Che nei fumetti di AkaB il lettore sia trascinato in un complicato mondo fatto di lampi e oblio, di bagliori narrativi e inesorabili cadute nell’abisso, è ormai cosa nota. Impegnato anche come illustratore e regista, l’autore milanese ha infatti messo a punto negli anni, tavola dopo tavola, un solido marchingegno per scandagliare con immagini e parole gli anfratti più ruvidi e dolenti dell’animo umano.
Già in Defragment, suo precedente libro di ampio respiro, avevamo rievocato Antonio Rezza nell’evidenziare la sua precisa volontà di annodare il filo del discorso, di mischiare le carte, proprio quando tutto sembrava incanalarsi su un binario (morto) rettilineo.
Con Plume ci si scopre di nuovo incastrati nella carne viva e pulsante del male.
“Chacun porte sa croix/moi je porte une plume”
(ciascuno porta la sua croce/io porto una piuma), recita infatti il sottotitolo di uno dei capitoli del libro, come a dire che anche nella leggerezza di una piuma può nascondersi il fardello di un dramma.
Storie brevi – edite e inedite – raccolte nell’ultimo decennio, compongono qui un puzzle di pezzi sghembi a livello tanto visuale quanto narrativo. Una sorta di compendiario ben composto per affacciarsi nel mondo di AkaB, nelle sue idiosincrasie, nella sua lingua bastarda fatta di urla e sussurri, di deformazioni espressive tirate all’inverosimile e di piccoli frammenti di ricercata bellezza.
Composto com’è da storie pescate da momenti e contesti diversi, il libro giocoforza ne risente in compattezza visiva, ma in fondo questa non è che la testimonianza di un linguaggio che si evolve nel tempo, riuscendo a essere più sintetico o complicato anche in base al tenore espressivo del singolo lavoro.
Fra queste pagine, comunque, trovano posto i suoi temi più “cari”: il sesso e la morte (Thongs; Apocalypse Pending; Alfredino Vermicino), la malattia e la violenza (La webcam girl con il cancro; ZETA23), la religione coi suoi inganni (Il Cristo di carne; Untitled), la solitudine (Are you lonesome tonight), la vita e il linguaggio a “3 minuti” dalla fine del mondo (Abaddon).
Ma di tutte queste schegge visive, forse la storia breve che restituisce al meglio la temperatura ribollente dell’autore è quella apparentemente più spoglia, Aquarietto. Quattro pagine interamente riempite da 24 acquari sferici in fila per 4. Sembra una filastrocca e invece è esattamente quello che c’è dentro: niente parole, niente dialoghi o didascalie, solo dei cerchi, una linea sottile a indicare il livello dell’acqua e un unico, muto e solitario pesce rosso che nuota, defeca, cambia direzione, poi – ormai capovolto – galleggia privo di vita un attimo prima di sparire insieme all’acqua nelle ultime vignette/acquario. In questa abbacinante sequenza muta risiede l’intero groviglio narrativo dell’autore. Non servono grosse spiegazioni, dialoghi ispirati, non serve neanche una pur vaga indicazione di tempo o di luogo: tutto è lì, ciò che serve, a costruire questa sequenza spietata fatta di vita e di morte.
“We’re just two lost souls/Swimming in a fish bowl/Year after year”
cantavano i Pink Floyd. Ma qui il pesce è rimasto solo, non rimane più neppure una spalla con cui dividere questa solitudine immensa. E la morte arriva leggera, a interrompere le traiettorie vaganti di quella piccola e insignificante macchietta rossa, padrona indiscussa della stessa acqua in cui ha mangiato e defecato. Una metafora che si fa condanna senza appello, come spesso avviene – esplicitamente o in sottotraccia – nei migliori lavori di AkaB.
Abbiamo parlato di:
Plume
AkaB
Douglas Edizioni, 2017
146 pagine, brossurato, colori – 20 €
ISBN 978-88-941627-1-4