Per un pugno di plagi Storia dei disegni di Tex & C.

Per un pugno di plagi Storia dei disegni di Tex & C.

Quando il ricalco diventa un’arte: un’opera in due volumi, “Western all’italiana. Storia dei disegni di Tex & C.”, fa luce su una prassi molto diffusa tra i disegnatori italiani di fumetti seriali tra gli anni ’60 e ’70.

C’è perfino qualche collezionista che, dopo avere letto i libri di cui stiamo per parlare, ha meditato di disfarsi di alcune copertine originali in suo possesso. Quale sarebbe la colpa delle suddette illustrazioni, firmate negli anni Sessanta e Settanta da due giganti del fumetto seriale italiano come Aurelio Galleppini e Gallieno Ferri? È presto detto: quella di essere dei plagi.
Ma a risultare copiate da modelli soprattutto americani non sono soltanto tante storiche copertine di albi di Tex e di Zagor: il discorso riguarda anche numerose vignette interne e si estende ad altri autori di rilievo come Francesco Gamba, Franco Donatelli e Rinaldo D’Ami, tutti quanti colonne dell’editore Bonelli.

Quest’opera sistematica di ricalco, portata avanti in particolare da Galleppini, il creatore grafico di Tex Willer, è capillarmente documentata in due straordinari libri interamente a colori: i volumi 1 e 2 dell’imponente opera Western all’italiana. Storia dei disegni di Tex & C. (per conoscere le modalità di acquisto scrivere a info@baciespari.it), curata da Francesco Bosco con la collaborazione di Mauro Scremin.

Attraverso centinaia di raffronti – che non lasciano spazio a dubbi di sorta – di innumerevoli fascicoli di Tex, Zagor e altre collane della Bonelli con le cover di romanzi western pubblicati negli Usa (ma anche con strisce provenienti da fumetti d’avventura statunitensi e italiani, locandine cinematografiche e addirittura fotogrammi di film), gli autori dimostrano come, almeno fino ai primi anni Settanta, il ricalco appena revisionato di immagini elaborate da altre mani o comunque attinte da fonti già esistenti fosse pressoché la regola in special modo per Galep, che è stato per oltre tre decenni – in quanto principale artefice grafico di Tex – il più importante disegnatore della casa editrice milanese.

A corredo del presente articolo vi offriamo alcuni esempi di queste imitazioni talvolta smaccate, ma si tratta della classica goccia nel mare e soltanto esaminando con la dovuta attenzione i due tomi di Bosco e Scremin ci si può rendere conto di quanto l’operato di Galep e colleghi (e di riflesso l’immaginario di più generazioni di lettori italiani) sia stato influenzato dal pregevole lavoro di altri artisti, talora – specie tra gli americani attivi negli anni Cinquanta e Sessanta – rimasti purtroppo anonimi.

È bene sottolineare a chiare lettere, ad ogni modo, come la scoperta di una così intensa attività di copiatura non intacchi la statura artistica di Galleppini, Ferri o altri né il valore complessivo della sterminata quantità di opere grafiche da loro prodotte in decenni di collaborazione con Sergio Bonelli. A parte il fatto che procurarsi dei riferimenti da cui trarre ispirazione non era, all’epoca, il gioco da ragazzi che è divenuto oggi grazie al web (che tra l’altro facilita enormemente anche una lodevole indagine come quella presentata sulle pagine dei due tomi di cui ci stiamo occupando), occorre tenere presente che, tra copertine e tavole da sfornare a getto continuo, Galep e gli altri erano sottoposti a uno stress professionale oggi semplicemente impensabile.
Scrive condivisibilmente Bosco nelle pagine iniziali del primo volume di Western all’italiana:

«Galep è tuttavia un eroe! Un eroe che genera miti e icone della nostra infanzia, con la complicità di un cultore dell’immagine come Sergio Bonelli. Dunque, che importa se uno dei più grandi fumettisti italiani copia la cover di Coyote nero da McCarthy o quella de La freccia della morte da Raymond? (…) Forse la sua grandezza può essere sminuita da uno o venti episodi come questo? Una carriera durata oltre mezzo secolo, quasi tutta dedicata a Tex, non ha motivo di essere messa in discussione».

Si spera dunque che i collezionisti amareggiati di cui si è detto all’inizio non abbiano mai davvero dato seguito ai loro propositi e che si siano tenuti ben stretti i gioiellini concepiti – anche rifacendosi a chi li aveva preceduti – da Galleppini, Ferri e gli altri. E poi in un film di Steno, Totò, Eva e il pennello proibito, il principe De Curtis ebbe a pronunciare sull’argomento parole definitive: «Creare è facile, è copiare che è difficile». Era il 1959: proprio quando il copiare, in casa Bonelli, si avviava a diventare la norma…

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