L’era che stiamo costruendo è fondamentalmente informatica. La maggior parte delle informazioni nei paesi industrializzati o in via di sviluppo (ma si inizia a muovere qualcosa anche in quelli arretrati) è digitalizzata e raggiungibile a pochi click di distanza. Questa rivoluzione, iniziata con la trasformazione in personal dei giganteschi computer figli diretti del Colossus che decrittò il codice Enigma, è oggi approdata al mondo delle reti sociali virtuali, che hanno generato, molto più dell’era pre-facebook per semplificare, un abuso spesso spropositato del web.
In tutto questo i fumetti Disney italiani hanno giocato un ruolo interessante di osservatori e descrittori della realtà, in un caso in particolare addirittura anticipandola. Andiamo, allora, a esplorare il tema selezionando alcune storie accomunate, per un verso o per l’altro, agli sviluppi informatici e digitali della nostra società.
Un prologo: l’esimio signor Bunz
Durante il secondo conflitto mondiale, i nazisti riuscirono a portare avanti la loro guerra di conquista anche grazie alla crittografia. Il codice Enigma, infatti, permetteva di mandare con tutta tranquillità gli ordini e i piani di battaglia per tutta Europa con rapidità e senza alcuna preoccupazione. Infatti, anche se i britannici e i loro alleati avessero intercettato le comunicazioni, non sarebbero mai riusciti a risolvere il codice dei messaggi in tempo, poiché la chiave veniva cambiata ogni giorno a mezzanotte.
Ciò che realmente permise di ribaltare le sorti della guerra fu il gruppo di crittografi di Bletchley Park guidati da Alan Turing. Il loro lavoro portò alla costruzione di Colossus, la macchina computatrice in grado di scardinare il codice Enigma e rendere chiare le oscure comunicazioni dei tedeschi.
Colossus, come tutte le macchine computatrici e come i primi computer che possiamo considerare se non figli diretti, quanto meno nipoti, era un armadio piuttosto ingombrante ospitato in un hangar adibito a laboratorio crittografico.
Quando nel 1959 Romano Scarpa immaginò per Paperon dé Paperoni dei problemi di contabilità, la soluzione che utilizzò fu quella di fargli acquistare una di queste macchine computatrici, progettata da uno scienziato svizzero, seguendo così il classico cliché degli elvetici in grado di costruire meccanismi di grande precisione. Ciò che però Paperone non poteva immaginare era che il dispositivo elettronico acquistato possedeva una sua peculiare personalità che impediva a chiunque di poterlo utilizzare, seguendo in un certo senso l’idea turingiana di intelligenza artificiale: si potrebbe infatti affermare che solo un’intelligenza realmente sofisticata è in grado di sviluppare una sua personalità.
L’unico al mondo che era in grado di interagire con questa intelligenza meccanica era il signor Bunz, L’uomo di Ula-Ula: il fatto che un uomo praticamente primitivo fosse l’unico in grado di manovrare un complesso macchinario elettronico era un modo simpatico e intelligente per porre enfasi sull’utilizzatore piuttosto che sulla tecnologia.
Per Scarpa era, infatti, l’approccio ai problemi a fare la differenza, un approccio non passivo, come ad esempio quello di una scimmietta che digita tasti in modo preordinato ma attivo e consapevole, come quello dell’eremita Bunz. Come vedremo a breve, questo tema e questa fascinazione sarebbero tornati circa venti anni più tardi all’approssimarsi di un’altra grande rivoluzione informatica.
La nascita del world wide web
La storia del protocollo alla base del web che stiamo sperimentando (ad esempio nel momento in cui vi collegate su questo sito per leggere questo articolo) inizia nel lontano 1991 quando Tim Berners-Lee, insieme con Robert Caillau, Jean-François Groff e Bernd Pollerman, per migliorare e velocizzare la diffusione dei dati scientifici e la conseguente discussione, diffondono i lavori di progettazione presso il CERN per un protocollo in grado di fare quanto richiesto.
Il lavoro di Berners-Lee era indubbiamente iniziato sin dagli anni Ottanta del XX secolo grazie agli ipertesti, ma di web vero e proprio ancora non si poteva parlare: internet era ancora da venire e al massimo si utilizzava la rete arpanet per eventuale gentile concessione dei militari che la gestivano. Come sempre nella scienza, però, le buone idee sono nell’aria e ci mettono un po’ prima di diventare sufficientemente solide per portare buoni frutti. E questo è anche il caso del web se, per esempio, William Gibson ha potuto immaginare un romanzo come Neuromante in cui veniva descritta una struttura molto simile proprio a internet, introducendo anche un termine, cyberspazio, che avrebbe avuto un significato “concreto” solo alcuni anni più tardi.
In piccolo, però, qualcosa di simile, ma certo meno inquietante, fu proposta in Italia sulle pagine dei Topolino ##1438-1439 del 1983: Zio Paperone e la rivoluzione elettronica, di Giorgio Pezzin e Massimo De Vita.
L’idea iniziale, sviluppata nella prima puntata, era quella di migliorare l’efficienza contabile, burocratica e produttiva dell’impero economico di Paperon dé Paperoni. Per certi versi è lo stesso spunto alla base de L’uomo di Ula-Ula, ma lasciata alla mente dell’ingegnere Pezzin viene esplorata fino alle sue estreme conseguenze. Ciò che infatti è strettamente legato al discorso che proverò a sviluppare si trova all’interno della seconda puntata. In questo caso uno dei dipendenti di Paperone si fa installare un collegamento casa-ufficio per lavorare dal suo domicilio. L’idea prende piede e, inevitabilmente, quando entra nelle case degli uomini sposati, le mogli la estendono verso nuove direzioni: utilizzare lo stesso sistema per ordinare la spesa e, quindi, per spettegolare a distanza con le amiche.
Pezzin, in poche pagine, costruisce quindi una rete di connessione, una vera e propria internet ante-litteram, in cui i paperopolesi riversano comunicazioni, dati, tornei di scacchi, lezioni private a distanza e quant’altro. Lo sceneggiatore, quindi, dopo aver rappresentano grazie agli ottimi disegni di De Vita i vantaggi di una rete simile, passa a rappresentare, in un crescendo drammatico, gli svantaggi: la gente non esce più, resta chiusa in casa; alcuni dipendono così tanto dal computer da non riuscire a decidere nemmeno cosa vestire al mattino; altri, in caso di blackout, non saprebbero fare nemmeno 2+1; per i pochi che affrontano le strade, un intrico indescrivibile di cavi rende difficoltoso muoversi per la città. E ultimo ma non meno terribile: i Bassotti.
Questi ultimi, grazie a un colpo vecchia maniera degno delle spie cinematografiche, diventano i primi hacker disneyani, violando le informazioni contenute nel computer centrale e iniziando a diffonderle! A risolvere la situazione ci penserà proprio il computer centrale, che, come suggerisce la vignetta finale, prenderà consapevolmente la decisione giusta di distruggere la rete: è questo il momento in cui la gente, perso il “gioco” del momento, decide di ritornare alla vita di prima.
Come già Scarpa nel 1959, anche Pezzin e De Vita vogliono enfatizzare il ruolo dell’utilizzatore finale: in questo caso, però, gli esseri umani diventano schiavi della tecnologia e solo un evento catastrofico permette loro di ritrovarsi. Evidentemente per i due autori, non eravamo ancora pronti per la rivoluzione elettronica tanto agognata da zio Paperone.
Intermezzo ludico: Paperino programmatore
Questo sogno inizia a diventare possibile solo grazie all’avvento dei personal computer1. All’inizio, però, i personal sono strumenti utilizzati essenzialmente per scrivere, far di conto, programmare e soprattutto giocare.
E sembra che sia soprattutto quest’ultima attività quella che interessa a Paperino ne Il sistema di difesa computerizzato di Ennio Missaglia e Corrado Mastantuono, uscita sul Topolino #1867 del 1991. In realtà il nostro sta studiando da programmatore e progetta una serie incredibile di giochi per poi scoprire che erano già stati inventati. Allora per far fruttare il suo talento inventivo decide di programmare il sistema di difesa del deposito dello zio Paperone.
Gli aspetti interessanti della storia stanno nella capacità di Paperino di eccellere, cosa rara nelle storie italiane, ma di chiara ispirazione barksiana, e poi nei dettagli informatici, legati soprattutto alla sicurezza informatica, in particolare sulla protezione dei dati e l’accesso ai computer di rete tramite password diventati sempre più di attualità per qualunque utilizzatore della rete.
Paperino, a tal proposito, utilizza due pratiche, una deprecabile e una auspicabile: prima imposta una password collegata con la sua vita privata, ma successivamente cambia la stessa ogni notte. È questo l’evento che risolve la situazione, visto che è sul primo errore che i Bassotti giocano le loro possibilità di penetrare nel deposito. I ladri disneyani, però, riescono a violare il sistema difensivo perché esso è in rete, dovendo collegare il deposito con la casa di Paperino.
Missaglia, quindi, anche se solo marginalmente, esplora la debolezza di una rete informatica pubblica da un punto di vista più informatico rispetto a Pezzin, proprio mentre internet stava muovendo i suoi primi passi, anche se solo a livello accademico.
Responsabilità informatica
Una volta dato l’accesso alla rete web grazie a una prima interfaccia grafica, si è rapidamente passati dai siti statici, a quelli dinamici, come i blog, aggiornabili o tramite un apposito software o attraverso un’interfaccia web, con quest’ultima installabile su un proprio dominio o presente su uno spazio fornito dal produttore del software. Nonostante ciò la diffusione del web non fu ancora così capillare fino all’arrivo dei social network e degli smartphone. E ancora una volta sulle pagine di Topolino gli autori del settimanale si dimostrano aggiornati e pronti ad affrontare le varie differenti situazioni introdotte da questi nuovi strumenti.
Senza andare troppo lontano, un primo interessante esempio è sicuramente La sfida all’ultimo squitt di Alessandro Sisti e Claudio Sciarrone su Topolino #3086 del 2015 dove i due autori utilizzano una versione riveduta e corretta di twitter per costruire un classico giallo investigativo con Topolino alle prese con un ladro informatico di identità.
Il nostro eroe e i suoi amici passano tutta la storia a cercare di convincere il sindaco che non può essere Topolino la spia social che la polizia sta cercando, non avendo egli alcuno smartphone.
Sempre su quest’ultimo tema è centrata Paperino e il disastro social di Giorgio Salati e Alessandro Gottardo su Topolino #3114 sempre del 2015.
In questo caso, mentre Paperone è impegnato in una caccia al tesoro in una qualche sperduta parte del mondo a bordo del più classico marchingegno di scuola ciminiana, è Paperino che regge il deposito dietro al computer dell’ufficio del suo ricco parente.
Rispetto alla storia di Missaglia, che si interessava soprattutto degli aspetti più tecnici dell’informatica, quelli di competenza dei programmatori, la storia di Salati si concentra sull’utilizzo della tecnologia da parte dell’utente finale.
In questo caso, con una storia dal ritmo veloce e dinamico, lo sceneggiatore racconta di come Paperino intrecci la sua attività sul social web con la sua vita professionale, e come quest’ultima venga (negativamente) influenzata dalla prima. A complicare il tutto c’è poi l’arrivo di un elemento di disturbo come Paperoga, personaggio che, pur comparendo relativamente poco (appena 4 pagine su 20 complessive), viene ottimamente gestito dagli autori.
Esempio recente è, infine, Zio Paperone e la realtà diminuita, sempre di Sisti e Sciarrone, pubblicata su Topolino #3147 (2016). La storia spicca, oltre che per una rappresentazione molto più spigliata, dinamica e moderna di Qui, Quo, Qua fornita da Sciarrone, soprattutto per il tema che affronta: gli occhiali per la realtà aumentata commercializzati dagli eterni rivali Rockerduck e Paperone.
Anche in questo caso, come già per le altre due storie di questa sezione, gli autori non sono interessati a immaginare una qualche tecnologia futura o un suo utilizzo particolare, ma piuttosto a comprendere fino a dove essa può spingersi.
L’attenzione è, ovviamente, rivolta soprattutto all’abuso: da un inizio sostanzialmente utile come il fornire informazioni su attività commerciali o sui monumenti storici, si passa ben presto a una invasività del virtuale sempre maggiore. Modifica dell’ambiente circostante, realizzazione di veri e propri film d’avventura nelle strade della città, fino alle truffe informatiche come quella dei Bassotti ai danni di Paperone, che si vede sottrarre a sua insaputa (almeno fino al finale) i sacchi di denaro grazie a degli appositi qrcode, o quella di Rockerduck ai danni dei paperopolesi, che vede loro oggetti di scarso valore facendo loro credere di acquistare automobili e mobilia di lusso.
Ancora una volta sarà la rivolta dei cittadini, ma non è certo impensabile che, in un futuro nemmeno troppo lontano, qualcuno non si ritrovi ad affrontare gli stessi problemi dei nostri eroi per un eccessivo abuso di realtà aumentata.
Al di là della capacità dei singoli sceneggiatori di anticipare le invenzioni e la tecnologia, le storie qui esaminate (che sono da considerarsi una piccola selezione sull’argomento) hanno in comune la più volte citata enfasi sull’utente finale e in particolare sul suo grado di consapevolezza nell’uso della tecnologia: è questo che, alla fin fine, fa la reale differenza nella vita di ogni giorno.
Da una ricerca sull’I.N.D.U.C.K.S. ho scovato un paio di storie interessanti sul tema: Zio Paperone e il supercomputer di Rudy Salvagnini e Giorgio Cavazzano, su Topolino #1225, e Zio Paperone e il personal computer di Mauro Monti e Francesc Bargadà, su Topolino #1477 ↩