Il tema e la domanda interiore
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Il tema e la domanda interiore

Più volte su questo blog ho affrontato il tema del… tema in una narrazione. Di recente mi è capitato di vedere un interessante video del bravissimo scrittore Pierdomenico Baccalario a proposito del tema di una storia, e mi è sembrato opportuno farci una riflessione sopra. Dopotutto tra polemiche sugli scontrini dei toast e su ricchi che si fanno le corna in mondovisione, ci sarà anche spazio per un costruttivo dibattito sulla narrazione.

Qui il video di Baccalario:

In sostanza, l’opinione di Baccalario è che iniziare una storia con la ricerca di un tema “falsifichi” in qualche modo la narrazione. Che se il racconto è buono non c’è bisogno che l’autore comunichi le proprie opinioni: sarà la storia stessa a esprimerle in maniera implicita. Tra i temi proposti nelle scuole cita bullismo, inclusività, sostenibilità, eccetera.

Siccome spesso, durante il corso di sceneggiatura e narrazione che coordino presso la Scuola Internazionale di Comics di Milano parlo agli allievi del tema, e di quanto questo sia importante per sviluppare una narrazione “con un’anima”, mi è sembrato interessante dire la mia a proposito.

Per come lo vedo io, il tema di una storia non è ciò che viene citato nel video (il bullismo, l’inclusività, ecc.): quelli mi sembrano meramente argomenti, e da dei semplici argomenti non si tira fuori chiaramente una storia… e in questo do pienamente ragione a Pierdomenico.

Il tema di una storia, per me, è una domanda. Ma è una domanda che non si può porre se prima non si sono gettate le basi della storia.

Occorre quindi prima l’idea (o il concept) della storia, occorrono i personaggi, occorre delineare il conflitto che muove la narrazione. E allora – solo allora – per sviluppare il suo racconto l’autore potrà fermarsi un attimo e porsi delle domande.

Quello che consiglio sempre agli allievi è nel momento di incertezza, durante lo sviluppo della storia, di fare un piccolo pit stop. Quando arrivi in quel momento, dopo aver delineato i personaggi e il conflitto, e devi decidere quali direzioni prendere negli infiniti bivi che ti si presentano davanti, allora poniti una domanda: Cosa voglio davvero raccontare?

Non parlo del conflitto esteriore, quella scintilla che mette in azione il motore della tua storia. Parlo invece di ciò che – a causa del conflitto esteriore – ha cominciato a muoversi dentro il tuo personaggio. Il protagonista ha un problema esteriore da risolvere, okay, ma forse questo lo mette davanti a se stesso, a cose che ha sempre saputo e che non ha mai voluto affrontare? A cose che non ha mai preso in considerazione e di cui non conosceva l’esistenza?

Una bambina che vede la nascita di un fratellino e soffre le attenzioni che i suoi genitori rivolgono al neonato, può chiedersi intimamente: C’è ancora posto per me?

Un uomo che vede morire la compagna di tutta una vita può chiedersi: C’è ancora vita dopo un lutto del genere?

Domande implicite, spesso inconsce, ma che guidano la narrazione, i pensieri e le reazioni del protagonista e del mondo che lo circonda. Domande da sviscerare, domande cui la storia cerca di fornire una risposta (alle volte ci riesce, alle volte no). Fanno sì che un conflitto non dia solo il via a un’azione esteriore ma che vada a pescare a fondo nell’animo umano.

Nel graphic novel “Sospesosospeso tunué giorgio salati armin barducci, dopo aver ideato l’espediente del tempo che si ferma, mentre ragionavo sullo sviluppo, mi sono fermato e mi sono posto la domanda: Se un tredicenne bullizzato scoprisse di avere dei superpoteri, diventerebbe davvero un supereroe?

Il tema per me è una domanda, che scaturisce dall’incontro tra il protagonista e il conflitto, e che viene portata avanti per tutta la storia.

Giustamente, non si inizia una storia con una risposta. “Il razzismo è cattivo” non è una domanda, è una risposta, e una storia che inizia con una risposta è una storia sterile, già morta prima di iniziare. Se fosse iniziato con una risposta, “American History X” non sarebbe il film grandioso che è. Molto più interessante chiedersi: “Cosa succederebbe se un giovane neonazista fosse costretto a condividere del tempo con un coetaneo afroamericano?”

Solo una volta che non riuscivano a far funzionare “Monsters Inc.” i suoi autori si sono resi conto che non volevano semplicemente parlare di mostri: volevano parlare della paternità, per quanto strano possa sembrare. Quello era il loro tema, che non sarebbe mai scaturito prima del world building, della creazione dei personaggi e dell’ideazione del conflitto.

Iniziare una narrazione con una risposta significa per me scrivere “a tesi“. Una storia che inizia con una risposta è noiosa, petulante, di nessun interesse.

Scrivere con un tema in mente invece per me significa porsi una domanda interiore e usare la storia per cercare una risposta, e nello stesso tempo cercare di darla al lettore, senza volerlo indottrinare.

Tante volte crediamo di avere un’opinione su un determinato argomento, ma poi sviscerando quel tema, quella domanda cruciale, scopriamo di avere opinioni diverse, oppure che la realtà è molto più complessa di quella che appare di quando si scrive con una tesi già pronta in testa. Per questo, percorrendo un tema interiore possiamo arrivare a empatizzare perfino con un neonazista, se scopriamo che dentro di noi potrebbe annidarsi quel piccolo germe dell’odio che tanto ci spaventa nel personaggio.

Quindi, in definitiva, credo di trovarmi molto d’accordo con Baccalario su quello che dice, proprio per il fatto che io intendo il tema in una maniera abbastanza differente da come lo intende lui, e che insomma le nostre divergenze riguardino più la terminologia che la sostanza del discorso.

 

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