A pranzo con Alfredo Castelli – seconda parte

A pranzo con Alfredo Castelli – seconda parte

Dopo aver parlato di editoria, dei Classici di Repubblica e dei cartoni animati di Martin Mystere, continua la chiacchierata con Alfredo Castelli spaziando dall'amarcord della sua Eureka e di Comics Club 104, ad alcune considerazioni sulla critica e l'informazione nell'era di Internet. La prima parte dell'intervista la potete trovare qui.

… continua dalla prima parte

Seconda parte della lunga intervista con Alfredo Castelli: durante un ricco pranzo, una vera e propria chiacchierata in libertà dove il fiume di parole dell’autore spazia tra mille argomenti con la sua nota arguzia e intelligenza.

[n.b.: visto che si tratta di un dialogo a quattro voci abbiamo optato per abbreviare in sigle i nomi dei tre intervistatori, nelle parti in neretto, e di evidenziare le parti parlate da Castelli perché non sempre dirette risposte di una domanda.]

I SEGRETI DEL SUCCESSO

GN – Dicevi in un’altra intervista che esistono quattro elementi per sviluppare il fumetto oggi: l’edicola, le librerie di varia, il rapporto coi media e lo sviluppo degli autori.
Castelli – Che bravo! Ho detto una cosa quasi saggia. (risate)

GN – Perché non c’é un editore che riesce a mettere insieme questi quattro elementi?
Castelli – Sa il c#&$o! Sa il buon Dio, nella versione edulcorata. (risate)

GN – Parlando delle librerie di varia, il secondo elemento che citavi, c’é l’esempio della Coconino Press che è riuscita a vendere un malloppone come Blankets [opera autobiografica di Craig Thompson – n.d.r.] al di fuori delle fumetterie.
Castelli – La Coconino sta facendo un buon lavoro e dei buoni prodotti. Nel mercato delle librerie (parlo di quelle generiche e non di quelle specializzate, che considero un ghetto, necessario, ma pur sempre un ghetto) bisognava entrarci dieci anni fa, nel senso che bisognava aumentare, lentamente, anno con anno, come sta facendo ora la Disney, il mercato della libreria. Che vuol dire aumentare lo spazio che la libreria dedica ai fumetti, che era una cosa che bisognava iniziare a fare dieci anni fa per avere tra cinque anni una libreria competitiva (ora che c’é bisogno di dare ossigeno al mercato fumettistico) dove riuscire a vendere un prodotto per almeno cinquemila copie, che come ho detto è il minimo per poter pagare un autore. Tutto ciò senza dimenticare l’esistenza dell’edicola.
Ovviamente all’interno di questo discorso poi le strade sono infinite e complicate. Pero’ se tu vuoi curare un prodotto per libreria devi fare in modo che la libreria ti garantisca un minimo di copie di venduto. A questo punto puoi fare, forse, fumetti fatti apposta per essere venduti lì. Senza aver l’ambizione di arrivare al modello di libreria francese che ha la tradizione di vendere fumetti dal 1842, e che non puoi ottenere con l’impegno di pochi anni. Quindi non puntare al volume che venda un milione e duecentomila copie, ma che almeno si generi un meccanismo distributivo conveniente anche per il mercato librario stesso.
Creare un luogo deputato alla vendita di fumetti all’interno di librerie di varia e non uno spazio casuale tra gli altri libri. Un’operazione che si può fare solo con gli anni e con molta forza d’urto, cosa che ovviamente case editrici delle dimensioni della Coconino non hanno.

GN – Alfredo Castelli non avrebbe desiderio di provare percorsi narrativi differenti?
Castelli – Sì, ma non all’interno del modo del fumetto. Di altri percorsi narrativi mi interessa poco e mi piacerebbe provare dei percorsi editoriali differenti, che è una cosa diversa. Ritengo di aver fatto il mio tempo come autore; un po’ come i calciatori bravi che arrivati a 30/35 anni passano a fare gli allenatori perché conoscono tutti i meccanismi e le strategie per poterlo fare bene. Mi piacerebbe questo tipo di discorso. Anche perché se avessi un’idea super, per una sceneggiatura o per una serie, non avrei problemi a trovare chi me la produca, ma non ho questa libidine.
Che invece avrei, ma è molto più difficile da realizzare, nel trovare delle direttive o linee editoriali o quei cunei di cui sopra. Questo per me sarebbe estremamente stimolante.

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EUREKA!

Castelli – Per quanto riguarda la produzione fumettistica ho in mente di fare una certa roba che mi piacicchia che è la ripresa del feuilleton francese tipo Fantomas o Les Vampires e fare un mescolone di tutte queste cose; lo faremo appena Filippucci si libera un po’ da Tex. Pero’ devo dire che non sono cose per cui mi sto battendo tragicamente.
Al contrario, per la serie animata, in cui per il 90% io non c’entro niente, mi sono fatto un culo perché se non altro c’erano da gestire tutta una serie di questioni legali, che, posso garantire, sono state complicatissime. E mi sono anche divertito, ma non hanno niente a che vedere con la creatività. Due anni di frenetiche attività.
Uno dei miei sogni è trovar spazio per una rivista che presenti cose, non dico di totale avanguardia illeggibili o incapibili, ma almeno di sperimentazione un po’ alta, ma che possa avere anche la possibilità di vendere, anche fossero solo 250 copie.

AC – In effetti ci si chiede spesso perché oggi non possa esistere una rivista tipo Orient Express, per esempio?
Castelli – Perché intanto bisogna avere i soldi per farla. Una delle ragioni per cui sono morte è che alla fine erano diventate dei semplici contenitori senz’anima. Per me una rivista deve avere un’anima. Eureka! diretta da me e Silver [l’inventore di Lupo Alberto, che ha collaborato con Castelli alla direzione editoriale della rivista per 12 numeri tra il 1983 e il 1984 – n.d.r.] ce l’aveva. Avrà avuto i suoi difetti, ma aveva un’anima, una sua identità, e non costava nulla.

AC – Peccato che fosse della Corno che in quel momento era sull’orlo del baratro…che poi è arrivato!
Castelli – Esatto.

AC – È stata la Corno che vi propose la collaborazione o partì tutto da voi?
Castelli – Eureka! andava così male… e quando le cose vanno così male ci si rivolge a Silver, a me e agli altri sfigati di turno! (risate)

AC – Andava così male perché era appena avvenuta la separazione da Secchi?
Castelli – È uno dei motivi, ma quello che ha rovinato la Corno, che prima andava benissimo, fu Adamo, un settimanale, e il settimanale per definizione uccide. Anche Bonelli fece uno strano prodotto del genere: Full (1983 circa) andato a ramengo dopo un po’ di numeri. L’editore ci ha speso 700/800 milioni dell’epoca, ma ha sempre sostenuto: “Ho tentato, è andata male, ma sono stato nei limiti senza mettere a repentaglio null’altro. Ho perso soldi, pazienza”.
Invece la Corno si fece se non sbaglio un paio di miliardi di debiti, alla fine degli anni settanta (o inizio ottanta). Il settimanale in questo senso è un moloch assassino, un’idrovora. A meno che tu non sia il Corriere, la Mondadori, o L’Eura che all’inizio aveva alle spalle la Lancio quindi molti soldi. Se invece sei un piccolo editore e parti con un settimanale hai il 99,9% di possibilità di andare nei guai grossi, perché le prime realistiche risposte del distributore le hai dopo sei mesi, dopo più di venti numeri. Troppo tardi per capire che hai perso una marea di soldi.

AC – Che ne è stato di Andra Corno?
Castelli – Corno viene qui spesso a mangiare, ma è molto che non si vede.

AC – E cosa fa adesso?
Castelli – Penso niente. Tra l’altro aveva fatto con la sua casa editrice cose veramente innovative.

AC – Sì, ma nel momento che Secchi se ne ando’, in verità andava bene solo Alan Ford…
Castelli – Vero, pero’ se ne ando’ con tutti i suoi personaggi, che per la Corno erano capitali che aveva in cassaforte e che poteva ancora gestire.

AC – E i supereroi erano quasi morenti.
Castelli – Uscivano ancora, ristampati la seconda o la terza volta.

AC – Tornando a Eureka, ti posso dire che l’avevo persa di vista dopo anni e che per i lettori come me fu una vera sorpresa.
Questo perché io e Silver ci divertivamo assai. Fu in quel periodo che scoprimmo questo postaccio dove ci si ritrovava spessissimo. Nella via accanto c’era la Corno e io abito qui vicino. All’interno del locale c’é ancora una foto di Silver, di me, il proprietario con la fascetta giapponese sulla testa allegata a uno dei numeri di quell’Eureka.

AC – Uno dei tanti gadget di quell’anno.
Castelli – Un finto gadget da due lire, una fascetta di carta con scritto in giapponese “Forza Eureka!” uscita con un numero dedicato al Giappone.

In posa: Nigro, Quitadamo, Castelli, CasiraghiAC – Già, perché tutti i numeri erano monografici…
Castelli – Sì, con i personaggi fissi che venivano gestiti in un certo modo adattandoli all’occasione. Non era un brutto prodotto e vendeva attorno alle 15/20mila copie costando pochissimo. Io e Silver prendevamo come compenso una cifra miserabile tipo 800.000 lire, e probabilmente in due!

AC – E c’erano dei fumetti niente male, tipo La striscia di Sam. [Sam’s strip di Dumas e Walker, esce solo per due anni, 61/63, e vedeva il personaggio principale come vero proprietario della striscia che in qualche modo doveva far sopravvivere – n.d.r.].
Castelli – Era uno dei miei pallini. Che bella che era!

AC – Altro che certi tentativi di metafumetto contemporanei!
Castelli – Quello era metafumetto puro. Una volta Silver e io andammo a trovare Jerry Dumas (l’autore) che abitava nel New Jersey. Prima eravamo stati da Mort Walker, quello di Beetley Bailey che pero’ ci aveva avvertiti che Dumas aveva molto da fare, e insomma ci aveva fatto capire di non disturbarlo troppo. Una volta incontratolo abbiamo capito il perché di quelle raccomandazioni: se io sono un chiacchierone in confronto a lui sono un muto! Dopo una giornata, alla sera eravamo ancora lì a chiacchierare amabilmente. Per tutto il giorno non aveva combinato nulla per tenerci lì a pranzo e cena.
Oggi la striscia esce ancora e si chiama Sam & Sailor, ma non ha più tutte le contaminazioni con il fumetto che erano bellissime, ma adatte a segaioli come me.

AC – Beh, io ero solo un ragazzino, ma mi piacevano tantissimo.
Castelli – E perché anche tu eri un segaiolo! (risate generali e quasi insurrezione; GN e MQ in coro: “Ancora oggi!)

AC – Okay, pero’ c’era questo fumetto che parlava al lettore.
Castelli – Il metafumetto per eccellenza, che giocava con tutti i tipi di fumetto. Era uscito anche un volumetto che ne raccoglieva le strisce.

separatorearticoloAC – Con Eureka, tra l’altro, con il manuale del fumetto hai sperimentato il formato che sarà poi quello dei dizionari allegati agli speciali Bonelli.
Castelli – E se lo leggi oggi ha ancora una parte teorica validissima e una parte che risente del tempo che dice: “Affittate un videoregistratore che non costi molto” – Adesso te li tirano dietro! (risate)
Stiamo parlando di 22 anni fa, quindi non un epoca così remota, ma in cui comprare un videoregistratore era un bell’impegno finanziario.

AC – La parte redazionale di Eureka era fatta da tutti e due?
Castelli – Era più farina del mio sacco e difatti dietro la firma Ronin c’ero sempre io.

AC – E gli articoli falsi? C’era un articolo bellissimo che da ragazzino segaiolo mi aveva interessato…
Castelli – Quello di Blue Tv, la fantomatica Tv pornografica per casalinghe. Erano articoli totalmente inventati, ma di una precisione tale che ancora oggi ingannerebbero molti.
Essenzialmente quell’articolo parlava di due cose: uno era la porno tv che ancora oggi non si è totalmente sviluppata perfettamente; qualcosa da inventare ancora ci sarebbe. L’altro aspetto era l’utilizzo del digitale per usare gli attori defunti. Ma forse sto confondendo e mischiando due articoli…

AC – Lo credo anch’io…
Castelli – Comunque, l’altra sera in televisione per l’ennesima volta hanno annunciato che “si riuscirà a far recitare digitalmente Toto’ piuttosto che Marilyn Monroe” cosa di cui su Eureka all’epoca avevamo già parlato, ragionando in termini futuribili.
C’é ad esempio la descrizione di una fiera mondiale di Valencia incentrata su alcune novità del digitale, totalmente inventata.

AC – Perché un progetto editoriale del genere non ha trovato altri e nuovi spazi?
Castelli – Perché ad un certo punto Eureka chiude e tu ti sei fatto un mazzo così, hai perso anche dei soldi o l’editore non ti ha pagato. Un altro editore dice: “Ha chiuso e chi cazzo me lo fa fare a me? Quanto vendeva?”

AC – Pero’ come dicevi, quella rivista aveva un’anima.
Castelli – Un’altra che l’aveva era Pilote, diretta da Tiziano Sclavi, ma realizzarla costava il doppio. Un’altra ancora era Orient Express, ma Eureka credo che fosse decisamente più simpatica. Ci volevamo un po’ più bene ed eravamo un po’ più caciaroni: credo che si avvertisse che io e Silver ci divertissimo a farla.

AC – Pur avendo delle parti redazionali molto serie e documentate.
GN – Il divertimento probabilmente stava nel farla.
Castelli – Difatti, il divertimento non corrisponde necessariamente alla non serietà. C’é del piacere a dire: ho appreso e te lo racconto, perché mi piace.

AC – C’era Silver che faceva le caricature dei Puffi
Castelli – È vero, i nuovi Puffi: il puffo onanista, il puffo piduista… C’era lo spazio per sperimentare queste cose, come “Il carciofo nazionale”, dove la copertina era disegnata da Claudio Villa [attuale copertinista di Tex – n.d.r.], che è una bravissima persona, ma la persona meno spiritosa che io conosca! (risate)

 

UN CLUB RISERVATO

AC – Com’era a metà degli anni sessanta fare una fanzine come Comics Club 104?
Castelli – La rivista era del 1965 e credo che vendessimo 300 copie, di cui 200 credo che le avesse comprate Bonelli! L’idea era di un certo Paolo Sala che pero’ ha mollato subito. Ci basavamo soprattutto sui libri che leggevamo. Ero in contatto epistolare con vari americani che facevano fanzine, per cui mi davano delle notizie e viceversa.

AC – Com’era vista dagli addetti ai lavori?
Castelli – Più che altro non era vista, e durante la sua vita ne sapevano dell’esistenza 50/100 persone. Attenzione che agli addetti ai lavori all’epoca non gliene poteva fregare di nulla di un interesse riguardo al fumetto. Era un mondo molto diverso e quindi in questo senso credo che ci sia stato un rinnovamento positivo notevole. Non faccio certo una colpa ai vecchi fumettari, ma era un momento storico diverso.
Ai vecchi fumettisti, meno la gente gli rompeva i coglioni e più erano contenti, nel senso che c’era una tendenza al sottoproletariato, chiamiamolo così, nel senso che se mi pagano io lo faccio e non rompetemi le palle.
L’altro giorno a Roma, ho partecipato ad un convegno sui diritti d’autore. Su questo tema ho fatto davvero qualcosa, perché ai tempi de Il Corriere Dei Ragazzi è nata, grazie ai miei buoni uffici, la convenzione (e non una legge) sui pagamenti che vengono applicati ancora oggi praticamente un po’ da tutti, esclusa la Disney. Una convenzione dove si riconoscono i diritti: all’editore va circa il 40-50% e il resto viene diviso tra gli autori. A quell’epoca i vari avversari da affrontare per inserire nel mondo del fumetto questa convenzione non erano gli editori, che erano avversari per default, la controparte legittima: erano gli autori stessi!
Non è che ne faccia delle colpe. Io ero giovane ed economicamente non esposto, diversamente dai rischi che poteva correre magari un serio e onesto padre di famiglia che da cinquant’anni disegnava: era carne da fumetto. Io invece ero molto facilitato in questo senso. I grossi problemi non li ho mai avuti dagli editori: loro tendevano a pagarti di meno e tu gli chiedevi di più.

 

GLI AMICI DI INTERNET

AC – E oggi il lavoro che facciamo noi con il nostro sito viene apprezzato e seguito?
Castelli – È utile. Parlando da autore costituisce un universo con cui confrontarsi. Io questi siti li leggo tutti con piacere, quando mi è possibile, anche se non è detto che siano la Bibbia, ma sono indicativi. Per me è un bene che esistano.
Dico una cosa che potrebbe sembrare tremenda e offensiva, ma non lo vuole essere. Lavorando tutti i pomeriggi a casa, come le massaie sono vittima di ogni sorta di venditore, da quello delle enciclopedie a quello degli aspirapolvere. Capita che arrivino a vendermi anche giornali tipo Lotta comunista, giornale ultra stalinista. Con questi tipi ho in atto un simpatico rapporto (come dicono in Amici Miei), dove dico: “Sentite, i soldi ve li do lo stesso, ma per favore buttatelo via voi, perché è inutile che me lo diate perché non lo leggo nemmeno. Lo trovo una stronzata pazzesca.” Pero’ pago, perché secondo me è giustissimo che esista, deve poter esistere. Questo pero’ non è quello che penso, per fortuna, riguardo al fandom del fumetto…

AC – Anche perché a noi non ci paga nessuno…
Castelli – Quindi il fatto che si parli di queste cose vuol dire che esiste ancora un certo grado di libertà. Per di più il fandom del fumetto non è che ti dia una visione veramente reale del mondo del fumetto, anzi.
Per esempio, ricordo Silvano Mezzavilla [giornalista, sceneggiatore, direttore della defunta “Orme” – n.d.r.], che apprezzo molto, che una volta su una rivista a livello europeo, parlando del fumetto italiano cito’ una serie di nomi che considerava tra gli autori più rappresentativi del nostro paese. Bene, io non ne conoscevo uno, perché probabilmente erano ultra-ultra underground. Magari erano importantissimi e bravissimi, ma io non li avevo mai sentiti.
Questo tipo di atteggiamento non è molto giusto, lo trovo rivolto ad una nicchia di appassionati. E nello stesso tempo se non ci fossero certe indicazioni probabilmente non le potrei trovare da solo.
Quindi in parole povere la critica fumettistica specializzata non ti può dare un’immagine precisissima del mondo del fumetto, perché esistono moltissimi modi di vederlo. Pero’ ti dà una serie di stimoli molto importanti per allargare il tuo campo visivo.
In Bonelli, per esempio, viene letto tutto. Del resto Marcheselli [Mauro, redattore capo della Bonelli – n.d.r.]) legge tutto perché nasce dalla critica. Se ne tiene conto o meno? Non ha importanza ciò, ma di fatto un filino, magari nel retromeccanismo, ne viene tenuto conto.

In conclusione, vogliamo ringraziare Alfredo Castelli per la sua gentilezza, la sua disponibilità e la pazienza con la quale ha risposto alle nostre domande.

Riferimenti:
Sergio Bonelli Editore, sito ufficiale: www.sergiobonellieditore.it

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