La premiata ditta Garth Ennis e Goran Parlov (Barracuda, Fury MAX), si riunisce per questa storia sul passato dell’implacabile Punisher. Dopo Born, che narrava con i disegni di Darick Robertson di un Castle già veterano, qui si torna ancor più indietro nel tempo. Si parte dal presente narrativo, in un bar dove a un tavolo sono riuniti alcuni ormai anziani commilitoni di Frank Castle, a cui si rivolge lo scrittore Michael Goodwin – fratello dello Steve visto in Born (qui mai inquadrato in faccia, quasi fosse un’entità narrante che non deve interferire con la sua presenza fisica) – chiedendo informazioni per documentarsi sulla sua prossima opera. Questo il pretesto per avviare la narrazione del primo tour di Castle nella guerra del Vietnam.
La prerogativa saliente della sceneggiatura di Ennis in quest’occasione è la capacità di utilizzare il topos della “storia delle origini” al meglio, senza sfruttare all’esasperazione concetti triti e ritriti. Al contrario, lo sceneggiatore riesce a approfondire la personalità psicotica ma non congenitamente malvagia di Castle, insinuando non troppo velatamente il dubbio che il vigilante sanguinario fosse già dentro di lui e fosse in atto un conflitto interiore fra il lasciarlo emergere o rifiutarlo come estraneo.
È cosa risaputa che l’accidentale e tragico massacro della sua famiglia sia stata la scintilla che ha dato il via alle sue devastanti azioni di giustiziere senza pietà, ma qui ci viene detto che probabilmente la bomba era già innescata, solo in attesa di detonare. Concetto esposto e raccontato senza impoverire di significato il suo carattere, bensì integrandone la personalità. Ennis non ha ideato il personaggio ma lo ha fatto suo e lo arricchisce ogni volta che ne scrive.
Ma lo scrittore nordirlandese non si limita a una praticamente perfetta caratterizzazione delle origini del Punisher, approfitta dell’ambientazione per fare le sue considerazioni sugli orrori della guerra, sulle colpe dei buoni, sul fatto che la storia è scritta dai vincitori senza mai raccontare tutti i punti di vista, celando orrori che sarebbero disdicevoli per la gloria della nazione che si è dichiarata innocente di molti accadimenti di cui è colpevole: una chiara e diretta critica al militarismo statunitense.1
Dal lato dei disegni, Parlov offre una prova straordinaria, con una nota di particolare merito nel riuscire a rendere espressiva la mancanza di emozioni sul volto di Frank Castle, interiormente in conflitto ma apparentemente impassibile – se non a suo agio – di fronte alla violenza con cui si trova a confrontarsi. Sono suggestive le scene di battaglia e nella giungla, scandite da uno storytelling quasi geometrico nella sua precisione, così come quelle fra i veterani che raccontano la storia in un bar2.
La scansione delle vignette è sempre sapientemente adeguata ad assecondare e sostenere il ritmo della narrazione. Il lavoro del disegnatore è arricchito dai colori di Jordie Bellaire, dai toni plumbei anche quando le tinte sono calde, che rendono efficacemente l’atmosfera sporca delle zona di guerra.
Abbiamo parlato di:
Punisher – The Platoon
Garth Ennis, Goran Parlov
Traduzione di Pier Paolo Ronchetti
Panini Comics, 2018
136 pagine, cartonato, colori – 15,00 €
ISBN: 9788891239617
Tema del resto ricorrente ed evidentemente importante per lo scrittore, come si può evincere anche dalla lettura di questi articoli di Alessandro Bottero: Garth Ennis: la guerra è una cosa mortalmente seria (prima parte) e Garth Ennis: la guerra è una cosa mortalmente seria (seconda parte). ↩
il nostro Federico Beghin in First Issue #11 ha descritto bene la tecnica utilizzata ↩