È consolante vedere come l’Arte, senza alcuno sforzo e facendosi beffe degli slanci conservatori e delle tragiche profezie di alcuni lettori nostalgici, continui tranquillamente a rinnovarsi, a ricominciare, attirando a sé sempre nuovi autori dotati di talento, della precisione nel trasmetterlo e – cosa altrettanto importante – della capacità di tradurre in testi e in immagini quella che è la realtà del momento.
E accade proprio questo, si ha questa bella sensazione leggendo Ruggine, fumetto scritto da Francesco Vicentini Organi ai testi e Fabiana Mascolo alle matite, e che fa parte della collana NEXT, pregevole iniziativa dedicata dalle Edizioni BD agli autori giovani o esordienti. Tutto funziona, il lavoro è molto valido, e si arriva al finale rassicurati: per quanto si possa temere che dopo WinsorMcCay, dopo Eisner, dopo Alan Moore, dopo Sclavi, dopo Gipi, ci sia l’apocalisse, questa sembra invece destinata a non avvicinarsi mai. Ci sono e ci saranno sempre fumettisti (così come scrittori, poeti, registi e musicisti) capaci di intrattenerci con intelligenza e buon cuore, stupirci e divertirci, farci appassionare e riflettere, impressionarci e soddisfarci.
Ruggine raggiunge pienamente tutti questi obiettivi, e lo fa con la storia più semplice del mondo (ma non per questo inattuale o meno valida): quella di un ragazzo tradito dalla fidanzata, che lo ha lasciato per il suo migliore amico. Ora i due – a peggiorare le cose per il nostro sensibilissimo eroe – stanno anche cercando di riavvicinarsi a lui, di spiegare le loro ragioni, di riallacciare quei rapporti di amicizia che non sentono di aver offeso, e non migliora la situazione il fatto che alle soglie del 2020 nessuno “scompare” veramente dai radar di una persona: basta un social media per continuare, se non a interagire, a spiare, e dunque a soffrire.
Non servono a rendere più leggera la sofferenza neanche gli interventi degli amici, che cercano di far uscire il nostro eroe dal proprio guscio, e in particolare quelli di Margherita, l’amica di sempre, che da sempre ha un debole per il protagonista, e che a costo di sembrare quella che “approfitta della situazione” ha deciso di farsi avanti. Peccato che gli infiniti stimoli non facciano che confondere ancora di più il nostro eroe, che un giorno decide che di soffrire ne ha abbastanza. Ed ecco, materializzata dal fondo opaco della sua mente, apparire un’armatura da cavaliere della Tavola Rotonda, che (forse) riuscirà a isolarlo per sempre da ogni sofferenza.
Peccato anche che, come tutti noi ben sappiamo, ogni armatura porta con sé la sua ruggine, e fuggire, rinchiudersi, non serve a risolvere i problemi, ma al massimo ad accantonarli, a nasconderli, a illudersi che non esistano.
Francesco Vicentini Organi scrive Ruggine con numerose frecce al suo arco: sa imbastire personaggi credibili e umani, sa dar vita a dialoghi realistici, sa mettere in relazione le numerose comparse facendole interagire insieme (quanti autori lo fanno, oggi? non molti), sa cambiare registro narrativo con naturalezza, sa giocare con le strutture e i ritmi del fumetto, sa rispettare i tempi della storia, sa mettere in piedi situazioni credibili ed è in grado di riprodurre fedelmente quella che è la sua realtà.
Usa con grande praticità e importanza internet, gli smartphone e i social media (elementi ormai determinanti nella vita della gente) senza dare l’impressione di un loro uso posticcio, pretestuoso o ammiccante, come accade a volte quando a scrivere sono autori nati in epoche precedenti. Insomma, sa costruire una storia concreta, affidabile, convincente, adatta a ogni lettore e nello stesso tempo capace di far immedesimare il suo pubblico di riferimento.
Lo sceneggiatore si trova però ad avere un’ulteriore fortuna, e cioè i disegni di Fabiana Mascolo, che sembrano cuciti addosso al racconto, messi al servizio della storia senza esserne succubi, capaci di farsi indietro senza mai sfigurare quando le esigenze narrative lo pretendono (ad esempio nelle lunghe scene di dialoghi tra amici, mai noiose, piatte o statiche) oppure entrare prepotentemente in campo quando sono le immagini a dover parlare (ad esempio quando Tullio è colpito dai dardi virtuali, o quando è ossessionato dai suoi fantasmi).
Disegni che arricchiscono una storia nella quale dimostrano di credere molto, che sfruttano una gabbia alla francese senza mai abusarne, e anzi con la capacità di distaccarsene all’occorrenza senza perdere in leggibilità, con sfondi curati e mai assenti, con personaggi immediatamente riconoscibili anche nei sentimenti che stanno provando, e sostenuti da colori in grado di trasmettere tutte le sfumature di una giornata, di una particolare ora del giorno, di un luogo, o anche di un’emozione.
Se proprio si vuol trovare qualche difetto, si potrebbero citare dalla parte della sceneggiatura qualche eccessiva costruzione lessicale nei dialoghi, che passano dal parlato più popolare (che però ne rallenta il fluire lì dove bisogna fermarsi a interpretarli– e questo è il solito pregio/difetto che si ha quando si usano i dialetti) fino a balloon in cui l’esigenza di comunicare con la massima chiarezza li fa diventare fin troppo tecnici, spersonalizzati, esageratamente corretti nella forma. Mentre, per quel che riguarda i disegni, la grande perfezione tecnica, l’uso di sfondi artificiali, e il voler affidare molta della comunicazione al colore, lasciando da parte i neri, le ombre, i tratteggi e ogni possibile imperfezione, rende il tutto correttissimo ma a tratti algido, statico, con moltissimo cervello ma non altrettanto cuore. Non che questo non ci sia, non ho dubbi, solo che finisce a volte per essere sacrificato sull’altare di una precisione da tavoletta grafica.
Ma per tornare alle parti positive, risulta molto valido anche il concetto dei parallelismi con la saga di Re Artù, che ritornano durante tutto l’albo, e soprattutto quello dell’armatura che diventa la surreale reificazione di una metafora, idea chiara e azzeccata che capita di trovare molte volte in lavori di autori giovani. Ci si potrebbe chiedere cosa sarebbe successo se la corazza fosse stata completamente reale e tangibile, se Tullio avesse deciso di forgiarsene una vera, costringendo i suoi amici ad affrontare le conseguenze di questo strano fatto; forse la storia avrebbe semplicemente perso spettacolarità, o forse ne avrebbe guadagnato dal punto di vista umano. In ogni caso, il risultato finale rimane ugualmente soddisfacente, e la trama priva di esercizi di stile o voli pindarici. Anche nell’affrontare l’impossibile gli autori dimostrano di riuscire a mantenere sempre il controllo sul proprio lavoro, riuscendo a guardare all’argomento anche con un pizzico di ironia che non guasta affatto.
Ruggine è un lavoro ben riuscito, nel quale il risultato raggiunto è superiore alla somma delle singole parti. Riesce contemporaneamente a essere una piacevole testimonianza dei nostri anni e il racconto di un tema universale, che non stanca mai di essere protagonista. Un volume che trova un ulteriore punto di forza dal fatto che pur – necessariamente – parlando di “Millennials”, tecnologie e social media, non pretende di santificare, giustificare, condannare o accusare quella generazione e il suo mondo, non è di questo che vuole parlare, ma semplicemente racconta col giusto linguaggio ciò che esiste fuori dalle nostre porte, la nostra realtà, così come un autore di fine ‘800 avrebbe narrato del fumo dei comignoli o dei calessi per le strade.
Ruggine è un fumetto solido. Umano e ricco di sentimento e inventiva. L’opera di due giovani e promettenti autori che hanno fatto del loro racconto un’arma “buona”, capace di parlare con chiarezza ed efficacia a tutti i suoi lettori.
Abbiamo parlato di:
Ruggine
Francesco Vicentini Organi, Fabiana Mascolo
Edizioni BD, settembre 2019
136 pagine, cartonato, colore – € 17,00
ISBN: 9788832757965