylan Dog. La Bonelli da fabbrica a network” in www.lospaziobianco.it (link)

Omar Calabrese, L’età neobarocca, Laterza, 1987

Fausto Colombo, La cultura sottile: media e industria culturale in Italia, Bompiani 1999

Marco D’Angelo – David Padovani, “La gabbia bonelliana, questa sconosciuta” in www.lospaziobianco.it (link 1 e link 2)

Umberto Eco, Il superuomo di massa. Studi sul romanzo popolare, Cooperativa Scrittori, 1976

Umberto Eco, Sugli specchi e altri saggi, Bompiani, 1985

Alberto Ostini (a cura di), Dylan Dog – Indocili sentimenti, arcane paure, Euresis, 1998

Luca Raffaelli,  “Dylan Dog”  in Wikiradio – podcast 29/06/2016 (link)

Luca Raffaelli, Il fumetto, Il Saggiatore 1997

Luca Raffaeli, Tratti & Ritratti, Minimum Fax 2009

Roberto Recchioni, “L’eredità perduta di Dylan Dog” in www.comicus.it (link)

…Molti saggi e una canzone, che non ha a che vedere con la serialità di Dylan Dog, ma che per vari motivi, ho finito per utilizzare come “fil rouge” del post.

6 thoughts on “Arrivederci amore ciao: un post(moderno) su Dylan Dog 400

  1. splendido… be’ il ritornello della canzone richiama pure il film recente di michele soavi e dellamorte dellamore di conseguenza 🙂

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