Verso la fine degli anni Ottanta la figura di Paperon de’ Paperoni non era al massimo della propria carriera: la produzione americana di fumetti era trascurabile, sia quantitativamente che qualitativamente, e in Italia – uno dei Paesi che producevano il maggior numero di storie Disney al mondo – lo Zione si era assestato tra alti e bassi, in un periodo di transizione tra vecchia e nuova guardia per gli autori.
Ma proprio mentre il personaggio si apprestava a riscoprire il proprio lato avventuroso in un altro media, all’interno della serie animata televisiva DuckTales, esordì nel panorama internazionale un autore, ex ingegnere prestato al fumetto, mosso unicamente dalla grande passione verso le storie di Carl Barks e verso il suo Paperone: era l’americano di origini italiane Don Keno Hugo Rosa.
Rivoluzione dal basso
Don Rosa arrivò come un fulmine a ciel sereno, in quel contesto.
Non solo infatti improntò la propria carriera su un profondo rispetto verso l’opera barksiana, ma si pose come diretto continuatore di quanto narrato dall’artista dell’Oregon, riprendendone fedelmente – a tratti all’eccesso – situazioni e sensazioni, non mancando di creare spesso sequel e prequel di molte delle sue classiche storie.
Oltre a ciò, la quasi totalità delle sue avventure nascondevano citazioni (anche solo grafiche) e inside jokes relativi al corpus barksiano, con un approccio che in certi estremi avvicinava l’operato di Don Rosa più alla fan-fiction di lusso che al fumetto professionistico, a cui si riconduce invece per la ricchezza dello storytelling. Questa prassi si poteva notare fin da Zio Paperone e il figlio del sole, la sua prima storia, pesantemente influenzata dalle classiche avventure che Barks costruiva per Paperone, ma rimase una cifra stilistica di tutta la sua carriera.
Strettamente collegata a questo aspetto era anche la volontà di storicizzare in modo certosino le avventure dei paperi.
Se la lunga tradizione fumettistica disneyana si è sempre tenuta alla larga da date e collocazioni temporali troppo ferree, onde evitare di trovarsi a combattere con dissonanze di età e crescite bloccate per diversi personaggi, Don Rosa va nella direzione opposta.
Innanzitutto realizzando la monumentale Life & Times of $crooge McDuck (in Italia conosciuta come La $aga di Paperon de’ Paperoni), sorta di biografia della vita di Paperone, costruita intersecando le varie informazioni sul passato del personaggio disseminate qua e là da Carl Barks nelle sue oltre settecento storie: Don Rosa compie un lavoro impressionante nel mettere insieme aneddoti, richiami e semplici accenni, a volte contraddittori tra loro, per trarne indizi con i quali ricostruire le vicende umane del magnate, e realizza una lunga storia in 12 capitoli che si configura come un unicum nel fumetto Disney, che presenta numerosi pregi e spunti di riflessione per i quali rimandiamo all’approfondimento dedicato.
Questa storicizzazione trovò compimento definitivo nella decisione di ambientare tutte le sue storie – escluse ovviamente quelle svolte nel passato – negli anni Cinquanta, periodo di attività di Barks; tale scelta di campo permise a Don Rosa di muovere un Paperone plausibilmente ancora in vita, anagrafe alla mano, mantenendo intatta la coerenza con cui impostò il proprio lavoro.
Infine, un altro elemento centrale nella narrativa donrosiana era una forte componente sentimentale. Non si intende qui il termine solo nella sua declinazione puramente amorosa, bensì esteso alle emozioni dei personaggi in senso generale, che vengono più volte accentuate e quasi “urlate” in faccia al lettore, con una prosa spesso curata e d’effetto ma che mostra innegabilmente la distanza con la poesia barksiana, che faceva invece del sottile non detto la forza di quanto narrava, risultando paradossalmente più intensa ed efficace.
L’esempio più evidente è la love-story tra Paperone e Doretta Doremì, vecchia fiamma del miliardario ai tempi della corsa all’oro nel Klondike: Don Rosa torna più volte e raccontarci del burrascoso ma dolce rapporto tra i due, riuscendo a costruire storie apprezzabili e dove riusciva a mantenere un buon equilibrio (Cuori dello Yukon), ma anche racconti in cui invece si faceva prendere la mano nel voler sviscerare ogni aspetto di questa relazione (La prigioniera del Fosso dell’Agonia Bianca).
Questo approccio, unito alla rottura di un tabù come quello della rappresentazione della morte, porta ad un costrutto emozionale di fortissimo impatto, capace di solleticare l’interesse e le coscienze di diversi lettori adolescenti e adulti che, pur serbando ancora interesse per i personaggi Disney, non trovavano più grandi soddisfazioni nelle classiche avventure pubblicate su Topolino.
L’annosa questione di cosa è Disney
Don Rosa ben presto divise gli appassionati di fumetto Disney: i più tradizionalisti lo vedevano come un autore chiuso nella propria visione e irrispettoso verso i personaggi che scriveva, mentre molti altri lo accolsero come una necessaria ventata di aria fresca che poteva dare nuova e maggiore dignità ai comics disneyani, mantenendo un contatto con la matrice originaria di Barks ma attualizzando l’approccio alla narrazione e alle caratterizzazioni dei personaggi.
Chi era contro, sostanzialmente, accusava Don Rosa di “non essere Disney”, questione sempre difficile da dirimere quando viene messa sul tavolo. Non è facile infatti determinare cosa “sia Disney” e cosa no, dal momento che non esiste un vademecum ferreo e unitario a cui far riferimento.
Se alcuni paletti – no a sesso, violenza, morte – sono ben noti, individuabili tramite semplice buon senso e condivisi da tutti, altri appartengono al campo delle sfumature e lasciano quindi spazio al dibattito. Don Rosa mostra i genitori di Paperone passati a miglior vita, ma d’altronde lo fa indirettamente e soprattutto con una delicatezza che non sembra essere in contrasto con il sentire disneyano.
Altra “pietra dello scandalo” era rappresentata dal bisogno dell’autore, a tratti morboso, di offrire spiegazioni scientifiche o logiche a situazioni presenti nelle storie di Barks che non lo richiedevano, volutamente lasciate in sospeso o sfumate per divertire tramite il meccanismo del paradosso. Irrealtà, esagerazioni o forzature volute, che era normale non avessero conseguenze sulle storie successive, dove lo status quo tornava ad essere il solito. Un approccio che rappresenta una delle ricchezze del fumetto Disney perché ne preserva la freschezza e la duttilità, ma che la mente di Don Rosa tende a voler incasellare e “risolvere”, minando così un tacito patto con il lettore e chiedendo forse qualcosa che è lecito non aspettarsi da a un fumetto umoristico con animali antropomorfi.
Ma, anche in questo caso, è questione di gusti: molti sono i lettori che hanno applaudito a questi interventi, magari non perché ne sentissero il bisogno ma perché trovavano argute e stimolanti le idee messe in campo da Don Rosa per spiegare certe dinamiche.
Come leggere Don Rosa e vivere sereni
Ma quindi, questo Don Rosa ha fatto bene o male al fumetto Disney?
La risposta non può che essere ambivalente: sotto certi aspetti il fumettista del Kentucky ha dimostrato una grande levatura, uno spirito da cantore avventuroso che rivaleggia con Barks stesso e con molti altri scrittori di genere; ha saputo insinuarsi nelle pieghe della narrativa disneyana per portare alla luce nuove dinamiche, inedite in questo contesto, offrendo nuove sensazioni ai lettori. In tal modo ha saputo intercettare diversi lettori (parte della “vecchia guardia” che vedeva le storie barksiane riprese e parte dei più giovani, attratti da uno stile vicino a quello che cercavano, differente da quello in alcuni casi “appiattito” del classico fumetto Disney) e ha riacceso i riflettori sui paperi, magari facendo discutere ma con un progetto ben preciso in mente, fortemente autoriale.
Sotto altri aspetti l’artista ha in qualche modo pervertito lo spirito Disney, infilandolo in una concezione a volte castrante quasi quanto i paletti che abbatteva, ignorando alcune regole del gioco e creando fraintendimenti sulla natura e sul modo con cui poter muovere questi personaggi senza tempo e arrivando di fatto a creare una sorta di “Don Rosa-verse” autosufficiente e circolare, non toccato da alcuna storia di paperi che non fosse sua o di Carl Barks.
Peggio ancora sono state, nel tempo, le derive dei suoi fan hardcore, che nei peggiori dei casi arrivano a ritenere solo Don Rosa come autore di riferimento, prendendo quanto scritto da lui come “canone ufficiale” per quanto riguarda Paperone e famiglia e snobbando qualunque opera che diverga da quanto affermato nelle sue storie.
Per fortuna superare l’impasse è più semplice di quanto sembri: se una delle regole fondanti di questo universo è quella di accettare e comprendere le più svariate versioni, senza pretesa di un’unica continuity coerente, in un processo secondo cui indipendentemente da cosa può succedere in una storia, in quella dopo si riparte dallo status quo solito, allora anche Don Rosa può trovare posto ed essere accettato dagli appassionati.
Il suo Paperone, del resto, appare come uno dei migliori, una di quelle caratteristiche che l’italo-americano ha ripreso da Barks e ampliato esaltando i dettagli più genuini, interessanti e tridimensionali di questo personaggio.
La sola $aga basterebbe a testimoniare lo spessore dello Scrooge di Don Rosa, insieme a tante altre lunghe avventure e ten-pagers urbane molto godibili.
La risposta migliore alla domanda del titolo, quindi, è quella più logica ed equilibrata: prescindere da Don Rosa non è saggio, ma non bisogna nemmeno esserne schiavi.
Il fumettista ha segnato uno spartiacque importante nella produzione disneyana e ha mostrato nuove, interessanti possibilità, oltre a un approccio avventuroso e comico di indubbia fattura che è bene sia tenuto in considerazione da altri autori, ma non è saggio cadere nel tranello di ritenere valido – o, peggio ancora, “canonico” – solo ed esclusivamente quanto scritto da lui, anche limitandosi a Paperone, predisposizione in forte antitesi con la struttura stessa del fumetto Disney. È giusto che i personaggi abbiano dei “punti fissi” essenziali nella loro personalità e biografia, per evitare che possano essere completamente rivoltati e reinventati da zero a seconda di chi ne scrive le gesta (e per lo Zione questo accorgimento vale doppio); ma è altrettanto necessario che all’interno di questi elementi-base ogni autore possa muoversi in più direzioni e con una buona dose di libertà.
Se rinunciare a Don Rosa vuol dire rinunciare anche al suo Paperone, insomma, non può essere una via percorribile per l’appassionato e per gli “addetti ai lavori”.
Allora è meglio, e soprattutto è tranquillamente possibile, leggere le storie di Don Rosa senza troppi patemi, salvando gli innegabili pregi senza mai dimenticarsi che la sua è solo una delle tante visioni, plausibile come lo sono molte altre, in un universo narrativo che non è mai stato esclusivo, bensì fortemente inclusivo.