Luca Valtorta nasce a Milano il 20 maggio 1964, ed è un giornalista italiano.
Inizia la propria carriera a metà anni Ottanta, occupandosi prevalentemente di musica, collaborando tra gli altri al settimanale Sette de Il Corriere della Sera.
A metà anni Novanta approda alla rivista Tutto Musica, diventandone successivamente caporedattore.
Nel 2004 viene messo a capo del progetto xL di La Repubblica, che si concretizza in una rivista incentrata su musica, fumetto e arte popolare in senso ampio, e in diversi festival promossi dalla testata.
A Lucca Comics 2013 e 2014 presenta gli incontri dedicati ai lavori di Gipi, Zerocalcare e della casa editrice Coconino, e ha precedentemente firmato un paio di pezzi dedicati a Rat-Man.
In virtù della sua figura di giornalista e della sua competenza nell’ambito culturale, in particolare nel fumetto, in occasione del nostro speciale sulla fine di Rat-Man gli abbiamo posto qualche domanda.
Ciao Luca, e grazie per il tempo che ci stai dedicando.
Iniziamo con il parlare della scelta di chiudere Rat-Man da parte di Leo Ortolani: cosa ne pensi?
Mi sembra una scelta coraggiosa ma comprensibile e condivisibile. Immagino che un autore dopo tanto tempo possa sentirsi “costretto” a lavorare sempre sullo stesso personaggio. Sono molto curioso quindi di vedere quali strade Ortolani deciderà di percorrere in futuro.
Se dovessi descrivere i motivi che hanno reso Rat-Man un successo così duraturo, quali indicheresti?
Le battute fulminanti, l’ironia spesso feroce, le citazioni dei fumetti e dei film amati da diverse generazioni di lettori che ne decretano una popolarità ormai trasversale per età. Il suo successo comunque è abbastanza sorprendente considerando che per capirlo bisogna in effetti avere un bagaglio abbastanza ampio di conoscenze in questi ambiti e proprio questo, dunque, fa particolarmente piacere.
Che tipo di influenza credi che la serie abbia avuto nel mondo dell’editoria a fumetti da edicola?
Direi che è un caso unico: un fumetto tutto italiano, a gestione (è il caso di dirlo) familiare che gareggia da un lato con i supereroi e dall’altro con i classici del fumetto popolare, Bonelli in primis ovviamente. Andare in edicola non è facile, credo che Leo Ortolani sia l’unico autore singolo a cui sia riuscita questa impresa. Panini ha provato a portare avanti progetti simili quali ad esempio Nirvana ma purtroppo non sono riusciti a eguagliare Rat-Man e a proporre quindi un nuovo standard come sperabile. Forse Sio è l’unico che si è avvicinato.
Con lo sviluppo della serie, lo stile delle storie è presto mutato: pur rimanendo costante il fattore umoristico, le trame si sono arricchite e i temi sono diventati più impegnativi. Come giudichi quest’evoluzione narrativa?
Notevolissima. Con il tempo Ortolani è diventato davvero un maestro capace di portare il livello della trama a una complessità estrema in un rutilante fuoco di fila di trovate. Solo il fatto che siamo in Italia e non negli Stati Uniti impedisce un successo davvero di massa: Hollywood avrebbe già fatto un film e merchandising di ogni tipo.
È vero che non ci sono più “le belle storie di una volta”? O, come suggerisce Ortolani stesso in uno degli ultimi numeri, sono i lettori a non essere più quelli di una volta?
Non è vero. La nostalgia per un tempo passato quando tutto era più bello è qualcosa di insopprimibile nell’animo umano e si lega alla nostra scoperta di qualcosa. Le storie di oggi sono, appunto, in realtà più belle e articolate di un tempo. Dopodiché può essere che il meccanismo narrativo a volte si ripeta ma questo è inevitabile, succede in qualsiasi fumetto seriale.
Rat-Man tocca vari tipi di comicità, e tra questi non manca anche una vena satirica piuttosto caustica. Cosa caratterizza la satira di Leo Ortolani (espressa in modo ancora più deciso dall’autore nella miniserie della Meraviglie, recentemente ristampata da Bao Publishing) e cosa la distingue rispetto a quella dei classici vignettisti satirici?
La grossa differenza rispetto ai classici vignettisti satirici è l’attenzione a un mondo “nerd” o “geek” o chiamatelo come vi pare che, come dimostrano il successo delle manifestazioni legate al fumetto in tutta Italia, è in continua espansione. La cattiveria invece è un ingrediente fondamentale della satira e da questo punto di vista Ortolani è a tutto titolo nella tradizione.
Quali sono le similitudini e quali le differenze tra il supereroe Rat-Man e gli altri supereroi dei fumetti, da quelli altrettanto satirici (le identità segrete dei personaggi Disney, per esempio) a quelli dei comics americani?
Rat-Man ha in sé una parte di italianità che lo differenzia da tutti ovviamente. I personaggi Disney restano comunque eroi, anzi nel caso di Paperino, Paperinik è un alter-ego che ne controbilancia la naturale sfortuna riplasmandolo come un vincente. Al massimo sono un po’ stralunati come Superpippo. Più vicine certe parodie supereroistiche, dove però è quasi sempre del tutto assente la parte più legata ai riferimenti sessuali che invece in Rat-Man la fa spesso da padrone.
Il segno grafico di Leo Ortolani è sicuramente peculiare, tra i personaggi a muso di scimmia e un tratto prettamente cartoonesco, che ha saputo però dimostrare una certa poliedricità e maturazione. Se dovessi parlare dello stile di disegno di Rat-Man, come lo descriveresti?
Il muso di scimmia di cui lo stesso Ortolani si fa gioco è diventato il marchio di fabbrica dei suoi personaggi e il disegno col tempo ovviamente è palesemente migliorato. Sarà molto interessante vedere se nelle prossime avventure Ortolani cercherà un segno completamente nuovo o se continuerà a utilizzare il suo marchio di fabbrica, sia pure in altri contesti. Personalmente sarei contento di vederlo sperimentare nuovi linguaggi.
Proprio nella collana I classici del fumetto di Repubblica Rat-Man fu presentato a pieno titolo come caposaldo della nona arte italiana, tanto che Ortolani costruì addirittura una saga partendo da questo spunto. Secondo te fu un passo importante per l’affermazione di questa serie nell’immaginario dei lettori?
Credo proprio di sì. Le collane di Repubblica credo abbiano portato un certo tipo di fumetto a lettori che altrimenti non sarebbero mai andati a cercarseli in edicola. Proprio quello di Rat-Man è il caso più eclatante di un fumetto di qualità che magari non si conosceva e che grazie a una scoperta si va poi a riacquistare in edicola. Lo stesso dicasi per il fumetto francese che da noi non è mai stato così conosciuto a parte l’eccezione di Asterix che però fa storia a sé.
La suddetta collana, in senso ampio, fu uno dei primi esperimenti di allegati ai quotidiani dedicati al fumetto: com’è cambiato il mercato fumettistico italiano con l’intensificarsi di queste iniziative?
Credo che il problema, lo vedo nella mia personale esperienza ma anche in quella di altri colleghi e appassionati, sia che le case di tutti sono ormai piene! Detto questo gli allegati sono diventati sempre migliori e, paradossalmente, sempre più dedicati a un pubblico di appassionati veri dal momento che quasi tutti utilizzano apparati di approfondimento ad accompagnare le storie, di grande qualità. Il problema è che non ci si può disfare delle precedenti edizioni e il materiale continua ad accumularsi fino al momento di dolorose scelte non più rinviabili. Detto questo, credo sia davvero fantastico poter trovare in edicola oggi un’edizione completa delle opere di Andrea Pazienza quale quella fatta da Repubblica o le storie dei Puffi e addirittura di Popeye del Corriere, per non parlare della riproposizione dell’opera omnia del Corto Maltese di Hugo Pratt che, sempre Repubblica, pubblica da settembre. Certo l’abbondanza di proposte porta a delle scelte: anche in questo campo c’è ormai una grande frammentazione e nessuno fa più i numeri di una volta. Però di solito quando c’è la qualità i lettori rispondono: credo che quello di Pazienza sia il miglior esempio possibile a riguardo.
Negli ultimi anni i quotidiani nazionali hanno iniziato ad interessarsi con maggior frequenza e approfondimento al fumetto, sulle proprie pagine: perché c’è voluto così tanto per poter diffondere in modo più programmatico la cultura del fumetto attraverso i media di informazione generalista?
Si tratta di una lunga battaglia che, persino dopo lo sdoganamento effettuato da Umberto Eco, non si può mai smettere di combattere. È compito di noi giornalisti appassionati portare avanti questa lotta dentro il rispettivo quotidiano di appartenenza perché gli stereotipi a riguardo sono duri a morire con qualche eccezione ormai consolidata come Zerocalcare o Dylan Dog. L’enorme successo del comparto da un punto di vista commerciale credo non potrà fare a meno di pesare in futuro: ormai non c’è casa editrice che non si sia dotata di una sottosezione dedicato al fumetto.
Parlare di fumetto sulle pagine culturali dei quotidiani contribuisce in modo fattivo, secondo te, ad una maggior consapevolezza del valore artistico di questo media?
Assolutamente sì. Ed è per questo che non mi stanco di combattere per riuscire a farlo. Mentre sul New York Times è normale leggere pezzi anche lunghissimi che guardano ai supereroi con un taglio sociale o addirittura letterario (del resto ormai ci sono scrittori che accettano di fare sceneggiature di fumetti, vedi Ta-Nehisi Coates con Black Panther, e – secondo me – sarà sempre più così) in Italia si sconta ancora una diffidenza rispetto al classico libro. Spesso è solamente il successo commerciale a portare a parlare di qualcosa più che la rilevanza culturale. Invece il quotidiano, secondo me, sarebbe proprio il luogo perfetto per trattare il fumetto anche perché può essere un ponte importantissimo verso nuove generazioni di lettori. Ma per il futuro sono molto ottimista.
Ringraziamo ancora Luca Valtorta per averci concesso quest’intervista.
Intervista condotta via mail nel mese di agosto 2017