In una Lucca Comics & Games quasi bulimica per il numero di importanti ospiti internazionali, la presenza di Jason non è passata comunque in secondo piano ai nostri occhi: autore dallo stile inconfondibile, le sue storie popolate di animali antropomorfi oscillano tra l’azione, l’horror, il surreale e il romantico ma sempre con il suo tocco personale fatto di silenzi e sguardi vuoti e malinconici. Ci siamo potuti intrattenere con l’autore il tempo di qualche domanda.
Salve Jason e grazie per il tuo tempo. Partiamo dal principio, dal momento in cui Jason nasce: quando hai deciso di dedicarti completamente al fumetto e quali sono state le tue prime influenze e ispirazioni?
Ho cominciato a fare fumetti da piccolo, a 18 anni credo. A quei tempi ne leggevo molti, alcuni supereroi come Batman e l’Uomo Ragno, ma anche albi classici della scuola franco-belga, come Spirou, Gaston e Tin Tin. Penso che sia stato quest’ultimo a darmi la vera ispirazione per cominciare a fare fumetti. È cominciato tutto così, ho iniziato a lavorare per una rivista satirica in Norvegia e a guadagnare denaro dalla vendita dei miei fumetti; la maggior parte di questo guadagno lo spendevo per comprare altri fumetti, e anche fumetti d’autore come quelli di Moebius, Bilal, Hugo Pratt.
Il mondo del fumetto scandinavo è poco conosciuto, nonostante i molti artisti di valore. Quali sono gli aspetti artistici e culturali tipicamente norvegesi che hanno plasmato la tua formazione e carriera?
Non saprei, abbiamo degli inverni molto lunghi e freddi in Norvegia e questo condiziona il nostro lavoro. Credo che dia un sentore di malinconia ai fumetti, qualcosa che si può anche ritrovare nel legame con l’arte locale scandinava, ad esempio in Bergman, o Aki Kaurismäki.
Più di 20 anni di carriera e tanti fumetti pubblicati, ma la tua vena creativa non sembra esaurirsi. Cosa sono per Jason la scrittura e la narrazione?
Adesso cerco di trarre ispirazione al di fuori del mondo del fumetto e il mio modo di disegnare è fortemente influenzato dalla linea chiara. Nella scrittura invece cerco di farmi influenzare dal cinema. Ho già citato Kaurismäki, che mi piace molto, ma anche Jim Jarmuch, Hal Hartley, i vecchi film di Buster Keaton e il cinema muto. Mi piacciono anche molti film di fantascienza, western, film noir. Anche diversi scrittori, Hemingway per esempio credo che mi abbia influenzato, e così anche le storie brevi di Raymond Carver. Quindi direi che decisamente cerco di trarre ispirazione al di fuori del fumetto in sé.
La tua poetica prende tanto dal silenzio quanto dall’inazione: i personaggi pensano, od osservano, senza che il lettore venga reso partecipe in maniera esplicita del loro stato d’animo. Quale effetto cerchi con queste soluzioni?
Mi piace il silenzio nel fumetto. In genere cerco di evitare i balloon di pensiero; non voglio far capire esplicitamente che i personaggi stanno pensando a qualcosa, il lettore deve rendersene conto da sé oppure cercare di capire cosa i personaggi stanno pensando.
È importante per te separare in qualche modo il lettore dai personaggi, piuttosto che cercare l’immedesimazione a tutti i costi?
Il fatto che i miei personaggi sono spesso silenziosi, e che non mostrano alcuna espressione, a mio parere genera una sorta di distanza tra lettore e personaggio. Così come scelgo di non usare balloon di pensiero e non mostrare le emozioni del personaggio, anche qui è il lettore che deve trasferire il proprio sentire nei personaggi, e capire se questi sono tristi o allegri o qualsiasi altra cosa stiano provando. In questa maniera cerco di creare un punto di incontro tra me come artista e il lettore, e il lettore deve interpretare in qualche modo la storia. Se c’è una regola per me nel fumetto, questa è il non dire tutto, bensì lasciare un po’ di mistero che il lettore possa svelare.
A questo proposito, da dove nasce la scelta di raccontare storie di animali antropomorfi?
Quando avevo circa 30 anni ho disegnato un albo con stile realistico; c’è voluto parecchio tempo e non sono rimasto molto soddisfatto del risultato, quindi ho cominciato a sperimentate diversi altri stili, tra cui gli animali antropomorfi, che mi sembravano più efficaci per le storie che volevo raccontare. Credo che ci sia qualcosa di universale negli animali antropomorfi, qualcosa in cui chiunque può identificarsi, e questo è per esempio parte della magia di Topolino e Paperino. Adesso è da 35 anni che disegno questi personaggi e non penso che siano un limite; posso raccontare qualsiasi tipo di storia con gli animali antropomorfi, anche storie molto serie. Non è un problema per me, non ho motivo di cambiare e penso che funzioni meglio di altro per le storie che voglio raccontare.
Malinconia, ironia, inventiva sono tre parole che trovo identificative dei tuoi lavori: quale ruolo hanno nel tuo vivere il fumetto?
Non credo che l’ironia sia qualcosa che mi appartenga davvero, ma la malinconia credo che ci sia nei miei lavori. Cerco di creare un equilibrio sul filo dell’umorismo, ma al tempo stesso faccio in modo che in fondo alla storia ci sia della malinconia. E poi mi sono reso conto che un finale triste fa più effetto di un lieto fine. Anche qui, cerco di dare al lettore degli spunti di riflessione; se tutto alla fine si risolve, se tutti sono felici, è più probabile che la storia venga dimenticata. Un finale triste resta impresso nella mente del lettore più a lungo.
On the Camino è un racconto un po’ diverso dagli altri. Racconta del tuo pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Nel racconto lo sguardo è centrato prevalentemente su di te e su commenti che vanno dal laconico al caustico. Il racconto quindi ondeggia tra viaggio personale e critica di un certo tipo di turismo. Come è nata questa storia e perché hai sentito il bisogno di farlo?
Come ho accennato nel libro, quando ho compiuto 50 anni volevo fare qualcosa che sottolineasse questo evento e avevo sentito parlare del Cammino. Vivo in Francia, ed è da lì che il cammino parte, così il quadro mi è sembrato completo e ho deciso di farlo, di percorrere l’intero cammino fino a Santiago. Ho portato con me un taccuino e un blocco per schizzi in modo da poter scrivere e disegnare, così circa a metà del cammino mi sono reso conto di avere materiale per un libro. Il cammino è durato circa un mese, il libro mi ha impegnato per circa un anno, ma i lettori possono leggerlo in mezzora. È la mia prima opera autobiografica, genere dal quale mi sono tenuto distante finora; ma ho pensato che sarebbe stato sbagliato trasformare il cammino in fiction e quindi ho deciso per la storia autobiografica. Nel libro c’è la descrizione pratica del camminare per giorni e giorni, ma anche qualcosa sulla timidezza e il disagio sociale. Ho qualche difficoltà nel fare conversazione con la gente (o almeno ne avevo), ma durante il cammino è molto facile iniziare a chiacchierare con qualcuno e ci tenevo a descriverlo nel libro.
Oltre al fumetto, curi un blog (catswithoutdogs.blogspot.com) con una certa regolarità da dieci anni. Qui troviamo tuoi dipinti, brevi recensioni, foto delle tue camminate, tutto raccontato con un tono che ricorda molto i tuoi fumetti. Possiamo definirlo quasi come l’estensione del tuo lavoro di narratore? E come mai hai scelto proprio questa forma per comunicare all’esterno, con il tuo pubblico?
Non possiedo un sito web, nè un profilo Instagram e cose simili. Ho creato un blog per aver la possibilità di incontrare i lettori, per parlare dei libri che faccio o dei film che mi piacciono. All’inizio facevo un sacco di recensioni di film, adesso scrivo spesso a proposito dei libri che leggo, oppure pubblico qualche schizzo mentra sto lavorando su un fumetto e a volte qualcuno mi manda dei suggerimenti a proposito di musica o cinema. In definitiva è un modo per creare una conversazione tra me e i lettori.
Intervista condotta dal vivo a Lucca Comics & Games 2019.
Si ringraziano Adriano Antonini per il supporto in loco e Laura Cassarà per sbobinatura e traduzione.
Jason
Jason (John Arne Sæterøy) è un autore norvegese che da anni vive in Francia e che ha incontrato il successo negli Stati Uniti, dove è ormai considerato tra i classici del fumetto contemporaneo. Maestro del ritmo visivo e creatore di un’inimitabile sintesi grafica, Jason ha attraversato con originalità quasi ogni genere narrativo, con una predilezione per l’horror e per il noir.
Il sottile equilibrio di delicato umorismo e profonda malinconia possono ricordare il cinema di Aki Kaurismäki, al quale è stato spesso accostato, ma, dietro il rigore del suo stile, Jason lascia trasparire numerose influenze: da Hergé ai B-Movies, da Hugo Pratt a Ernest Hemingway, da Buster Keaton a Ingmar Bergman.
Tradotto in 15 lingue e vincitore di numerosi premi, ha pubblicato le sue storie sul Sunday Magazine del New York Times. Vive a Montpellier, in Francia. Ho ucciso Adolf Hitler e altre storie d’amore (001 Edizioni) segna finalmente il suo ritorno sugli scaffali italiani. (tratta da www.luccacomicsandgames.com/it/2019/comics/ospiti/jason/)