Sul pianeta perduto di Antonio Serra e Paolo Bacilieri

Sul pianeta perduto di Antonio Serra e Paolo Bacilieri

Antonio Serra, accompagnato da Paolo Bacilieri, con "Sul pianeta perduto" ci riprova nel campo a lui più congeniale della fantascienza interpretata e vissuta con le suggestioni e le fantasie di un fanciullo.

Una fiaba universale

La linearità della trama, la rotondità dei personaggi e, non ultima, la nitida essenzialità del segno di Paolo Bacilieri, potrebbero indurre a ritenere Sul pianeta perduto, un lavoro estremamente semplice.

Il condiviso patrimonio immaginativo e grafico, che sottende l’opera di Serra e Bacilieri, potrebbe rafforzare l’idea di un’operazione leggera, portatrice di un tenue sforzo creativo che vampirizza suggestioni già elaborate da altri.

In verità, Serra si serve, per questo lavoro, di archetipi universali che risultano immediatamente riconoscibili. Il narratore esemplifica un patrimonio etico, oltre che simbolico e immaginativo, che appartiene a tutta l’umanità e lo trasferisce in una storia che assume dimensioni di assoluto.

 

Le suggestioni dell’opera

Il lettore ricava una sensazione di piacevole familiarità, come se ascoltasse una fiaba sentita già tante volte, ma narrata particolarmente bene. Si rinnovano richiami remoti che abbiamo assaporato in altre opere e in altri contesti. Suggestioni che, come ci avevano incantato nel passato, continuano a farlo anche nelle evocative atmosfere che Serra e Bacilieri rendono palpabili.
Bota, il malmesso robot veterano, ricorda Robbie, il servizievole robot, reso celebre da Il pianeta proibito (Forbidden Planet, 1956, regia di Fred McLeod Wilcox), film che si ispira direttamente alla Tempesta di Shakespeare. E il lavoro di Serra, a livello più o meno consapevole, eredita il potente immaginario del Bardo inglese, filtrato attraverso le note fantascientifiche del regista americano.

Sul pianeta perduto, p. 277. Il maestro Bota esegue l’accompagnamento dei titoli di coda di Star Wars IV.

C’è tutto il mondo ben strutturato delle Star Wars di George Lucas, cui gli autori esplicitamente riconoscono un tributo, dalla formattazione grafica del titolo, i cui caratteri riprendono quelli della famosa saga, sino alla esecuzione da parte di Bota della colonna sonora di accompagnamento dei titoli di coda di Guerre Stellari. Ma le reminiscenze letterarie non si fermano ancora: Bota e il suo corpo metallico dismesso e cadente, Bota e il suo desiderio inappagato di essere accettato dagli uomini, Bota amico degli animi semplici interpreta una sorta di mostro di Frankenstein del futuro, tecnologico quanto si vuole, ma dal cuore più umano di quello dei suoi creatori.
I giovani Jim e Rose, interpretano un vero e propio Bildungsroman, un ottocentesco romanzo di formazione. I due protagonisti, cavalcando le ansie di fuggire da una realtà, che sentono come limitante per le proprie esistenze, scoprono un nuovo mondo e, attraverso la sofferenza e il dolore, fanno nuove esperienze che modificano radicalmente la propria Weltanschauung.
E ancora: gli anziani dell’isola di Maa, nel loro intento assolutistico di difendere ad ogni costo la propria purezza, consapevoli di quali demoni nasconda dentro di sé l’essere umano, rievocano gli anziani del villaggio di Convigton, dove M. Night Shyamalan ambienta le vicende del suo The Village(2004).

Il robot gentile in Laputa – Castello nel cielo,1986.

Infine si può sostenere che l’intero tessuto narrativo sia pervaso dalle atmosfere presenti negli anime di Hayao Miyazaki, con cui Serra ha in comune tematiche come l’ambientalismo e il pacifismo.
Ma ritroviamo riferimenti anche più puntuali: la natura sottoposta alla brutalità di potenti guerrafondai; le forze del bene rappresentate da due adolescenti di sesso opposto che vivono, in Conan, il ragazzo del futuro, 1978, come Jim e Rose, su un’isola dove la tecnologia è stata dimenticata; il robot, gentile come Bota, che appare in  Laputa – Castello nel cielo, 1986.

Sul pianeta perduto. Bota dalla quarta di copertina.

 

L’eredità di Serra

Le problematiche che l’autore sardo aveva abbozzato in Greystorm e che, in quella occasione, non riuscì a sostenere fino in fondo, annacquandole con una troppo facile concessione al fumetto d’avventura puro e semplice, tornano qui. Ritroviamo, infatti, in Sul pianeta perduto, quella contrapposizione fra natura e tecnologia che, nella serie di Greystorm, era semplificata nello scontro fra il tecnocrate geniale e folle (Greystorm, appunto) e Howard, il suo alter ego buono, convinto sostenitore della potenza benefica della natura.
Come in Greystorm anche in questo ultimo lavoro una delle due locazioni narrative è un’isola, ove gli abitanti sono dediti esclusivamente ai lavori agricoli (la seconda locazione è l’urbanizzato nuovo mondo, che fa da pendant alla Londra di Greystorm). Come l’isola del Pacifico era abitata dai sopravvissuti al disastro del dirigibile e dagli aborigeni, questa è abitata dai discendenti dei terrestri, scampati alla distruzione della loro astronave e dai nativi del pianeta Yird, simpatici, pelosi felinomorfi.
I toni e le dimensioni di una narrazione minimalista e semplificata, le tematiche sempliciotte che furono caratteristiche dell’operazione Gregory Hunter (nelle edicole nel 2001), le ritroviamo anche qui. Ma con quale diversa potenza narrativa!
Le vicende che accadono sul pianeta perduto si caratterizzano per una intrinseca drammaticità soffusa da moduli narrativi volutamente ingenui ma assolutamente funzionali che rendono palpitante la lettura e portano sovente alla commozione.


La simbologia de Sul pianeta perduto

Numerosi sono i significati simbolici dell’opera: qui ne evochiamo solo alcuni. Le costruzioni dell’isola sono tondeggianti ed ovoidali, a significare pienezza e compiutezza ma anche chiusura in sé stessi, così come è cinto un cerchio.

Nel nuovo mondo, invece, le forme sono squadrate e senza arrotondamenti. Non solo gli edifici della città, che sono orribili grattacieli orizzontali, ma anche tutte le altre costruzioni sono rigidamente profilate. Persino le silhouette dei militari sono rigidamente quadrettate. Manifestazioni fredde di una tecnologia che ha dimenticato la natura. I volti degli anziani dell’isola sono coperti da maschere in cui sono facilmente riconoscibili i mascheroni degli atlantidei che avevamo incontrato nella saga La guerra senza tempo, (Nathan Never nn. 60-65). In questo caso i mascheroni, che ricoprono completamente le teste e celano persino gli occhi, simboleggiano l’incapacità dei governanti di vedere, rivelano il vizio di coprire gli occhi e di nascondere la mente di fronte alla realtà che potrebbe disturbare.
Nel finale apprezziamo la rappresentazione di un parlamento torpido ed egoista, preoccupato solo dei propri privilegi, che ha lasciato in mano ai tecnocrati robot il governo del paese. È solo una suggestione o forse Serra vuole ricordare le circostanze, ancora molto scottanti, in cui una certa classe parlamentare, egoista e satolla, ha lasciato in mano a tecnici freddi e poco sensibili la gestione della cosa pubblica? Quando Serra, nella introduzione, parla di “discutibili prese di posizione di tipo ‘politico’”, forse proprio a questo allude.

 

L’arte di Bacilieri

Il segno di Bacilieri è assolutamente funzionale alle specifiche della storia raccontata. Il suo tratto fortemente caratterizzante riesce a rendere verosimili e assolutamente integrati nel contesto grafico realistico figure da cartoon come quelle dei fur, oltre che delle molteplici creature fantastiche che popolano le scenografie.
Quel che è straordinario è che il disegnatore modifica il suo tratto, sino a mutare il proprio stile, in base alle esigenze narrative.
Nelle scene in cui il pianeta Scug ottenebra Yird, il disegno diviene estremamente particolareggiato, teso a descrivere tutti i particolari, anche i più minuscoli che stanno sulla scena. Il risultato è un’arabescata filigrana in cui il vuoto svanisce soppiantato da infiniti tratti descrittivi.
Nelle scene illuminate dal sole di Yird, invece, il tratto di Bacilieri si dissolve in una linea nitida che non dà spazio a quegli elementi che non siano strettamente funzionali alla visione. Così avviene che i ritratti dei personaggi siano tracciati da una decisa linea non modulata che designa i confini dell’immagine e lascia che siano i bianchi a formare gli aggetti, piuttosto che siano a farlo neri o i chiaroscuri.
Il risultato è altissimo in termini di realismo e di espressività dei volti.   

In conclusione un’opera che tiene alta la qualità della collana, Romanzi a fumetti Bonelli, la quale, per inciso, non ha quasi mai smentito la promessa, insita nella denominazione, di proporre veri e propri i romanzi con il linguaggio delle nuvole parlanti.  

Abbiamo parlato di:
Sul pianeta perduto – Romanzi a fumetti n. 8
Antonio Serra, Paolo Bacilieri
Sergio Bonelli Editore, novembre 2012
288 pagine, brossurato, bianco e nero – 9,50€

2 Commenti

1 Commento

  1. Domenico

    2 Dicembre 2012 a 20:14

    Ma forse il limite non sono proprio tuttequeste citazioni ?? Mi spiego…io stò continuando a guardare il volume in edicola, e gli giro attorno, non è questione oramai di dire io e Bacilieri non ci prendiamo, che è pur vero ma la colpa è mia non del disegnatore che è bravo, sono io che non lo apprezzo come merita. No. E’ questione che le troppe citazioni mi stanno tenendo lontano dall’albo, un’ottima storia che però si nasconde sotto le molte troppe cose che dice a lato.E’ un racconto, voglio essere chiaro, chemi piace, mi affascina, ma soprattutto per le mille cose che dice d’altro, per tutte le citazioni fatte…la sua storia in se…non la riesco a vedere…..E ditemi ci sarà un secondo volume ?? Perchè fra l’altro un mondo come questo meriterebbe di avere molto più spazio, ecco sapendo che ci potrebbe essere un seguito – ma non è nello stile dei Romanzi – questo mi spingerebbe a prenderlo..Scusatemi forse la nota è un pò confusa ma sono confusi i miei sentimenti verso il volume, è bello ma non riesco a decidermi a prenderlo…

    Bella disanima del volume complimenti.

    • La redazione

      3 Dicembre 2012 a 10:38

      Cominciando dalla domanda “facile”, crediamo sia prematuro pensare a un seguito, probabilmente ancora nemmeno nelle menti degli autori. Forse solo un particolare successo potrebbe spingerli ad approfondire questo mondo, ma la storia, per messaggio e struttura, è perfettamente compiuta così.
      Per quanto riguarda il citazionismo, come sostenuto dall’articolo, non è una componente prevaricante della storia, ma questo può rientrare nei gusti personali.

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