Fra qualche mese uscirà per BeccoGiallo Si può fare!, nuovo fumetto di Isabella Di Leo dopo il suo esordio dell’anno scorso con Triplo guaio(qui la nostra recensione).
Come suggerisce il titolo, l’opera si concentra sul film Frankenstein Junior del 1974, e in particolare sulla sua realizzazione da parte del regista Mel Brooks e dell’attore protagonista Gene Wilder, autore anche del soggetto e della sceneggiatura insieme allo stesso Brooks.
In questa nostra intervista, Isabella parla per la prima volta in maniera approfondita del suo nuovo libro.
Ciao Isabella, e grazie per la tua disponibilità.
Da dove nasce l’idea di parlare della genesi di Frankenstein Junior, nel tuo nuovo lavoro?Dalla passione sconfinata che ho nei confronti di Gene Wilder e Mel Brooks, sia come artisti sia come persone. È un amore nato per caso quando avevo 17 anni e che mi ha sempre accompagnato fino a oggi (che di anni ne ho 32), i loro film mi hanno tenuto compagnia in numerosi momenti di difficoltà e ho pensato che fosse il momento di ricambiare il favore. Mel, in una vecchia intervista, disse che i fan devono poter essere in grado di ringraziare i loro idoli, finché sono ancora con noi… Ho deciso di prenderlo in parola: questo fumetto è il mio personale ringraziamento.
Come si sono posti i tuoi lettori che ti seguono sui social, con il cambio radicale di argomento rispetto a Triplo guaio?
È una domanda che mi sono posta quando ho annunciato il nuovo progetto: scrissi un post sui miei social dicendo che in questo particolare momento la mia testa aveva bisogno di cambiare argomento o altrimenti ci sarebbe stato il rischio che Triplo guaio, nato come personale terapia psicologica, mi facesse l’effetto contrario. Siccome sapevo bene che non tutti potevano essere interessati al nuovo argomento, aggiunsi che avrei compreso se alcuni non avessero voluto seguirmi in questa nuova avventura. Comunque molti sono rimasti, altri no, altri ancora mi stanno seguendo dopo aver saputo del nuovo progetto. È giusto così.
In Triplo guaio hai affrontato il tema del tumore: come ti fa sentire sapere che il tuo libro può essere uno stimolo, un aiuto per tutte le donne nella battaglia al cancro al seno, così come per famigliari e amici che sono vicino alla persona malata?Contentissima, ovviamente. Quando disegnavo quelle strisce mi erano di grande sostegno e pensavo continuamente che avrei voluto essere di aiuto anche ad altre persone, volevo che non si sentissero sole nel provare quelle emozioni. Sapere che qualcun altro sta vivendo le stesse cose e ci si può ridere sopra aiuta a sgonfiare le ansie e a sentirsi meglio, almeno psicologicamente. Soprattutto su un argomento come il cancro, che in ogni sua rappresentazione televisiva e cinematografica è sinonimo di morte certa. Sapere che esistono anche persone (perché sì, esistono) che possono guarire… un po’ di sollievo, ti assicuro, lo dona.
Come hai deciso di affrontare la stesura di Si può fare? Da quale approccio sei partita, come ti sei documentata?
Inizialmente avrei voluto raccontare semplicemente le vite di Gene e Mel, ma c’era il rischio di fare un fumetto di 1800 pagine. Il mio editore, dopo aver affondato il viso nelle mani, mi ha fatto tornare in me e mi ha inserito sul giusto binario: sarebbe stato più saggio concentrarmi sul loro apice artistico, dunque Frankenstein Junior. Naturalmente aveva ragione. Da lì tutto è venuto molto spontaneo e in un mesetto circa ho buttato giù una bozza.
Riguardo la documentazione, invece, è frutto di anni di accumuli di materiale riguardo il loro lavoro. Ma quando mi è stato accettato il progetto ho dovuto dare un vero senso a tutto quello che avevo raccolto, catalogarlo bene e procurarmi altro materiale che mi è servito per tappare i buchi che mancavano e arricchire il tutto di ulteriori particolari.
La pellicola, a ulteriore dimostrazione del suo essere diventata uno dei pilastri portanti dell’immaginario collettivo moderno, ha generato molti libri e saggi intorno alla sua realizzazione e ai suoi iconici attori: quali spunti hai tratto da questa documentazione? E che cosa hai scoperto in questi scritti che ti ha aiutato nel tuo lavoro sul fumetto?Di tutto il materiale che ho utilizzato ci sono alcuni libri che sono stati indispensabili:
Funny Man di Patrick McGilligan (biografia enorme, precisissima e fondamentale che mi ha aiutato a conoscere davvero la figura di Mel Brooks). Kiss Me Like a Stranger di Gene Wilder (autobiografia molto dolce e sincera). Frankenstein Junior: memorie dal set e altre quisquilie di Mel Brooks (foto e retroscena della creazione del film, fondamentale per cogliere ogni dettaglio).
Qui ci sono le basi. Ma siccome delle basi non mi accontento e quando si parla delle vite degli altri serve molto rispetto, volevo davvero dare un’anima ai due protagonisti. Ho deciso di fare “quel miglio in più” (come dicevano in Scrubs). E quindi ho visionato interviste televisive del tempo, letto dichiarazioni di ogni genere su riviste locali, anche di chi li ha conosciuti, ascoltato i commenti audio dei loro tre film e molto altro. Dove invece non è stato possibile documentarsi ho messo in campo la mia sensibilità. Insomma, volevo fosse il più autentico possibile e in più ci ho messo il cuore.
Gene Wilder era noto per essere una persona gentilissima e soprattutto molto timida, quasi in modo inaudito per un attore. Questa sua caratteristica scompare completamente nel personaggio del professor Frankenstein (a differenza di altri suoi ruoli nei quali invece ritorna in forme diverse). Hai giocato, e in che modo, con questo elemento nella tua storia?
Gene e Mel hanno caratteri diametralmente opposti. Uno è timido, l’altro è un giullare. Uno vede il palco come il suo mondo, l’altro il mondo come il suo palco. Uno ha modi dolci e gentili, l’altro è sguaiato e volgarotto. Ma si sa, gli opposti si attraggono! Mel riusciva a sguinzagliare il lato matto di Gene e Gene, viceversa, riusciva a tenere a freno la pazzia di Mel. Frankenstein Junior ne è la prova perfetta, cuore e pazzia sono perfettamente bilanciati più che in qualsiasi altro loro film. È stato divertente giocare su queste loro differenze caratteriali.
Cosa pensi abbia rappresentato, per il cinema, la pellicola di Mel Brooks e Gene Wilder, e secondo te perché è ancora così radicata nell’immaginario comune, anche in Italia?
È una parodia ma in realtà è molto più di questo. È prima di tutto un tributo al cinema horror degli anni ’30 e lo tratta con grande rispetto. Si pensi solo al fatto che, durante la realizzazione delle scenografie, Mel scoprì che lo scenografo del primo film di Frankenstein conservava nel suo garage ancora tutte le attrezzature del laboratorio. Gliele comprò e le riutilizzò, quelle che vediamo nel film del 1974 sono esattamente le stesse attrezzature del film del 1931. Quante altre parodie hanno avuto così tanta cura nella realizzazione? Occhi e cervello lo percepiscono quando un film ti sta dando qualità, anche se non si è esperti di cinema.
E poi le interpretazioni dei sei protagonisti, quasi tutti dei completi sconosciuti ai tempi e quindi con una voglia incredibile di emergere: sfido chiunque, inoltre, a non citare almeno una frase dal film.
Riguardo l’Italia, poi, non scordiamoci che il film è stato benedetto da uno dei doppiaggi migliori della storia. Tutti questi elementi mischiati insieme spiegano perché questo film è tanto amato e immortale, soprattutto nel nostro Paese.
Dal punto di vista narrativo, quali sono state le differenze e le difficoltà nello scrivere la sceneggiatura, rispetto a Triplo guaio? E come hai deciso di strutturare il libro?Triplo guaio era un webcomic e gran parte di esso lo avevo realizzato prima di proporlo a BeccoGiallo, quindi seguendo i tempi che volevo. Si può fare! è nato cartaceo e con dei tempi ben precisi. Per me è stata una grandissima sfida personale perché ho voluto dimostrare a me stessa di poter gestire qualcosa di più elaborato e complicato, sia dal punto di vista grafico sia per la narrazione. Ho sudato molto ma sento di essere cresciuta come artista (anche se naturalmente non si smette mai di imparare!).
Riguardo la struttura anche questo nuovo fumetto è diviso a capitoli, come Triplo guaio.
Quale stile narrativo hai scelto per il fumetto, dovendo raccontare una sorta di “dietro le quinte” in maniera interessante anche per chi magari di solito non approfondisce cosa c’è dietro la lavorazione di un film?
Quando mi sono messa davanti al foglio bianco il mantra è stato sempre lo stesso: “non essere una pagina Wikipedia!”. Se dovessi far leggere, tipo lista della spesa, date e riferimenti, il lettore si addormenterebbe a pagina 4. Senza contare che è pieno di libri e siti che parlano già di queste cose. È un altro l’effetto a cui punto: prima del film vengono le persone che ci sono dietro. Voglio che il lettore si senta vicino a Mel e Gene, ci si affezioni, li senta come dei compagni di viaggio in cui possa immedesimarsi. In fin dei conti altri non erano che due quarantenni squattrinati in cerca di una svolta. Chi non ha mai sognato di fare altrettanto? Chi non ha un sogno da voler realizzare? Può essere la storia di ognuno di noi.
Per quanto riguarda il disegno, invece, hai lavorato in qualche modo sul tuo tratto?
In una recensione molto bella ricevuta l’anno scorso per Triplo guaio, l’autore sosteneva che il mio tratto era simpatico ma probabilmente non si sarebbe mai appeso un mio disegno in camera sua. Questa singola frase, che in realtà fu detta senza particolare spirito critico ma più per sottolineare che il mio stile virava verso il comico minimalista, non so perché ma mi è rimasta marchiata dentro. Probabilmente mi serviva solo una scusa per uscire dalla mia comfort zone e come propellente ho utilizzato quel passaggio.
In sostanza ho cercato il più possibile di giocare con le vignette e le inquadrature. Il solo lavoro che si può fare per migliorare è continuare a disegnare. Spero di esserci riuscita (e di finire appesa nella cameretta di qualcuno)!
Nel rappresentare graficamente l’aspetto di Mel Brooks, Gene Wilder e delle altre persone reali coinvolte nel film, come ti sei posta? Dov’era il punto di equilibrio tra l’essere fedele alla realtà e l’effetto “caricatura” di un segno umoristico?Per Gene è stato più facile perché la zazzera che ha in testa e i suoi occhi sono di per sé molto caratteristici, inoltre mi divertivo a disegnarlo già da ragazzina. Mel è stato più difficile. La ragione principale è che ha tratti fisici meno caratteristici, il secondo motivo è perché nella vita reale Mel si comporta come un personaggio dei cartoni animati, con versi e movimenti buffi (basti pensare che era sua usanza saltare sui tavoli per attirare l’attenzione) e temevo che il disegno potesse limitare questi tratti.
Mi sono impegnata molto per trovare una soluzione grafica che rendesse giustizia al suo aspetto fisico e alla sua vivacità. Se torno a vedere gli schizzi di prova realizzati l’anno scorso mi viene un po’ da ridere, era molto diverso da come lo disegno ora (è un modo più carino per dire che lo disegnavo proprio brutto). Mi è stato di aiuto vedere le sue interviste nei programmi televisivi tra gli anni ’60 e ’70, ho imparato molto sulla sua mimica facciale e i disegni si sono evoluti di conseguenza.
C’è stato un passaggio particolarmente complicato da rendere nella storia a fumetti?
Per fortuna no, una volta steso il soggetto era già tutto stampato nella mia testa: disegni, volti, dialoghi (e anche musiche!). Dovevo solo buttarli su un foglio. Ho corso davvero come un treno.
Sui tuoi social stai già da tempo pubblicizzando la tua ultima fatica, attraverso alcune “pillole” sulla realizzazione di Frankenstein Junior o sulle persone coinvolte, corredate da tuoi disegni inediti. Perché hai scelto questa modalità “didattica”? Che riscontri stanno avendo questi post?
Ho scelto questa modalità perché adoro da sempre la condivisione.
Magari là fuori ci sono altre persone che potrebbero essere interessate allo stesso argomento, magari vorrebbero conoscere le esperienze personali e lavorative di Mel e Gene, le persone che sono state loro accanto, vedere foto e video. Un’altra ragione per cui lo sto facendo è perché mi piace che chi leggerà il mio fumetto possa essere al corrente di tutto il contesto, scoprire perché i due protagonisti in alcuni passaggi della storia hanno reagito in una certa maniera oppure capire da dove proviene un determinato riferimento. Coglierebbe più sfumature, ecco. Ad esempio, nel fumetto ci saranno un paio di cenni al fatto che Mel è stato un veterano della Seconda Guerra Mondiale, cosa nota per chi conosce un minimo il personaggio; se però un lettore non sa di questo retroscena può venire sui miei social e leggere i post che ho dedicato all’argomento, imparando qualcosa di più. Chi già mi segue è sempre molto interessato nello scoprire cosa racconterò la settimana successiva, ricevo sempre commenti molto entusiasti!
Secondo me il fumetto e i miei post divulgativi si muovono parallelamente. Sono semplicemente una grandissima appassionata (o una gran logorroica?), ma è il minimo che possa fare per ringraziare chi mi ha dato gioia per quindici anni.
Grazie, Isabella, per il tempo che ci hai dedicato.
Isabella Di Leo
Classe 1988, Isabella Di Leo è da sempre appassionata di fumetto, videogiochi, film e serie TV. Diplomata in grafica pubblicitaria, ha da sempre lavorato in questo campo, ma lo sguardo era perennemente rivolto verso un altro orizzonte: il fumetto. Nel 2018 crea il webcomic Triplo guaio (www.triploguaio.it) in cui racconta in chiave ironica e metaforica ciò che ha vissuto quando ha scoperto di avere il cancro al seno. Il fumetto è presente anche sui social www.facebook.com/nuttyisa e www.instagram.com/nuttyisa e nel 2019 viene pubblicato in versione cartacea per l’editore BeccoGiallo.
Nello stesso anno lavora ad altri progetti fumettistici legati al campo dell’oncologia pediatrica.
A inizio 2021 uscirà il suo secondo fumetto Si può fare!, sempre edito da BeccoGiallo e incentrato sul racconto della realizzazione del film Frankenstein Junior.
Intervista realizzata via mail il 1° settembre 2020