Airboy (1942) è inizialmente un fumetto della Hillman Comics, legato alla propaganda americana nella Seconda Guerra Mondiale. Il protagonista è un aviatore, a capo di una squadriglia di bizzarri piloti che combattono rivali nazisti altrettanto pittoreschi.
La riscrittura moderna di James Robinson è molto singolare. Classe 1963, Robinson aveva esordito nel fumetto già nei tardi anni ’80, con titoli sperimentali: London’s Dark (la prima opera pubblicata), Illegal Alien, Blue Beard, 67 Seconds e molte altre. In seguito, Robinson passò a lavorare per le major, DC e Marvel Comics, diventando un nome apprezzato, ma non di primo piano, del fumetto americano.
Una carriera danneggiata anche da un passo falso come la faticosa sceneggiatura de La leggenda degli uomini straordinari, trasposizione detestata dai fan e da Alan Moore stesso e che Robinson stesso riconosce, nel fumetto, come un suo fallimento.
Il confronto con Airboy, di cui sono da poco scaduti i diritti, diviene un pretesto per un’indagine su di sé, un’autobiografia impietosa della propria crisi creativa. Il meta-fumetto è al massimo: la storia non parla di Airboy, ma di Robinson che scrive Airboy, o meglio ancora dovrebbe scriverlo, ma si perde in locali di infimo livello, tra droghe, trans e prostitute, trascinando con sé anche il disegnatore Greg Hinkle.
La svolta narrativa avviene quando Airboy si manifesta, come una sorta di Grillo Parlante uscito dagli anni di guerra: e alla fine, per redimerli dalla loro decadenza, li trascina con sé nel suo mondo, per un paradosso spaziotemporale tipico dei comics. O forse, è tutto effetto del cocktail di stupefacenti cui il duo creativo si è abbandonato.
Il segno di Hinkle, molto cartoonesco, tratta la vicenda con rocambolesca ironia.
Il montaggio della tavola inizia in modo più ordinario, sulle tradizionali tre strisce, ma ciò permette di dare maggior forza alle successive variazioni. Quando i due autori iniziano la fase di degrado nell’alcool e nella droga, la tavola viene orientata obliquamente, quasi a sottolineare il sovvertimento delle regole perbeniste del fumetto. Il passaggio dimensionale che segna l’avvio del terzo atto, similmente, è rispecchiato in un deformarsi delle vignette, e in questa fase della storia, ambientata all’interno delle avventure di Airboy, l’impostazione della pagina si fa più dinamica e più grandiosa, con un numero maggiore di splash page, in accordo al tono delle vicende narrate.
Ben dosato anche l’uso del colore, che inverte un frequente topos filmico, dove spesso il mondo reale è a colori, la magia dei vecchi film è in bianco e nero (vedi La rosa purpurea del Cairo). Nel fumetto invece è il grigio mondo reale ad essere in un banale monocromatico, mentre Airboy, come molti eroi della golden age, è in sgargianti colori primari. Ovviamente, quando si entra nel mondo di Airboy, la cosa si estende a tutto lo scenario.
Il genere puramente meta-narrativo è abbastanza abusato fuori dal fumetto, dove questo tipo di messaggio resta, di solito, più limitato e su un secondo piano di lettura. Robinson aderisce in modo abbastanza convenzionale ai grandi classici dell’autobiografia dell’abbrutimento dello scrittore in crisi creativa, incorrendo anche nelle critiche di vari attivisti LGBT per la rappresentazione stereotipata, a loro dire, del mondo transessuale, con uno strascico di polemiche che hanno perfino costretto l’autore all’autocritica.
Tra i modelli fumettistici della sua operazione, Robinson cita Io le pago di Chester Brown, che tratta il suo rapporto con le prostitute, anche se in quel caso siamo nel campo dell’autobiografia pura, e non in quello della meta-narrazione. Molto più simile risulta È un aereo di Steven Seagle, opera del 2004 che ha davvero tanti punti di contatto: lo sceneggiatore vi appare come protagonista, viene incaricato di scrivere Superman, all’inizio lo trova noioso e privo di spunti, e alla fine supera la crisi creativa con un ritorno ai valori infantili ma genuini dei comics.
Di nuovo simile, ma successivo questa volta di un anno, è Batman. Notte oscura di Paul Dini, uscito nel giugno 2016. Ritorna la centralità della crisi creativa, letta tramite i personaggi che l’autore non riesce a scrivere; e perfino l’adozione di un tratto cartoonistico è simile. La differenza è che nel caso di Dini c’è un preciso evento traumatico che dev’essere superato, mentre qui la riflessione è su una crisi di fondo, slegata da una singola causa.
In definitiva Robinson vorrebbe rimandare al modello letterario alto di Paura e Delirio a Las Vegas (1971) di Hunter Thompson, esplicitamente citato nella sua introduzione: ma se da un lato le allucinate disavventure dei due fumettisti-rockstar possono richiamare l’opera a livello di contenuti, il fumetto risulta più convenzionale e costruito in modo decisamente canonico, cosa che inevitabilmente contrasta col contenuto sregolato.
Per paradosso, però, tutto ciò è coerente con le amare riflessioni di Robinson, tormentato dal fatto di essere solo un onesto professionista, e non uno dei grandi. Emblematica in questo senso la scena finale dove Airboy sorride dalla copertina del suo comic book quando Robinson trova il coraggio di “scegliere il fumetto”, abbandonando gli stravizi e seguendo il suo talento.
Una metafora fin troppo banale, ma che qui potrebbe avere il senso di una ritrovata fedeltà all’infantile e cartoonesco sense of wonder che sta all’origine e a fondamento del fascino dei comics.
Abbiamo parlato di:
Airboy
James Robinson, Greg Hinkle
Traduzione di Alessio Danesi
Saldapress, 2017
128 pagine, brossurato, colori – € 14,90
ISBN: 9878869192432