Reimmaginare il lavoro nel fumetto: The Box

Reimmaginare il lavoro nel fumetto: The Box

Una nuova idea di mercato del lavoro nel fumetto è possibile? The Box si candida a essere una delle possibili risposte, una vetrina di incontro tra domanda e offerta.

Ideato da Emanuele Tenderini, assieme a Walter Porto, e annunciatone sulle sue pagine social il lancio a breve, The Box ha attirato subito l’attenzione per quella che si propone come una piattaforma per professionisti del settore attraverso la quale poter esporre il proprio curriculum e attraverso cui cercare collaborazioni reciproche e contratti editoriali. Un concetto che richiama ovviamente Linkedin ma specializzato per il fumetto, meno dispersivo dei social network e più mirato alle esigenze del settore. Abbiamo raggiunto Emanuele per scoprirne di più su come è nato e cosa può diventare The Box.

The Box è un progetto ambizioso e (dal mio punto di vista) inaspettato. Tanto per cominciare, chi ha collaborato per ideare questo strumento, per progettarlo e dargli una forma e chi supporterà l’utenza?
Il mio caro amico, programmatore e collaboratore Walter Porto e io abbiamo avuto più o meno la medesima idea nello stesso tempo.
Lui, con cui ho collaborato circa sette anni fa per lo sviluppo di una demo di un possibile videogioco di Lumina, da anni sviluppa e segue l’e-commerce di Tatai Lab. In tutto questo tempo abbiamo avuto modo di confrontarci parecchio, sia sul mercato del fumetto, sia sul mondo del lavoro in generale.
Le nostre riflessioni, alla fine, hanno portato a questa idea comune.
Walter porta con sé un know how di altissimo livello relativo allo sviluppo di piattaforme social ed e-commerce, con la moglie, Cristina Russo, lavora da anni in questo settore. Noi di Tatai Lab abbiamo portato la nostra esperienza nel settore del fumetto, grafica e comunicazione.

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L’idea alla base di The Box è chiara ma come è stata immaginata la sua realizzazione, quali sono i punti che pensate siano fondamentali per gestire l’incontro tra domanda e offerta?
Tutto quello che abbiamo sviluppato relativo a The Box risponde soprattutto a delle esigenze tecniche che derivano dalla mia diretta esperienza sulla domanda e offerta di lavoro. Fin dai primi anni della mia attività, ho sempre avuto la necessità di creare dei team di lavoro (prima con lo Studio Tenderini, poi con Tatai Lab) e ho sempre avuto difficoltà nel trovare, con comodità, le persone giuste per le mie esigenze. Nel mondo del fumetto, ci sono tantissimi professionisti, ma è difficile rintracciarli. I social, poi, hanno complicato ancora di più la faccenda: tra un post di Salvini, la shitstorm del momento, un video di (li amo) gattini e qualche balletto su Tik Tok, intercettare bravi autori, disegnatori, coloristi ecc. è diventata una vera impresa.
Da questo deriva che The Box è innanzitutto un “contenitore”, una “vetrina”, che dovrebbe raggruppare i professionisti del nostro Paese e metterli a disposizione di tutti coloro ne abbiamo necessità, siano essi editori, privati o anche per collaborazioni vicendevoli.
Non è un sistema “dinamico”, alla base, non vogliamo costringere gli utenti a “ballare” per far vivere l’algoritmo, chiediamo solamente di comunicare al mercato che ci siamo e che si è disposti a lavorare.
La vera domanda, in realtà, non sarebbe “come fate a far incontrare domanda e offerta?”, ma, “ci sarà domanda? ci sarà offerta?” Perché è questo il punto debole del nostro mercato. La produzione di IP originali, in Italia, non compete con i numeri delle acquisizioni delle licenze estere, ovviamente, The Box in tal senso è una cartina di tornasole dello stato di salute del mercato: se raggruppassimo tutti i professionisti in uno spazio unico, riusciremmo a generare lavoro?
Ed è qui che subentra il secondo punto fondamentale di The Box, ovvero la collaborazione tra utenti. Davvero, nel 2023, se sono un disegnatore sto qui ad aspettare che qualcuno mi dia lavoro? Facciamo che per non saper né leggere né scrivere intanto comincio a realizzare i miei progetti.
Ecco, facciamo anche che ho voglia di creare una “unione”, che faccia la forza, con altri autori indie come me. The Box diventa l’anello di congiunzione. È su questo elemento che basiamo la nostra idea di “generare lavoro”: ragazzi, siamo soli, non possiamo aspettare, dobbiamo agire, facciamolo assieme, creiamo sinergia fra tutti noi, creiamo progetti, storie, riviste, facciamolo anche in modo indipendente, ma uniamoci e usiamo la piattaforma per guardarci attorno, conoscerci e collaborare.

Sarà rivolta solo a ricerca e offerta di competenze o anche a proposte più articolate come cercare un editore per un’opera già ideata o magari terminata, o ancora da sviluppare via crowdfunding per dirne un’altra?
Partiamo dal “semplice” e poi, a spirale, cercheremo di ingrandire lo strumento e le idee. Ci sarà innanzitutto una prima fase di closed-beta, dove alcuni utenti selezionati ci daranno le loro idee e ci evidenzieranno eventuali perplessità e punti deboli, di modo che noi riusciamo a perfezionare gli strumenti base della piattaforma.
Poi, già nella sua architettura ideale, The Box può davvero diventare qualsiasi cosa: abbiamo già una sezione gestionale per organizzare la parte fiscale del proprio lavoro e altre parti che dobbiamo ancora sperimentare e annunciare. The Box è un’applicazioni che può evolversi in mille direzioni diverse, e sai perché? Perché a noi non interessa monetizzare, interessa rispondere a dei problemi reali.
Nel momento in cui hai creato uno spazio dove gli utenti hanno la propria “stanza” in cui pubblicano il loro materiale, non ci metti nulla a permettere loro di pubblicare idee di progetto, o creare degli “open day” di incontro con editori, o “aree pro” come quella di Lucca Comics, portfolio review ecc. Qualsiasi sia il “problema”, vorremmo riuscire a trovare una soluzione.

La risposta all’annuncio su Facebook è stata subito entusiastica e dopo Lucca inizierete una prima fase di test con un numero ristretto di utenti. Ma indicativamente, quanti professionist* (o aspiranti tali) pensate potrà attirare The Box?
Come ho raccontato su Facebook, The Box è l’evoluzione fisiologica di una newsletter che ho creato qualche mese fa per offrire lavoro in Tatai Lab. A quella newsletter, nelle prime 24 ore dal lancio, si sono iscritte 600 persone, oggi siamo a più di 1000. Sono numeri veramente impressionanti se ci pensi, ma a prescindere dai numeri, il mio desiderio più grande è di riuscire nell’intento di by-passare un certo lento e vecchio “modo di fare lavoro all’italiana”, per arrivare a qualcosa di efficace, veloce e leggero soprattutto nella direzione dell’indipendenza.

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La concorrenza tra professionist* all’interno di una piattaforma comune può essere secondo voi vantaggiosa per la crescita de* singol* e del settore?
Noi ci mettiamo del nostro, chiaramente gli utenti devono metterci del loro. Intanto ci sarà una profonda categorizzazione dei professionisti. Abbiamo creato etichette che andranno a descrivere stile, tecnica, genere di lavoro, gusti ecc, di modo che ogni utente possa riuscire a descrivere sé stesso e il proprio lavoro, a prescindere da quello degli altri. Dobbiamo fare in modo che ogni utente capisca di essere una voce originale e dare a tutti gli strumenti per raccontarsi. Poi, è chiaro, ci saranno autori che lavoreranno più di altri, altri che piaceranno meno e faranno un po’ più difficoltà, ma è per questo che prima parlavo di vederla anche sotto una prospettiva “indipendente”: forse con eccessiva presunzione, o con il mio carattere un po’ troppo fumantino, ho sempre pensato di non dover aspettare nessuno che mi facesse realizzare le mie idee, ma in un modo o nell’altro avrei dovuto pensarci da solo.
Per evitare, comunque, di cadere nelle classiche trappole da “social”, abbiamo seriamente deciso di evitare di inserire i “like”, i “commenti”, le “condivisioni” ecc. Uno dei meccanismi che hanno reso tossiche le piattaforme come Facebook e simili è proprio la competizione sulla visibilità e la possibilità per ognuno di “giudicare” il lavoro altrui (anche senza competenza) – non è una questione di censura, ma la voglia di creare una piattaforma pacifica e serena, dove innanzitutto gli autori si sentano “al sicuro”. Il resto verrà da sé.

Quali sono per voi gli scenari migliori e i possibili pericoli dell’iniziativa, e come gestirete il tutto?
Lo scenario migliore possibile è che nel giro di un paio d’anni il mondo del lavoro nei fumetti abbia un po’ “accelerato”, nella direzione della qualità e della creatività. Creiamo un network di appassionati creativi, mettiamoli in contatto e facciamoli produrre, su commissione o fra di loro e vediamo cosa ne salta fuori. Se The Box saprà generare tante buone idee e storie, anche il pubblico noterà la differenza e si appassionerà ai tanti progetti che la piattaforma riuscirà a generare.
Di “pericoli” veri e propri non ne vediamo, mal che vada non funziona e amen, ci abbiamo provato. Abbiamo lavorato gratuitamente, non dobbiamo investirci somme di denaro esagerate, il solo fatto di averci provato ci avrà dato sufficiente soddisfazione.

È stato chiarito da subito che The Box sarà gratuito; come farete a sostenerlo? Pubblicità, piani a pagamento con maggiori funzioni o che altro?
Abbiamo dei server di proprietà, quindi nessun costo, il lavoro svolto per creare la piattaforma e farla nascere e crescere è gratuito, come ormai è il mio “business plan” da almeno dieci anni: fai, al meglio delle tue possibilità e se hai fatto bene, venderai e potrai sopravvivere in piena libertà.
Non ci sono costi da sostenere, quindi, e non abbiamo la necessità di monetizzare. Una volta tanto, vorremmo concentrarci sul “fare del bene”, cercare di far funzionare qualcosa, in un periodo e in un paese e in un mondo in cui tutto sembra sempre dover andare nella direzione del profitto. Se si vuole cambiare strada e migliorare la vita delle persone, bisogna farlo con decisioni drastiche, anche con una “gratuità” che sembra folle. Lo è, folle ed è questo che ci rende liberi.

002_ritenutaLa gratuità è una grande opportunità ma anche un filtro in meno nei confronti di utenti potenzialmente scorrett* (case editrici che pagano poco, autor* non puntuali…). Come pensate di gestire questo problema? Ci saranno sistemi di valutazione interna tra gli utent*? Un controllo esterno? Una moderazione delle iscrizioni?
Noi, in quanto “addetti ai lavori”, avremo sempre un occhio di riguardo tecnico sulle iscrizioni e sulla vita dentro la piattaforma. Da una parte, è bene sottolinearlo, non vogliamo entrare nella gestione economica dei lavori degli utenti, non sarebbe affatto corretto. Tutto quello che gli utenti decidono di fare, nell’ottica di lavoro, pagamenti, transizioni finanziarie ecc, sarà al di fuori di The Box. Noi terremo d’occhio il materiale pubblicato e soprattutto valuteremo segnalazioni. Siamo due esseri umani, io e il mio collega, non un’intelligenza artificiale, chiunque potrà scriverci per chiederci supporto su qualsiasi cosa e creare e mantenere un ambiente sano e pulito è il nostro obiettivo principale.
Non daremo agli utenti strumenti autonomi di valutazione ecc, perché siamo anche consci che questo tipo di meccanismi possano assecondare situazioni tossiche (dopo più di 10-15 anni di permanenza nei social, certe cose le abbiamo capite), ma saremo sempre presenti per mettere ordine dove ci sarà bisogno. Se poi un editore non paga un professionista, questo chiaramente non potrà riflettersi sulla bontà della piattaforma, sono situazioni spiacevoli e illegali che avvengono al di fuori e tutto il mondo è paese, noi non possiamo avere il controllo o la responsabilità di qualsiasi cosa succeda.
In ogni caso, anche per quanto riguarda questi discorsi, consideriamo sempre uno “sviluppo” in divenire, al momento non possiamo prevedere tutte le situazioni che potrebbero verificarsi, di volta in volta cercheremo di agire per il meglio, accumulando esperienza e correggendo quello che ci sarà da correggere.

L’idea che un progetto del genere nasca da una casa editrice ma rivolto subito a tutt*, quindi anche alla “concorrenza”, è degna di nota in un ambiente che non sempre spicca per collaborazione e condivisione. Credete che questo possa essere un piccolo passo o un augurio di maggiore coesione tra editori, tra professionist* e tra entramb*?
Noi siamo editori, ma siamo in primis autori e, soprattutto in questo periodo, persone. Vediamo che intorno a noi, per la logica del profitto, il mondo sta andando un po’ a rotoli, per cui il nostro primo pensiero è quello di aiutare le persone e soprattutto i più giovani che magari hanno poca esperienza. Poi, nei più belli dei nostri sogni, tutto il mondo si sveglierà e gli esseri umani cominceranno ad aiutarsi fra loro, ma intanto noi pensiamo a quelli vicino a noi, a quelli a cui possiamo arrivare. Volutamente ho lasciato da parte il marchio Tatai Lab, che non apparirà nella piattaforma, perché vorrei che questo fosse uno strumento per tutti, per fare del bene a tutti. Se, poi, questo potrà essere d’ispirazione e avvicinare un po’ di più, fra loro i competitors ben venga, se tutto ciò porterà del bene ai disegnatori, coloristi, chinatori, sceneggiatori, letteristi italiani.

C’è bisogno di cambiamento nel settore professionale del fumetto (dall’autor* all’editore ai rivenditori), e cosa con più urgenza secondo te?
In Italia, secondo me, problema degli ultimi anni è la paura di essere fumettisti.
La paura delle grandi fiere e dei grandi editori, di essere fumettisti.
Da un po’ di tempo abbiamo visto l’ascesa dei content creators, youtuber, twitcher ecc. che sono stati assorbiti dagli eventi fumettistici per garantirsi pubblico, come se ci fosse stata una specie di consapevolezza che con il proprio lavoro nei fumetti, il pubblico non sarebbe più arrivato. È evidente: in Italia si legge sempre meno, ma come abbiamo affrontato questo problema? Assorbendo content creator e facendoli diventare protagonisti del mercato del fumetto. Tanto che, come accade in tutto il mondo, una persona che parla, anche legittimamente di fumetti, è mille volte più conosciuto ed economicamente sereno rispetto, magari, all’autore che quei fumetti li fa. E questo perché? Perché gli addetti ai lavori hanno voluto rincorrere, e fare propria, la “visibilità”.
C’è stato un momento, a inizio Duemila che pareva un nuovo Rinascimento, in cui c’era un fortissimo scambio culturale e produttivo tra Francia e Italia. Seppure anche la Francia non se la passi bene, al momento, l’Italia ad un certo punto è tracimata perché da noi non c’è network creativo: chi realizza una bella storia a fumetti non può sperare di vederla trasposta in altri media, non abbiamo un mercato del videogioco, il cinema è quello che è, non c’è “flusso” creativo e di scambio (mentre la Francia rimane una delle grandissime protagoniste del mondo dell’intrattenimento mondiale, soprattutto in ambito videoludico).
Tutto questo è partito dall’aver paura, dal “vergognarsi” di essere fumettisti.

cover_lumina3La divisione tra autoproduzione ed editoria si sta erodendo poco per volta, con autor* e collettivi che producono opere mature ed edizioni di qualità. Lo stesso Tatai Lab, correggimi se sbaglio, nasce nell’ottica di superare l’intermediazione dell’editore. Questo significa che gli editori sono indietro rispetto alle esigenze del mercato o restano una figura importante? Perché scegliere una strada o l’altra?
Gli italiani credono di essere i migliori al mondo a fare qualsiasi cosa, ma puntualmente vengono smentiti dai risultati. Viviamo nel “ricordo di quello che era l’impero Romano” e “della Storia dell’arte e della cultura nel nostro Paese”, non ci siamo mai presi la briga e la responsabilità di portare avanti il valore della nostra storia e della nostra abilità, ci siamo seduti sugli allori e ora il mondo ci ha bellamente superati.
Non siamo più aggiornati su nulla, viviamo nella nostra “bolla italica” e crediamo di essere i più bravi, ma non è così. O meglio, non è così nella struttura complessiva del nostro mercato, però abbiamo fortissime potenzialità nei “singoli” (ma i cervelli fuggono).
Al mondo d’oggi non è importante dover scegliere se andare con un editore o seguire una strada indipendente, quello che dovrebbe contare è cominciare ad aprire gli occhi su ciò che accade al di fuori del nostro giardinetto e impegnarsi per diventare nuovamente competitivi (con o senza l’aiuto delle major).
Se guardiamo il mondo dell’intrattenimento in generale, ma soprattutto quello videoludico, ci accorgiamo di un fenomeno pazzesco: i grandi colossi arrancano sotto il peso di investimenti sempre più mastodontici, ma privati di quell’amore e passione per i media che potrebbero far la differenza, mentre i piccoli, gli “indie” sfornano idee geniali e fresche ogni giorno, con budget risicatissimi. È di pochi giorni fa l’annuncio della chiusura di Google Stadia. Pazzesco! Una delle Big Tech che non riesce a gestire un’idea videoludica ed è costretta a chiuderla. Questo ci dà la misura di quello che accade oggi: dobbiamo riappropriarci della passione e delle idee, la competitività non la fa più i soldi, ma l’amore per quel che si fa.

Negli ultimi mesi il settore dell’illustrazione, e di strascico anche del fumetto, è stato travolto dalle preoccupazioni sulla crescita delle Intelligenze Artificiali in ambito artistico. Le posizioni sono tante e diverse, anche perché appaiono ancora molti aspetti da chiarire (niente affatto secondari, come i diritti sulle immagini). Come vedi questa situazione e il suo possibile sviluppo?
In questi miei primi 45 anni di vita ho imparato una lezione importantissima: che io sia ottimista o pessimista rispetto a qualcosa, quella cosa accade o meno indipendentemente dalla mia opinione. Fatalismo? Assolutamente no. Ma forte coscienza del fatto che se c’è una cosa in cui credo fermamente, è quello che posso fare io di e per me stesso. L’IA può rappresentare un’ottima occasione di creatività, ma al contempo anche la lapide sul lavoro di tanti professionisti. Posso forse lasciarmi schiacciare dall’idea che forse subirò le conseguenze di qualcosa al di fuori del mio controllo? Chiaramente no.
Penso che se consideriamo l'”arte” come lavoro di sviluppo creativo pagato da committenti per scopi rivolti alla realizzazione di prodotti derivanti da una catena di montaggio, allora chiaramente L’IA potrà sostituire, certamente, un bel po’ di professionisti. Visual designer per i videogiochi, cinema ecc, chiaramente saranno superati dalla velocità delle intelligenze artificiali e magari anche dalla loro potenziale “immaginazione”.
Ma se pensiamo al nostro lavoro artistico, come espressione delle nostre idee, osservazione, esperienze, non c’è intelligenza artificiale che mi potrà battere sul tempo o sulla tecnica se io mi alzerò una mattina e vorrò raccontare che ho sbattuto il mignolo sul bordo del letto. Perché ognuno di noi ha un universo di racconti dentro di sé e la nostra libertà di poterlo raccontare, quando e come vogliamo, con il nostro personale punto di vista è qualcosa di unico, che nessuna IA potrà mai portarci via.
La vera differenza, in tal senso, come sempre la farà il pubblico, che deciderà a quale voce dare ascolto.

Intervista condotta in via telematica a ottobre 2022.

Emanuele Tenderini

tenderiniVeneziano, classe ’77. Lavora dal 2000 come disegnatore e colorista, è uno dei pionieri europei della colorazione digitale. Ha lavorato per anni con i maggiori editori francesi, americani e italiani. Con Linda Cavallini dà vita al progetto Tatai Lab, un laboratorio editoriale per progetti originali incentrati su una grande attenzione per gli autori coinvolti e per la veste editoriale dei volumi.

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