“E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». […] Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.”
I versetti 26 e 31 del primo capitolo del Libro della Genesi riguardano la creazione dell’uomo e il compiacimento di Dio di fronte all’opera portata a termine. Questi brevi passaggi del racconto biblico danno il via alla storia umana, prima nel Giardino dell’Eden, quindi, rotto irrimediabilmente il patto con il Creatore, nei paesaggi caotici della Terra.
Mathieu Bablet, autore di sceneggiatura, disegni e colori di Shangri-La, fa indossare agli uomini i panni di Dio, dopo che essi stessi hanno distrutto il loro pianeta natale.
“Ci hanno portato via la Terra“
Dopo la “grande catastrofe del XXI secolo“, l’homo sapiens sapiens ha dovuto abbandonare la propria casa, cercando la salvezza in una colonia, dando vita a una società autoalimentata all’apparenza perfetta, racchiusa nei confini solidi e (poco) rassicuranti di una stazione spaziale orbitante. Controllare le persone all’interno di un perimetro circoscritto è più facile, secondo la tesi sostenuta dalle Tianzhu Enterprises che governano il nuovo mondo.
I cosiddetti “tempo di Dio” e “tempo dell’uomo” coincidono, ritmati dalle parole del dio-multinazionale: vivere, lavorare, comprare, dormire, amare, rimborsare, buttare, comprare ancora…
Ma la lunga mano di Tianzhu non stritola solo i lavoratori che a fine giornata si riposano nei loro loculi a forma di lettera F; essa raggiunge persino Shangri-La, un’area che si estende nei pressi dell’equatore di Titano. La zona, bersaglio della terraformazione, è stata scelta per ospitare l’homo stellaris, la creazione ex nihilo, il montepremi dell’uomo che gioca a essere Dio.
“Un’alternativa c’è sempre“
Tale seconda genesi è soltanto uno dei temi trattati da Bablet nella sua opera fantascientifica. Sebbene l’ambientazione sia aliena e la collocazione temporale coinvolga il futuro, l’autore non cela le numerose critiche alla società in cui viviamo.
Shangri-La, dunque, si presenta come un fumetto impegnato e impegnativo, a partire dalle modalità utilizzate per esprimere la denuncia del consumismo, della sperimentazione genetica, del fanatismo e dei soprusi ai danni delle minoranze. Infatti, agli slogan e alle frasi a effetto si affiancano dialoghi ricchi di argomentazioni tanto solide quanto didascaliche. I concetti vengono ribaditi più volte risultando talvolta ridondanti, sebbene sia apprezzabile la ferma presa di posizione dell’artista.
In particolare, la sua voce sembra risuonare, almeno inizialmente, nelle parole pronunciate dalla Resistenza, un’organizzazione clandestina che cerca di opporsi allo strapotere di Tianzhu. Successivamente, però, si insinua nello spartito una nota cacofonica, coincidente con il cosiddetto spirito gattopardesco familiare ai lettori di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Il famoso passo “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, spesso parafrasato con la tautologia “cambiare tutto perché nulla cambi”, ben si attaglia alla vera anima della rivoluzione. L’obiettivo non è ripartire da zero dopo lo stravolgimento, bensì sottrarre il potere a chi lo possiede per esercitarlo nello stesso modo.

“Siamo al massimo grado di civiltà! Cosa vuole di più?“
Il protagonista è Scott Péon, un dipendente di Tianzhu, inizialmente così miope da ritenere che l’uomo abbia raggiunto il massimo grado di libertà proprio nella stazione spaziale. Scosso dal fratello Virgile, Scott si rivela come un personaggio dinamico, ma non sufficientemente forte per affermarsi sui comprimari. Infatti, a colpire il lettore è John, non un essere umano ma un animoide. L’uomo, dopo aver condannato la Terra, le piante e gli animali, ha sentito il bisogno di creare in laboratorio degli ibridi: animali dotati della parola, della deambulazione in posizione eretta e addirittura di sentimenti.
Personificazione dell’intera specie, John subisce, rassegnato, continui atti di bullismo da parte della razza superiore. Ecco che Bablet grida la propria indignazione: siamo alla continua ricerca di un capro espiatorio, di una valvola di sfogo, di un debole su cui affermare la nostra superiorità. Inoltre, in una sequenza particolarmente concitata, gli animoidi diventano allegoria degli stranieri accusati di rubare il lavoro ai “nativi”.
A tutto questo il dio-multinazionale come reagisce? Il totale distacco del governo è sorprendente, ma motivato. Tianzhu non interviene a difesa degli emarginati e non si cura della ribellione. Perché ricorrere alla repressione violenta quando è possibile uccidere l’anima?
“Un Big Bang solo per me”
Bablet dà forma alla sua solida e destabilizzante fantascienza, giocando con i colori distribuiti nelle tavole di grandi dimensioni, impreziosite da una modulazione dinamica della griglia. L’ocra e il marrone caratterizzano incipit ed explicit del racconto, entrambi ambientati nei pianeti della galassia all’insegna della circolarità della fabula; il giallo acido invade i corridoi stretti della stazione e delle navi spaziali; il rosso e il viola regolano il confronto tra Scott e Tianzhu.
Mentre varie gradazioni di blu e di grigio acuiscono la sensazione di claustrofobia causata dagli ambienti chiusi e sviluppati verticalmente (com’è abituale per la fantascienza influenzata dalla visione di Ridley Scott in Blade Runner), la libertà dello spazio aperto viene concretizzata dall’uso di tinte realisticamente brillanti.
Le splash-page, spesso mute, sembrano nitide fotografie scattate da un satellite orbitante nella Via Lattea. Sulla stessa lunghezza d’onda si collocano i fenomeni naturali, immortalati in vignette di ampio respiro.
Alla ricchezza cromatica non corrisponde altrettanta cura nella varietà dei volti. I tratti somatici, in particolare il naso, si ripetono, rendendo eccessivamente somiglianti i personaggi, al punto che, talvolta, risulta complesso distinguerli tra loro. Per spezzare questa monotonia sono fondamentali i movimenti fluidi dei corpi, dal momento che a essi si deve il contributo più significativo nella riuscita recitazione degli attori.

“Trentamila anni dopo“
Nell’ultima, suggestiva sequenza, la martellante voce critica tace per cedere il passo alla speranza. È una speranza muta, istintiva, regressiva, potremmo azzardare “sostenibile”, per restare in linea con la forma mentis di Bablet. Shangri-La è un fumetto che invita il lettore a riflettere e ad assumersi responsabilità nei confronti della Terra, dei propri simili, della flora e della fauna sulle quali il Dio biblico l’ha chiamato a dominare.
I limiti evidenziati – ripetitiva e didascalica affermazione dei concetti e ridotto eclettismo nella raffigurazione dei volti – non depotenziano eccessivamente un racconto in grado di imprimersi nella memoria per l’importanza e l’attualità dei temi trattati e la carica visiva di alcune tavole.
Abbiamo parlato di:
Shangri-La
Mathieu Bablet
Traduzione di Paola Checcoli
Mondadori, ottobre 2017
224 pagine, cartonato, colori – 22,00 €
ISBN: 9788804684015