Rileggendo Sandman: La stagione delle nebbie

Rileggendo Sandman: La stagione delle nebbie

Ne La Stagione delle Nebbie, Gaiman riprende l'intreccio principale della saga e inserisce Sandman nella mitologia tradizionale. Continua il nostro approfondimento su una delle saghe fumettistiche piu' importanti di tutti i tempi.

Sandman: La Stagione delle NebbieLa stagione delle nebbie riprende esattamente là dove terminava “Casa di Bambola“: dopo la parentesi di approfondimento de “Le Terre del Sogno“, Gaiman ritorna alla linea narrativa principale, procedendo secondo quel piano che porterà alla catastrofe de “Le Eumenidi” e che molti dettagli qui presenti consentono di considerare già definito a questo stadio della pubblicazione. Dal punto di vista meta narrativo, invece, questo arco è esemplare del progetto dello scrittore inglese di inserire la saga di Sandman entro il paesaggio mitico tradizionale, così come “Preludi e Notturni” lo aveva inserito nell’universo DC, e di radicarlo nel territorio letterario extra fumettistico. Lo strumento utilizzato è ancora quello classico della letteratura: la citazione. Già negli episodi de “Le Terre del Sogno“, Gaiman aveva utilizzato riferimenti extra fumettistici: non solo lo Shakespeare di “Sogno di una notte di mezza estate“, ma anche il personaggio di Calliope nell’episodio omonimo, od il Ra con cui interagisce la Elemental Girl di “Façade”. Se il dio del sole egizio ha il ruolo classico di deus ex machina, Calliope è già strumento di connessione fra la narrazione di Sandman e quella mitica.
Analizziamo quindi l’approccio di Gaiman.

UNA MAPPA DI LETTURA

La Stagione delle Nebbie” è divisa sostanzialmente in due parti, separate da un racconto che funge da chiave di volta dell’arco narrativo, secondo la stessa architettura messa in opera in “Casa di Bambola”. L’intreccio si sviluppa da un colpo di teatro a dir poco clamoroso, la chiusura dell’inferno, che occupa la prima parte, verso una sorta di “wodunnit[1]: Lucifero ha consegnato a Sogno le chiavi del suo regno e questi deve decidere se tenerle o affidarle ad altri ed in questo caso a chi, fra una pletora di personaggi che rivendicano il diritto al suo possesso. Una delle conseguenze della decisione di Stella del Mattino è il ritorno dei morti nel mondo, ma questo spunto, per quanto potente, nutre solo il racconto chiave di volta, il quarto capitolo, che risalta non solo come il migliore del volume, ma anche come uno dei migliori dell’intera saga, esempio dell’abilità di Gaiman nel mettere in scena le crudeltà nel quotidiano. Per il nostro ragionamento intorno alla volontà di saldare l’opera fumettistica alla letteratura tradizionale, fa gioco notare come questo racconto si inserisca nel ricco filone inglese di storie di infanzia con toni duri, che vanno da Dickens a Pullman. Nel Regno di Sogno, lo svuotamento dell’inferno guadagna giusto un siparietto quasi comico fra Sogno e Death, costretta ad un imprevisto superlavoro.
La seconda parte del volume si concentra su alcuni dei pretendenti e sulle loro rivendicazioni ed offerte di scambio. Motivazioni e trattative si basano sui miti di cui i vari personaggi sono protagonisti: in questo modo, Gaiman non solo include (fagocita) quei miti nello scenario della storia, ma anche dichiara che Sandman appartiene al mito classico (e non solo a quello moderno supereroistico).
é importante notare che Gaiman sceglie di non raccontare quei miti: la narrazione diventa quindi allusione, nel senso che l’autore non offre ciò che è oggettivamente necessario per capire pienamente contesto e vicende, ma solo una serie di riferimenti, in forma di nomi, che possono essere in vario grado noti al lettore (tramite una conoscenza che va dalla familiarità che consente di afferrare nessi e forse significati particolari, a quella vaghezza che fa semplicemente immaginare che esista uno scenario ben più profondo di quello mostrato, che può essere sorgente di sorprese ed imprevisti).
Dal punto di vista della scrittura, siamo di fronte ad un caso tipico di scelta del punto di equilibrio fra chiarezza e condivisione, da una parte, e fascino e suggestione, dall’altra. Privilegiare il primo estremo, descrivere cioé tutti gli aspetti dello scenario, mette il lettore in grado di apprezzare compiutamente gli spunti narrativi, ma presenta il rischio di appesantire la narrazione. Si pensi a Shirow Masamune, che in gran parte delle sue opere presenta sinotticamente trama e contesto, in forma di note, anche corpose, a margine della tavola; laddove l’integrazione è felice (ad esempio “Orion“), il risultato è un profondo coinvolgimento del lettore in un mondo quasi irriducibile alla sua esperienza, ma altrove (“Man Machine Interface“), questo suo approccio rende farraginosa la lettura. Altro esempio interessante di presentazione di contesto, che non si riduce al famigerato ”spiegoné, camuffato da lezione, conferenza, improvviso ed estemporaneo riepilogo in forma di riflessione o dialogo, è quello proposto da Alan Moore in “Watchmen” o “La Lega degli Straordinari Gentlemen“, tramite una serie di intermezzi giornalistici.
Scegliere un punto di equilibrio vicino all’estremo dell’allusione significa invece assumere che il lettore sia in grado di afferrare le citazioni proposte, almeno al livello minimo necessario alla comprensione dell’intreccio; in altre parole, la natura di questi riferimenti fissa una sorta di soglia minima alle conoscenze del lettore e non di rado la percezione grossolana di quello che si indica livello (culturale) od erudizione di un”opera avviene proprio rispetto a questo tipo di contenuti. Si noti che non si tratta solo della quantità dei riferimenti, ma anche della loro natura, ovvero dal dominio di conoscenze a cui quei riferimenti puntano (cioé a quale campo culturale appartengono: letteratura, scienza, religione, mitologia, ecc.) e proprio su questo secondo aspetto si basa la più rozza delle catalogazioni di una narrazione come ”altà o ”bassà. Brutalmente: citare Shakespeare fa cultura, citare Stan Lee fa nerd.
In Sandman, Gaiman sceglie come domini di riferimento costante quelli della letteratura e della mitologia classica extrafumettistica, affiancandoli senza soluzione di continuità a quello della letteratura a fumetti. Detto altrimenti, dalla metà degli anni 1980, il mondo del fumetto sembra essersi stancato di essere confinato al ruolo di nerd ed intende accedere allo spazio della cultura; quindi, con Moore si impegna nel racconto socio-politico e nella decostruzione del genere supereroistico, con Gaiman propone trame intessute di citazioni prese dalla cultura tradizionalmente intesa e non limitata al fumetto. A questo riguardo, merita sottolineare che in Sandman evita le spiegazioni sia per le citazioni extra fumetto, sia per quelle intra fumetto, tradizionalmente presenti, nella forma di note a bordo vignetta, nelle varie avventure supereroistiche. Questo piccolo dettaglio evidenzia che Gaiman utilizza tradizione fumettistica e cultura nello stesso modo, ponendole quindi sullo stesso piano.

Se in “Preludi e Notturni” e “Casa di Bambola“, l’avventura di Sogno si dipanava entro l’universo DC, adesso l’autore la contestualizza nell’universo costituito dall’insieme dei miti delle varie civiltà. Personaggi di varie mitologie erano già apparsi nel mondo supereroistico, ma l’operazione di Gaiman è ben diversa: non una riscrittura del personaggio del mito in chiave supereroistica, bensì la sua proposizione vorremmo dire filologica. Si pensi al personaggio di Thor, ed alla differenza fra il supereroe e la figura che incontriamo in queste pagine. Questa differenza deriva dall’obiettivo di radicare un personaggio nuovo (Sogno, gli Eterni) nella tradizione mitica, in quell’universo che fonda l’immaginario collettivo; obiettivo simmetrico a quello ordinario di portare (riproporre) un mito classico nel presente (approccio che, in senso positivo è comunque testimonianza della vitalità del mito e dei suoi archetipi). Anni dopo, in “American Gods“, lo scrittore inglese affronterà esplicitamente il problema della fondazione dell’immaginario collettivo attraverso la definizione dei miti comunitari e della loro relazione con l’umanità; il dettaglio di conoscenza della mitologia evidente ne “La Stagione delle Nebbie” è lo stesso che vedremo all’opera nel romanzo.

SANDMAN: IL FUMETTO COME LETTERATURA

Stagione delle Nebbie” è titolo ripreso da un verso della poesia “All’Autunno“, di John Keats [2] ed inizia riprendendo sostanzialmente “Il giardino dai sentieri che si biforcano” di Jorge Luis Borges [3]. Quindi, dopo lo Shakespeare del “Sogno di una notte di mezza estate[4] e le citazioni presenti in “Calliope“, Gaiman continua a proporre le suggestioni della letteratura cosiddetta ”altà. L’abbondanza di riferimenti letterari è un”altra delle caratteristiche che hanno distinto Sandman e resa più profonda la sua penetrazione fra i lettori, fino a renderlo, per alcuni, il prototipo del fumetto ”coltò (le virgolette alludono ad una catalogazione di senso comune e non rigorosa e tanto meno analitica) [5].
Sandman: La Stagione delle NebbieL’importanza di questo aspetto deriva dalla percezione del ruolo del fumetto, inteso come mezzo di comunicazione, da parte degli stessi appassionati: pur afferendo al campo della narrativa e delle arti figurative, il fumetto è rimasto ben più a lungo del cinema confinato nel recinto dei prodotti di bassa qualità. Per questo, il riconoscimento ottenuto da “Sogno di una notte di mezza estate” ai Fantasy Awards è vissuto quasi come una sorta di riscatto del mezzo espressivo fumetto da parte di molti dei suoi estimatori, come testimonia la prefazione di Harlan Ellison a questo volume. Di sfuggita, vale la pena notare che notevoli esempi di utilizzo di fonti letterarie per storie a fumetti sono molto antecedenti a Sandman (“L’Inferno di Topolino” di Martina e Biletto data 1949 [6]), per cui l’analisi il rapporto fra mondo fumettistico ed extra-fumettistico dovrebbe partire dalle specificità nazionali; in particolare, le presenti considerazioni si riferiscono al mondo dei fumetti statunitensi.
Uno dei fondamenti della convenzione ad escludere il fumetto dal territorio dell’arte era probabilmente il considerare le sue narrazioni ed i suoi autori appartenenti ad un mondo a sé e sostanzialmente autoreferenziale. Sebbene le analogie con la storia del cinema non manchino, mentre questo era rapidamente assurto ad arte, nel senso che si dava atto al cinema di poter creare opere d”arte, il fumetto restò nel proprio limbo. Chi frequentava letteratura ed arte, come appassionato o critico, detto grossolanamente, evitava il fumetto, che restava territorio sostanzialmente inesplorato, alla stregua di quelle zone bianche delle carte geografiche, che riportavano ”hic sunt leones” e che si consideravano desertiche, prive di risorse interessanti ed eventualmente abitate da ”selvaggì. Questo atteggiamento, naturalmente, ostacolava qualsiasi ibridazione, tecnica o poetica, fra il fumetto e le altre discipline, rallentandone quindi l’evoluzione. Anche quando gli eventi del reale, ad esempio la Seconda Guerra Mondiale, irruppero nelle tavole, si ebbero opere di livello poco più che propagandistico. La considerazione del fumetto come mezzo in grado di produrre arte, e quindi mezzo espressivo ugualmente potente rispetto alle altre arti figurative, rimase marginale (al proposito è interessante notare come il fumetto avesse già espresso alcuni dei suoi capolavori, basti pensare al “Little Nemo” di McCay: il riconoscimento del valore di quell’opera ha dovuto attendere quello della pari dignità del fumetto rispetto alle altre tecniche).
Segnale clamoroso di questa discriminazione è il fatto che per lungo tempo il fumetto non sia stato considerato un linguaggio, con proprie specificità, che può richiedere anche un”educazione per essere compreso (in altre parole, per lungo tempo non è esistita una critica fumettistica).
Il problema, come accade per la letteratura di genere, era tuttavia non certo nel mezzo, quanto nel sistema composto dagli autori e dell’editoria fumettistica, che aveva scelto e definito il proprio pubblico di riferimento come un pubblico che cercava sollecitazioni elementari; scelta che, negli Stati Uniti degli anni 1950, fu anche conseguenza del famigerato “Comic’s Code“, il codice di autoregolamentazione degli editori, che intendeva regolare i contenuti dei fumetti al fine di salvaguardare l’educazione dei bambini. Il Comic’s Code deve essere visto come una classica forma di censura, che pose vincoli oggettivi a editori e scrittori: l’analisi dei suoi effetti sul fumetto va chiaramente al di là degli scopi di questo articolo, ma è intuitivo che, come qualsiasi forma di censura, abbia in prima approssimazione limitato il campo delle tematiche trattate e la dinamicità stessa dell’editoria.
Dalla seconda metà degli anni 1960, finalmente il fumetto incontra il mondo, nel senso che non solo (non tanto) gli autori sono disposti a parlarne, ma anche l’editoria crede in questo nuovo approccio, scoprendo un nuovo mercato ed un nuovo pubblico, che dimostra di apprezzare il nuovo linguaggio fumettistico [7]. Nuovi temi e nuovi stili appaiono e diventano mainstream (mai trascurare l’importanza del passaggio da cultura di nicchia a cultura diffusa); il fumetto inizia la sua uscita dal ghetto e con esso (o sulle spalle de) i suoi lettori. Il lettore di fumetti non è più, non si considera più, un lettore di serie B, di scarsa cultura, magari circoscritta al fumetto stesso, e Sandman si pone come documento esemplare di questo passaggio.

Note:
[1] ”Wodunnit” è l’espressione con cui si indicano nella narrativa e nel cinema gli intrecci interamente basati sulla ricerca del responsabile e del meccanismo di un delitto.
[2] John Keats: “All’autunno” in Poesie, Mondadori.
[3] Jorge Luis Borges: “Il giardino dei sentieri che si biforcano” in “Finzioni”, Einaudi.
[4] Cfr. l’articolo di questa serie su “Le terre del sogno”: www.lospaziobianco.it/4281-sandman-terre-sogno.
[5]Sottolineo che non intendo definire ”coltò Sandman in quanto abbonda di citazioni extrafumettistiche (per questo aspetto, il termine appropriato è infatti ”eruditò); allo stesso modo, non lo ritengo opera per soli profondi conoscitori del mondo fumettistico, nonostante la quantità di riferimenti che ne punteggiano le tavole. In questa serie di articoli non intendo discutere di che cosa sia ”culturà e delle possibili classificazioni di Sandman. Mi interessa, piuttosto, sottolineare l’evoluzione della percezione di che cosa sia e possa esprimere il fumetto da parte di autori, editori, lettori e critici, conoscitori del fumetto ed estranei ad esso. Quindi, il punto non è se Sandman sia ”letteratura coltà (per cui sarei costretto a chiarire i termini ”letteraturà e ”coltà), bensì come Gaiman ne progetti la scrittura, in vista di quali obiettivi. Ringrazio Valerio Stivé per aver evidenziato questa ambiguità del presente articolo e spero di avere occasione di tornare sull’argomento in uno dei prossimi.
[6] Chi non lo conosca lo può trovare disponibile in pdf qui: www.disney.it/publishing/topolinomagazine/news/speciali/cms_res/inferno1.pdf
[7] L’opera tipicamente citata come simbolo di questa nuova strada del fumetto è il celeberrimo “Pogo”, di Walt Kelly, che unì, è bene sottolinearlo, la raffinatezza tecnica e poetica al successo commerciale: significa che il mondo dei lettori e degli autori di fumetti era pronto.

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