Copertina edizione italianaRobot è una rivista nata in Giappone e diretta da Range Murata (concept designer delle serie animante “Last Exile” e “Blue Submarine No. 6“) che, a differenza dei canonici e più diffusi periodici a fumetti del paese, cerca di dare un tono più autoriale e libero ai propri contenuti (senza vincoli pesanti di periodicità, senza controlli stretti dei contenuti per orientarli al gusto del pubblico) e di distinguersi fin dalla prima occhiata dal non secondario elemento del colore. Se infatti i manga nascono per la maggior parte in bianco e nero, solitamente concedendosi qualche pagina a colori come “bonus” all’inizio di qualche capitolo, Robot ospita racconti e illustrazioni a colori, esaltate dal grande formato e dalla carta patinata. La veste grafica è notevolissima: un brossurato formato album, con sovracopertina, carta patinata ma non troppo lucida, dalla costa solidissima e per un costo niente affatto eccessivo vista la confezione e il formato. Già il primo impatto tattile è positivo, come positiva è l’impressione sfogliando il tomo di questo primo numero della rivista antologica proposta in Italia da D/Visual, volume pubblicato originariamente nel 2004 da Wani Books, che in patria è arrivata al numero 6. Nota negativa per la pessima abitudine di lasciare intatte le onomatopee in giapponese senza fornirne la traduzione. In alcuni punti, anche conoscendo l’uso particolare che ne fanno gli autori giapponesi (per esempio, per sottolineare il silenzio), sarebbe stato meglio poterle interpretare correttamente.

La galleria di autori e stili differenti è impressionante: ben 20 i mangaka coinvolti, con tematiche e atmosfere solo in minima parte similari (interessante l’idea di concedere loro le ultime due pagine per un rapido commento sulla loro partecipazione a Robot). Il titolo della rivista, infatti, è fuorviante al pari della copertina: se il primo potrebbe far credere a un contenitore di storie unicamente fantascientifiche (e non è così), la bella e ammiccante copertina di Murata potrebbe far temere una spiccata tendenza alle scene ammiccanti e alle protagoniste lolite. Ma i contenuti, come detto, sanno invece essere vari e ricchi, alternando storie futuristiche, fantasy, horrorifiche, demenziali, di combattimenti, poetiche o lievemente erotiche. Lo scotto maggiore viene pagato dalla natura introduttiva del primo numero: infatti molti episodi qui presentati hanno dato vita, a partire dal terzo volume, a vere e proprie serie con personaggi ricorrenti ma qui, dovendo sviluppare un racconto autonomo in poche pagine, alcuni autori non sono riusciti ad andare oltre un divertissement di buon livello ma inconcludente. Questo non inficia pesantemente il giudizio finale, perché l’impressione finale è di essersi veramente “riempiti la pancia” con tante storie e tanti diversi stili di fumetto.

L’inizio del volume è certamente ben congegnato, attento a proporre subito alcune delle migliori cartucce, o quantomeno delle più affascinanti, relegando più avanti nel prosieguo del volume le storie meno accattivanti. Murata si concede l’intro, con poche ma tecnicamente impressionanti illustrazioni, lasciando poi spazio a racconti dal buon impatto sia come storie che come stile. Hanaharu Naruco offre uno sguardo sul futuro fatto di malinconia e innocenza, con disegni dallo stile non personalissimo ma piacevoli e colorati con toni caldi e avvolgenti. Hiroyuki Asada (in Italia conosciuto per “Generation basket“, in originale “I’ll“), che ammette innocentemente di aver scoperto con il racconto qui contenuto l’utilizzo del computer per i propri disegni, si mantiene sulle stesse atmosfere ma in uno scenario più bizzarro e desolato; notevole l’uso del colore, con tavole pervase di una tonalità violacea di grandissimo effetto. Dopo di che, Sho-u Tajima (“Brothers” e la parte grafica di “Mpd-psycho” scritto da Eiji Otsuka) si presenta con il suo classico stile che, con la carta lucida, evidenzia maggiormente la freddezza del contrasto netto tra bianco e nero (unico fumetto interamente in b/n del volume); qui la fantascienza viene abbandonata per far posto a una storia di difficile catalogazione, che mira chiaramente più a stupire con accostamenti inaspettati che con una storia vera e propria. Mami Itou (disegnatore di “Pilgrim Jager“) ha il tratto meno convincente tra questi, pero’ il suo raccontino, nella classicità della sua struttura, con il ribaltamento delle premesse iniziali tipico del racconto breve, si rivela ben fatto, introducendo l’horror come tema.

Hiroyuki Asada per RobotLa rivista continua alternando storie fantasy, come quella di Yoshitoshi Abe (“Serial Experiments Lain“), che sembra uscire fuori da un qualche gioco di ruolo generico, di Haccan, con una sorta di racconto illustrato degno di nota soprattutto per i colori caldi ma anche per un tratto non particolarmente impressionante, o di Shin Nagasawa (noto anche negli USA per “Wolverine: Soultaker“, su storia di Akira Yoshida), che sembra introdurre più di altri una serie in divenire e che forse non è ancora a suo agio con il colore. Sabe, Yug e Mie Nekoi (nome d’arte di Yasuyuki Nekoi – “Ken il guerriero: Reìs Side-Story“) si discostano molto dagli altri, invece, proponendo serie umoristiche, spiccatamente grottesche il primo (il suo robopassero è completamente fuori di testa ma altrettanto divertente), dai toni dolci e teneri il secondo e con il classico “scontro di arti marziali demenziale” (e con donne prosperose) il terzo.
Okama decide invece di puntare all’erotismo un po’ surreale (mascherato da realtà virtuale) con l’accenno non proprio velato agli strani rapporti tra una ragazza e il suo… piumone; ma anche Kei Sanbe (“Kamiyadori“) sceglie toni erotici, ma con tocco molto più lieve e poetico, accennando più che mostrando in maniera esplicita.
La fantascienza torna con Makoto Kobayashi (creatore delle divertenti avventure del gatto “Michael“), che pero’ sembra non andare oltre a un’omaggio grafico a Moebius per una storia muta con poca sostanza, e con l’ammiccante Yu Kinutani (“Amon” e “Strange Days” su testi di Go Nagai, “Angel arm“, “Leviathan“). Sebbene le tematiche di sottofondo siano fantascientifiche, Shigeki Maeshima sembra ispirarsi molto al pulp tarantiniano soprattutto nel look della protagonista, armata di pistole e spade contro cloni e preti con manie di potere. Rimangono, al di là delle bellissime illustrazioni di Ugetsu Hakua (“Burst Angel“) e Miggy (solo vagamente travestite da storia), due racconti meno facilmente inquadrabili: se Yasuto Miura punta su atmosfere malinconiche e quasi favolistiche, alla Miyazaki per certi versi, con un disegno e un colore dal gusto classico e di ottima fattura, Suzuhito Yasuda offre forse il racconto che meglio di tutti evidenzia uno degli aspetti fondanti dell’operazione, ovvero la voglia di osare con il colore; il suo racconto, per la maggior parte in un lucidissimo contrasto tra bianchi e neri, gioca con l’ingresso del colore nella storia in maniera intelligente e particolare, quasi un metaracconto che riassume l’operazione di Robot, non tanto una sfida al formato commerciale del fumetto giapponese e alle riviste in bianco e nero, quanto una macchia di colore che sappia risaltare in mezzo a tutte quelle pagine.

La panoramica di storie risulta quindi per tutti i gusti, con la speranza che i prossimi numeri sappiano garantire varietà e presentare sempre, al di là delle annunciate presenze fisse, anche autori nuovi e poco conosciuti.
Robot rappresenta sicuramente un buon modo per conoscere e scoprire tanti autori dal Giappone e apprezzare la varietà di stili di un mondo artistico che giunge a volte in maniera standardizzata nelle nostre edicole e fumetterie.

Riferimenti:
D/Visual: www.d-world.jp

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