Alla ricerca dell’autore perduto – fortuna e sfortuna di Sakaguchi Hisashi in Italia

Alla ricerca dell’autore perduto – fortuna e sfortuna di Sakaguchi Hisashi in Italia

All'interno della prima invasione manga in Italia c'era anche Sakaguchi Hisashi, un autore complesso, capace di affascinare con racconti storici o fumetti pieni d'azione e intensita'. Dopo le prime proposte dalla defunta Comic Art con Ikky

Una foto di Sakaguchi HisashiNel 2000 la casa editrice Comic Art chiude definitivamente i battenti. Tre anni prima, in un tentativo estremo di salvezza, si è rivolta al fumetto giapponese: proprio allora i manga sembravano una sorta di porto sicuro per il traballante mercato italiano delle vignette. Ma l’espediente è privo della sperata efficacia: nonostante un titolo di un certo richiamo commerciale come Detective Conan (recentemente recuperato da Star Comics), per Comic Art è solo un prolungamento dell’agonia, sino al fallimento definitivo. Curiosamente, il primo autore giapponese proposto dall’editore romano è del tutto sconosciuto, e i suoi fumetti sono lontani dall’immediatezza dei suoi colleghi giapponesi più venduti. L’autore è Sakaguchi Hisashi, i suoi fumetti sono Version e Ikkyu.
La scelta ha un suo motivo, un motivo semplice: Comic Art muove i primi passi sfruttando i suoi legami col fumetto francese, e pubblica Sakaguchi in Italia traducendolo appunto dalle versioni d’oltralpe. Il riscontro pero’ non dev’essere ottimo: ‘Version’ esce nel marzo 1997 con un primo volume privo di seguito; ‘Ikkyù, che comincia nel maggio dello stesso anno, sopravvive per qualche strano miracolo, e si conclude col quarto volume nel 1998. Ma nel breve periodo che le resta, Comic Art preferisce puntare su titoli molto più masticabili e vendibili (e purtroppo quasi sempre dimenticabili), come Il violinista di Hamelin o Bakuretsu Hunter. Di Sakaguchi non si saprà più nulla.

LO ZEN E L’ARTE DEL FUMETTO GIAPPONESE

Strano miracolo, si diceva: ‘Ikkyù (Akkanbē Ikkyū, 1992-1994) viene concluso mentre ‘Version’ rimane interrotto. Ikkyū (questa la grafia più corretta) è un personaggio che qualunque giapponese conosce, ma che qualunque italiano ignora. Il suo mondo è il Giappone tra XIV e XV secolo, l’inizio di un lungo periodo di guerre intestine. Gli eserciti dei signori feudali si scontrano in continue battaglie, mentre il buddhismo, imprigionato nei grandi templi, nel formalismo logoro di monaci legati a doppio filo col potere, non dice quasi più nulla alle masse dei contadini, stremati e decimati da guerre, carestie e briganti. Arte e splendore, violenza e anarchia: questo è il palco su cui vive Ikkyū, figlio segreto dell’Imperatore, costretto al monastero ancora bambino; quindi monaco zen, e poi vagabondo inquieto, e libertino dissacratore, ma anche uno dei maggiori poeti della letteratura giapponese.
Ikkyū il mistico e Ikkyū il frequentatore di bordelli: una figura inafferrabile che, tra storia, leggenda, enigmi e beffe esemplari rimane una delle più popolari nella storia giapponese, paragonabile (con le dovute cautele) a quello che è stato Francesco d’Assisi nella storia italiana. Sakaguchi traspone in parole e disegni una vita e un mondo contraddittori, ambigui, e lo fa rendendo nel dettaglio le complesse vicende storiche, le sottigliezze dottrinali delle varie scuole buddhiste, le creature, le credenze e le figure del Giappone storico. Non c’é dubbio: ‘Ikkyù non è una lettura semplice, disimpegnata, richiede già al lettore giapponese una cultura di un certo livello. Nell’edizione nostrana, poi, diventa spesso decisamente criptico, complice il passaggio dalla versione francese: il traduttore italiano fa quello che può, ma la mancanza di un confronto con l’originale in molti passaggi è fatale alla comprensione.

Tutto un altro discorso per ‘Version’ (Bājon, 1989-1991). Ambientato in un imprecisato futuro prossimo, Sakaguchi usa la fantascienza come trampolino per lanciarsi in ardite ipotesi sull’evoluzione biologica, sul suo senso, sull’uomo e sulla natura. Motore dell’azione è una sorta di microcomputer biologico nato in laboratorio, un biochip in grado di crescere assimilando i dati come cibo. Ovviamente la creatura sfugge al controllo dei creatori, sviluppa una coscienza propria e accumula dentro di sé tutta l’informazione dell’umanità, o forse persino dell’intera biosfera: nuovo gradino dell’evoluzione o minaccia incombente per la sopravvivenza dell’umanità, se non della vita? Domande che ‘Version’ sviluppa lungo un rocambolesco e continuo inseguimento: in primo piano ci sono Eiko, figlia di uno degli scienziati del progetto, e poi Happō Mitsuru, il vero protagonista, uno scalcinato detective assunto dalla ragazza perché ritrovi il padre; sullo sfondo, nell’ombra, si muovono i servizi segreti giapponesi (singolarmente goffi) e, soprattutto, una enigmatica e potentissima setta religiosa, che sembra avere verso il biochip un interesse preciso e molto inquietante.
Lontano dall’ambiente storico di ‘Ikkyù, Sakaguchi mette in scena una storia avventurosa, frizzante, ricca di fantasia, ma al contempo attenta alla riflessione; teoria dell’informazione, evoluzionismo e ingegneria genetica mettono sul piatto questioni non da poco, e in modo per nulla banale. Come già detto, l’edizione italiana di ‘Version’ si ferma al primo volume, lasciando il lettore con un bel po’ di interrogativi in sospeso: mancano circa due terzi del fumetto. L’interruzione si trova proprio là dove la storia comincia a staccarsi da vicende concrete, per inoltrarsi nei meandri di un labirinto composto di visioni, simboli e metafore, dove Sakaguchi adopera i suoi personaggi per interrogarsi su domande ambiziose, e anche piuttosto astratte.

Ancor più paradossale del destino editoriale di Version, è il silenzio su un’opera che, con le prime due, compone la cosiddetta trilogia di Sakaguchi: Ishi no hana (I fiori di pietra, 1983-1986). Paradossale, perché, lontani dal Giappone di ‘Ikkyù o dalle fantasie filosofiche di Version, l’ambientazione di ‘Ishi no hanà è l’Europa della II Guerra Mondiale. Sakaguchi sceglie inoltre uno scenario poco frequentato, intricato e contraddittorio, ma a suo modo quasi premonitore. Si tratta dell’invasione nazista della Jugoslavia, con tutte le sue conseguenze: l’instaurazione di una repubblica croata alleata delle dittature fasciste, la formazione di una lotta di resistenza, i dissidi all’interno di quest’ultima, tra comunisti e nazionalisti. Tutto visto con gli occhi del quattordicenne Krilo, quasi costretto a imbracciare le armi contro l’invasore, tormentato al contempo dalle scelte del fratello maggiore, implicato in un gioco ambiguo e pericoloso coi gerarchi nazisti. Nel frattempo scorre in parallelo la vicenda di Fii, coetanea e amica di Krilo, internata in un campo di prigionia tedesco.
Sakaguchi, che non è un autore qualunque, sa evitare anche in questo caso i facili schematismi tra buoni e cattivi, e tocca nei punti giusti i nervi scoperti di questioni storiche che non riguardano solo i Balcani, ma anche i paesi vicini, primo fra tutti l’Italia.

VISIONI E METAFORE

separatorearticolo
Sakaguchi arriva al fumetto tramite il cinema d’animazione. Nato nel 1946, nel 1963, nemmeno diciottenne, è assunto dalla Mushi Production di Osamu Tezuka; qui collabora come animatore a diversi titoli, in particolare una delle tante trasposizioni su pellicola de La fenice, il film del 1980 noto in Italia come L’uccello di fuoco spaziale (Hi no tori 2772). Nel frattempo, già dal 1969 ha cominciato a far fumetto, ma Sakaguchi non eredita il celebre tratto di Tezuka, quello iconico e tondeggiante. Al contrario, il suo stile appartiene alla rivoluzione che il fumetto giapponese vive a cavallo tra anni Settanta e Ottanta. Una rivoluzione il cui nome più noto è quello di Katsuhiro Ōtomo, il padre di Akira; una rivoluzione che guarda soprattutto al fumetto francese (Mœbius in testa), alla ricerca di un maggiore realismo grafico e narrativo, per svecchiare o anche superare quei codici che, dopo Tezuka, sembravano ormai imprescindibili.
Lontano da Tezuka graficamente, in Sakaguchi rimane comunque, a rimescolare le carte del realismo, una piacevole tendenza alla caricatura dei volti. Il debito più pesante pero’ lo riconosciamo nella narrazione e nelle idee. Una narrazione dall’ampio respiro, costruita lungo trame articolate, intrecci multipli sostenuti da una visione generale che impedisce ogni eccessiva frammentazione. C’é di più: Sakaguchi non rinchiude i suoi personaggi nella claustrofobia urbana di ‘Akirà, tutt’altro, li lascia liberi di viaggiare nello spazio e nel tempo, e li mette costantemente a confronto con l’ambiente naturale. Sia in ‘Ikkyù, ma ancor più in ‘Version’, Sakaguchi si ferma spesso per osservare e mostrare con interesse minuto le forme del mondo: gli animali, le piante, i mari e la loro vita e le distese desertiche, l’organico e l’inorganico, la vita e la morte; la fauna australiana di ‘Version’ e le distese di teschi ammassati da guerre e carestie in ‘Ikkyù. Qualunque realtà visibile, con le sue linee armoniche e disarmoniche, trova il suo spazio nelle tavole di Sakaguchi.
Ma oltre la superficie, Sakaguchi dimostra di saper costruire tutto un linguaggio suo proprio, che gioca con la possibilità del disegno di farsi metafora. In ‘Ikkyù abbiamo lunghe sequenze di visioni, allucinazioni, immagini simboliche: le accettiamo con facilità, il fumetto assume il punto di vista di un grande mistico, ai cui occhi la realtà non è quella del mondo comune. In ‘Version’, poi, i personaggi compiono un viaggio in un mondo altro, dove l’informazione digitale, i codici genetici e un’intelligenza superiore convergono ad alterare direttamente le leggi del mondo concreto: mente e materia si mescolano o, meglio, si rivelano facce di un’unica medaglia. Anche in ‘Version’, dunque, le sequele di visioni che si dispiegano lungo tutta la seconda parte del fumetto hanno un loro senso: quel che Sakaguchi vuole raccontare è proprio la labilità dei confini che separano realtà, immagini e parole.

Cosa dire, pero’, di ‘Ishi no hanà? Qui abbiamo un fumetto “neorealista”, nato da una documentazione accuratissima (l’autore si è recato personalmente nella penisola balcanica). Si potrebbe immaginare un’opera compatta, netta e dura: difficile che tra il fango delle battaglie e dei campi nazisti si possano aprire spiragli per chissà quali divagazioni. E certo, in ‘Ishi no hanà la concretezza è forte e dominante, ma solo fino a un certo punto. Più volte Sakaguchi si concede a lunghi dialoghi tra i personaggi. L’azione passa in secondo piano, rispetto alla riflessione sulle vicende umane, sul potere politico, sul senso della Storia. Ecco allora che il disegno si trasforma, ecco che i personaggi parlano e parlando vagano in stanze oscure, per deserti assolati, ai piedi di torri gigantesche, o sulla cresta di abissi nebbiosi; o, ancora, le vignette si affollano di disegni astratti, surreali, simbolici. Non sono espedienti per dar sollievo al lettore, affaticato altrimenti nel seguire l’astrattezza del pensiero. Al contrario, Sakaguchi vuole e sa giocare coi confini dell’immagine disegnata e con l’ambiguità dei suoi codici (il descrittivo, il simbolico, il metaforico), riesce a mostrarne tutte le potenzialità inespresse, quelle inaccessibili alle altre forme narrative (la prosa innanzi tutto, ma anche parte del cinema).
Il fumetto come (anche) romanzo di idee, sostenuto tuttavia da un disegno ricco e potente, e una creatività in grado di non perdere mai di vista tutto il carico emotivo proprio dell’immagine, nel tentativo di gettare un ponte tra le sponde opposte (ma fino a che punto?) di logica e sensibilità. è proprio ‘Ishi no hanà, un fumetto che parte da premesse dure e concrete, a rivelare uno dei grandi fili che uniscono l’intera opera di Sakaguchi: una celebrazione intensa e per nulla retorica dell’immaginazione e della fantasia, definite dall’autore “ali invisibili”, l’antidoto più potente contro il peso della realtà.

L’AUTORE (NON ANCORA) RITROVATO

Non inganni tutto questo sproloquio. Sakaguchi non è un autore astruso, non parla un linguaggio per soli iniziati. Tutt’altro, la sua qualità migliore (qualità rara) è quella di saper parlare al contempo su più livelli, quello semplice e quello complesso. Certamente, ‘Ikkyù esige un certo livello culturale e una buona determinazione per affrontarne la lettura. Ma per ‘Version’ e ‘Ishi no hanà il discorso cambia. Qui è possibile apprezzare e godere, specie nel primo, l’avventura, il viaggio, le passioni e i drammi dei personaggi, e la fantasia con cui l’autore li intreccia. Poi, se ciò non basta, si può anche accettare la sfida di scendere ai livelli più profondi, affrontare le provocazioni intellettuali ed emotive lanciate da Sakaguchi. Ma farlo non è comunque obbligatorio per arrivare all’ultima pagina. Insomma, Sakaguchi sembra conoscere quella formula arcana che permette di unire intrattenimento, poesia e speculazione senza che nessuno dei tre ambiti disturbi gli altri due.

Ikkyu, una copertina dell'edizione Comic ArtA questo punto possiamo porci quella domanda nell’aria fin dall’inizio: com’é possibile che, dopo la conclusione di ‘Ikkyù e l’interruzione di ‘Version’, di Sakaguchi non si sia più sentito parlare? Quel che è certo è che Sakaguchi arriva in Italia in un periodo ancora “immaturo” per il fumetto giapponese. Poco dopo la metà degli anni Novanta la divisione tra due campi è ancora troppo netta: da una parte quello, in forte espansione, dei lettori esclusivi di fumetto giapponese, che al di fuori dei manga più commerciali poco conoscono; dall’altra la nicchia più ristretta degli amanti del fumetto “colto”, di matrice europea o anglosassone, lontano dai circuiti delle edicole. Sakaguchi richiedeva troppo alla massa dei primi, cui appariva incomprensibile o al più noioso; mentre il suo nome giapponese gli impediva di essere anche solo sfogliato dalla gran parte dei secondi. Certamente, ci sarà stato chi, da entrambe le fazioni, l’ha preso in mano, l’ha acquistato, l’ha letto e apprezzato. Ma devono essere stati evidentemente troppo pochi. A tutt’oggi Sakaguchi rimane quasi completamente ignorato e dimenticato.
Resta comunque in sospeso un’ulteriore domanda. A distanza di sette o otto anni molte cose sono cambiate, l’offerta di fumetto giapponese in Italia è molto più variegata, e i lettori si sono segmentati in una serie di piccole nicchie. In libreria, a fianco di Naruto e Nana troviamo i titoli di Tezuka o di altri autori che sarebbero stati giudicati invendibili sino al decennio scorso, come Urasawa Naoki e il suo 20th Century Boys. Lo spazio per Sakaguchi sembra essersi aperto: manca solo la volontà di riempirlo.
Sakaguchi Hisashi muore prematuramente, il 22 dicembre 1995, all’età di quarantanove anni, colpito da un tumore. Nelle edizioni originali dei suoi volumi vengono riportate le diverse edizioni estere: tra le altre, quella taiwanese e francese di ‘Ishi no hanà, quella statunitense di ‘Version’, di nuovo una francese per ‘Ikkyù. Quelle italiane sono assenti. Almeno per ora, si spera.

Riferimenti
Questo articolo è presente anche su www.geocities.com/yupa1989/kiji/sakaguchi.html

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *