Seventeen: la “gioventù bruciata” del Giappone post-atomico

Seventeen: la “gioventù bruciata” del Giappone post-atomico

Baron Yoshimoto racconta senza giudicarla una generazione difficile, in un'antologia di storie brevi degli anni '70 e approdate per la prima volta in Italia.


Diciassette anni sono un’età cruciale nella formazione di una persona, è il momento in cui ci accingiamo a lasciare l’adolescenza per affacciarci alla vita adulta. Allo stesso modo, gli anni ‘50 e ‘60 sono stati un po’ la post-adolescenza di molti Paesi, un lungo periodo di transizione fra l’irrazionale distruzione del secondo conflitto mondiale e la maturità della società modernimage-2a con le sue democrazie (più o meno) stabili. La turbolenta convivenza di un’adolescenza privata e un’adolescenza storica è il trait d’union dei racconti contenuti in Seventeen, volume unico edito da J-Pop manga che rappresenta un piccolo evento editoriale: è infatti la prima edizione italiana di un’opera di Baron Yoshimoto, ottantenne ed eccentrico mangaka ben noto in Giappone e Usa.

Si tratta di undici racconti brevi, originariamente pubblicati tra il 1970 e il 1975, pienamente ascrivibili al genere del gekiga, il fumetto drammatico per adulti sviluppatosi intorno ai primi anni ‘60 grazie alle opere di maestri come Takaho Saito e Yoshihiro Tatsumi e di cui Yoshimoto è un esponente di spicco della seconda generazione.
Il gekiga racconta storie a tinte fosche ambientate nel Giappone del dopoguerra, prediligendo gli umili, i sopravvissuti a stento e le loro microstorie quotidiane. Volendo fare un’analogia più vicina alla nostra cultura, potremmo descrivere il genere come una sorta di Neorealismo a fumetti, a tratti ancor più cupo, ancor meno poeticizzante.

I racconti di Yoshimoto parlano della gioventù degli anni ‘60 e ‘70 in un Giappone ancora pieno di contraddizioni, in cui appartenere a un ceto basso significava rinunciare a qualsiasi desiderio di ascesa o anche solo di redenzione, una frustrazione tanto più accentuata se vissuta in un’età così delicata e incerta.

Voglio spaccare il mondo. Avvelenare questi panorami a me del tutto incomprensibili e insopportabili

Questa frase di apertura al volume ci fa subito pensare a storie di rabbia giovanile, di rancore pre-punk, ma si rivela ben presto una sorta di inganno. Di rabbia ne troviamo tanta, nell’arco dei racconti, ma solo in pochi casi la vediamo sfociare in atti di autodeterminazione, spesso anzi resta implosa, inespressa, o dà vita a una violenza vuota, priva di qualsiasi esito o progresso.

Le storie sono raccolte in ordine cronologico rispetto alla pubblicazione originale, possiamo dunque osservare le evoluzioni stilistiche dell’autore da un punto di vista sia visivo che narrativo.

La prima storia, intitolata 17 anni, racconta un morboso rapporto tra due studenti, che si rivela in realtà il riflesso di un ancora più morboso e clandestino rapporto tra i loro genitori; una storia di amore, tradimenti, morte, sesso e vendetta, dai caratteri un po’ troppo esasperati, decisamente la meno riuscita del volume.
Il livello si alza però già col racconto seguente, La felicità di Eriko, in cui una ragazza diventa l’amante di un fascinoso dirigente dall’aspetto quasi identico a quello di suo padre, perso in tenerissima età. 
L’atmosfera si fa più distesa nelle due storie successive, Shinkansen blues e La poesia dell’insalata, che raccontano rispettivamente della cameriera di un treno ad alta velocità e di un assistente nella cucina di un night-club (lavoro effettivamente svolto dallo stesso autore prima di approdare al mondo dell’arte). Con toni più leggeri, si racconta una quotidianità lavorativa sicuramente non priva di amarezza, ma ben guarnita da elementi comedy.

I toni drammatici ritornano prepotenti in Nostalgia della terra natale, ispirata ai versi del poeta Rinshun Go, in cui un uomo su un molo ripensa alla ragazza di cui si era innamorato quando aveva diciassette anni, perduta per sempre a causa delle maldicenze di un commilitone invidioso.
Sexy barber e Masako sono due racconti per molti versi gemelli, in entrambi una bellissima ragazza si prostituisce mentre l’autore si diverte a ritrarre il variegato girotondo di maschi che le si forma intorno, da quelli più meschini, agli ingenui innamorati.
Yoshimoto racconta la prostituzione giovanile restando in equilibrio sul delicatissimo filo del giudizio, gioca quasi a sconcertare il lettore, illudendolo di simpatizzare ora per la ragazza, ora per i clienti, in realtà senza mai davvero esporsi, come se volesse dirci che nessuno è esente da difetti e che raccontare la dignità di una giovane che decide di “vendersi” non impedisce di raccontarne anche le piccole ambiguità o l’opportunismo

Difesa nazionale è l’interessante “pecora nera” della raccolta. L’autore abbandona per un attimo i toni realistici e oggettivi del gekiga per introdurre elementi fantastici ed esprimere scopertamente delle opinioni di natura politica. Ad avere diciassette anni stavolta è Kuro, un gatto parlante dalle idee scopertamente militariste, acerrimo rivale di un gatto bianco con gli occhiali (alter ego dello stesso autore?) che invece sostiene che la spesa stanziata dal governo giapponese per l’esercito sia eccessiva e anticostituzionale. Un racconto che rivela l’animo eclettico e trasversale di Yoshimoto.

Il volume prosegue con altri tre episodi: High school brawler ditty, storia di due teppisti appartenenti a bande rivali che si contendono l’amore di una ragazza; Mitsuko, l’ascesa di una impacciatissima commessa di un grande magazzino, che alla fine trova il suo riscatto eppure, giunti all’ultima vignetta, si rivela meno buona di quanto sembri; e infine Partenza, all right! una storia d’amore che chiude il volume con un tono di speranza, un lieto fine non esplicitato ma altamente probabile.

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Yoshimoto crea personaggi dalla psicologia molto sfaccettata, dal comportamento contraddittorio e dalla moralità altalenante, in cui ogni vittima è un po’ anche carnefice e viceversa. Questo gli permette di evitare un giudizio aperto sui “suoi” ragazzi, restituendoceli per quello che sono: persone vere in un’età delicata e in una condizione sociale ed economica tutt’altro che semplice. La narrazione non sempre lineare, con frequenti salti nello spazio o nel tempo, aiuta a creare dei rovesciamenti, quasi dei colpi di scena attenuati, privi di sensazionalismo, il cui scopo non è sorprendere ma portare il lettore a ripensare i personaggi costringendolo a riconsiderarne alcuni aspetti. Il finale, spesso lasciato sospeso, contribuisce inoltre a dare alle storie un senso di continuità, a suggerire che una vita presa nel suo mezzo non può avere una conclusione, che la parola “fine”è solo un espediente narrativo non applicabile alla vita reale. 

L’autore adotta alcune scelte grafiche molto interessanti: la rigida ripartizione delle vignette sulla tavola è talvolta spezzata da rare ma efficaci trovate visive, come quando l’aspirante chef di un racconto paragona la sua arte al lavoro di un’orchestra e tale orchestra viene visualizzata in un disegno improvvisamente più dettagliato, di un realismo quasi fotografico . Non contento Yoshimoto ci dice anche cosa dobbiamo “sentire”, annotando: “Immaginatevi Frühlingsstimmen di Strauss“. In questo e altri casi il disegno risulta arricchito e reso più espressivo dal frequente uso dei pennelli, che creano, dove necessario, espressioni più sfumate nei personaggi, o aggiungono pathos ad alcuni momenti, come nella vignetta in cui appare un carro armato circondato da grosse pennellate nere, che lo rendono più evidente e minaccioso.
Il viso dei protagonisti è tratteggiato in modo realistico ed espressivo, mentre alcuni comprimari appaiono deliziosamente caricaturali, dimostrazione della grande versatilità stilista di Yoshimoto. Meno vari invece i volti femminili: le belle ragazze delle storie hanno tutte lo stesso viso di porcellana dagli occhi grandi e un po’ tristi. Eppure considerato lo stile dell’autore nel suo complesso, viene quasi da pensare che l’analogia estetica fra quei personaggi sia voluta, come se fossero tanti volti di una stessa, bellissima diciassettenne.


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L’agio con cui Yoshimoto spazia tra stili, psicologie e trovate visive non meraviglia se si considera l’eclettismo che ha caratterizzato la sua intera esistenza: studente di pittura all’Accademia di Belle Arti di Musashino, si interessa ben presto al gekiga, stringendo amicizia con personaggi del calibro di Kazuo Kamimura (Lady Snowblood; I fiori del male) e Monkey Punch (Lupin III). Cintura nera di judo, realizza una fortunatissima serie sulle arti marziali chiamata Jukyoden, eppure non dimentica la sua grande passione di bambino, i fumetti di supereroi americani.
Giunto all’apice del successo in patria decide dunque di tentare il colpaccio e trasferirsi in America: all’inizio degli anni ‘80 diventa il primo mangaka giapponese a lavorare per la Marvel, realizzando alcune storie per Conan il Barbaro, in uno stile sorprendentemente diverso rispetto a quello usato nei manga. Tornato in Giappone alcuni anni dopo comincia a dedicarsi con più impegno alla pittura, sostenendo che il foglio di carta è troppo piccolo  per contenere le sue ispirazioni.

Vincitore di numerosi premi e protagonista di un’importante mostra a Los Angeles, oggi Baron Yoshimoto, con la sua aria svagata e il cappello da cowboy è un arzillo ottantenne amatissimo dai cultori del manga in ogni parte del mondo. Sorprende anzi che le sue opere giungano in Italia soltanto adesso. Al di là dei ritardi però, ci auguriamo che un biglietto da visita ben confezionato come Seventeen – con tanto di cenni biografici e intervista all’autore in appendice – sia l’inizio di una più approfondita riscoperta di un artista che ha avuto, e ha tuttora, molto da dire.

Abbiamo parlato di:
Seventeen
Baron Yoshimoto
Traduzione di Roberto Pesci
J-Pop Manga, 2020
408 pagine, brossurato, bianco e nero – 18,00 €
ISBN: 9788834902233

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