In occasione delle celebrazioni nazionali per Dante Alighieri, concretizzatesi nella giornata del Dantedì, convenzionalmente indicata nel 25 marzo, anche il fumetto Disney ha pensato di festeggiare il Sommo Poeta con alcune iniziative.
Così, mentre Panini ha riproposto in un volume da fumetteria la saga di Messer Papero (il cui primo episodio, ripresentato anche su Topolino, vede Dante come comprimario di lusso), Giunti sul fronte delle librerie porta un libriccino particolarmente centrato sull’argomento.
PaperDante, infatti, non si limita a ristampare le due parodie disneyane dell’Inferno dantesco, ma presenta anche un racconto illustrato inedito dedicato a un ipotetico episodio dell’infanzia del poeta toscano.
Il volume contiene inoltre diverse pagine introduttive, concise ma utili per inquadrare quanto pubblicato e svelare anche alcuni passaggi della composizione dei disegni, restroscena noti agli appassionati ma di sicuro interesse per il pubblico non strettamente appassionato di fumetto.
Un Dante bambino
Il racconto di Augusto Macchetto si distingue per la delicata prosa con la quale narra una fittizia avventura vissuta dal Dante bambino in versione anatrina.
L’autore ce lo mostra come un ragazzino dalla fantasia sfrenata, con la testa sempre piena di storie e fascino, alla costante ricerca della meraviglia nel mondo e mosso da un’innata curiosità: doti che lo portano a esplorare una caverna guidato da un suono di risate e dal canto di una voce melodiosa.
La trama è semplice e lineare, decisamente a misura di bambino: il racconto usa infatti un linguaggio elementare, per quanto mai banale, e la maniera con cui vengono narrati i vari snodi narrativi è sempre chiara. Si tratta quindi di un prodotto esplicitamente indirizzato ai giovani lettori, che attraverso di esso possono familiarizzare con alcuni temi danteschi presenti in particolare nella Divina Commedia: degni di nota sono a tal proposito il finale e la presenza di Beatrice come elemento risolutivo e centrale della vicenda.
Il quid per il pubblico più maturo è dato dai disegni di Giada Perissinotto: l’artista realizza illustrazioni di rara grazia e il suo tratto morbido e dolce si coniuga bene con il tenore del racconto. Si guarda direttamente all’estetica di Paperino Paperotto per rappresentare questo piccolo PaperDante, e comunica grande tenerezza vederlo sgambettare con indosso il tipico vestito rosso dell’iconografia dantesca.
Oltre all’aspetto dei personaggi, si richiama l’attenzione sull’atmosfera che i disegni riescono a evocare, specialmente nella scena-chiave in cui il protagonista trova Beatrice e con essa la luce salvifica in fondo alla grotta.
Risultato a cui hanno contribuito fortemente anche i colori di Andrea Cagol, da decenni “di casa” con il fumetto Disney, che donano una luce tutta particolare agli sfondi, agli abiti e ai volti e che giocano con una colorazione quasi pastellosa e sfumata in alcuni punti.
Inferni disneyani a confronto
La seconda parte del volume è riservata a L’Inferno di Topolino e a L’Inferno di Paperino.
Nel primo caso siamo al cospetto della prima parodia Disney in assoluto, pubblicata nel 1949 a partire dal settimo numero di Topolino nel formato libretto, opera di Guido Martina ai testi e alla verseggiatura e di Angelo Bioletto ai disegni.
Si parla di verseggiatura perché lo sceneggiatore emula le terzine in endecasillabi della Divina Commedia in questa sua versione dell’Inferno, tramite didascalie che forniscono un controcanto al viaggio terribile compiuto da Topolino-Dante e dalla sua guida Pippo-Virgilio.
La lunga storia si rivela essere ancora oggi molto fresca, grazie certamente all’immortalità dello stesso spunto di partenza ma anche agli scambi verbali tra i personaggi – come da tradizione martiniana duri, diretti e forse un tantino esacerbati, ma adatti al contesto – e nella presenza di personaggi provenienti dai lungometraggi d’animazione Disney nel cast allargato che anima i gironi infuocati.
Dove la trama risulta meno immediatamente fruibile è invece nei riferimenti molto precisi all’attualità degli anni Quaranta: i fiammiferi del monopolio che non si accendono, fare 12 al Totip, le tasse, i treni su cui saltare come “ai tempi dello sfollamento” sono tutti elementi che alludono in modo diretto a situazioni italiane dell’epoca, ma in tal senso rappresentano un’interessante testimonianza di quel periodo. Un piglio satirico che oggi purtroppo è assai difficile poter vedere nel fumetto disneyano ma che incarna un ottimo modo per adattare la Divina Commedia, dal momento che anche l’opera originale attingeva a episodi e persone reali degli anni vissuti da Dante.
Risultano d’effetto anche le vignette nelle quali si mostrano le pene perpetrate dai diavolacci alle anime prave, ben rappresentate da Angelo Bioletto con lo stile arcaico che lo contraddistingueva e che era figlio del tempo.
Il suo Topolino risulta un po’ limitato nei dettagli del viso e anche Pippo e Paperino appaiono un po’ incerti e poco dinamici. Per i personaggi Bioletto si è attenuto sostanzialmente ai modelli delle strisce americane, applicando al contempo un tratto semplice e pulito – tipico del fumetto umoristico nostrano di quel periodo – che dà il suo meglio nei personaggi provenienti dall’animazione e negli sfondi.
Cucciolo, Ezechiele Lupo, il Gatto e la Volpe, Fratel Coniglietto riscoprono la dinamicità che avevano su pellicola, pur con tutti i limiti del caso, mentre i dannati generici che fanno da comparse sono umani caricaturali, con tanto di impossibilità fisiche come arti letteralmente di gomma che si attorcigliano su sé stessi.
Per quanto concerne l’ambientazione infernale, le vignette si riempiono di fiamme e rocce sinistre, di vapori sulfurei e alberi rinsecchiti che comunicano genuina inquietudine e offrono, con le loro forme secche e grumose, un’ottima rappresentazione del luogo.
Di taglio diverso è L’Inferno di Paperino di Giulio Chierchini con il contributo di Massimo Marconi, uscita nel 1987.
Il “logorio della vita moderna”, fatto di traffico insostenibile, vessazioni quotidiane da parte di Zio Paperone, inquinamento (stradale e acustico) per le vie di Paperopoli, burocrazia complicata all’inverosimile e quant’altro portano Paperino sull’orlo di un esaurimento nervoso.
Ritiratosi in un luogo di pace fuori città, somatizza però lo stress in un sogno nel quale viene accompagnato da Arkimedio – un novello Virgilio interpretato da Archimede Pitagorico in forma spettrale – attraverso i gironi infernali, che si rivelano popolati proprio da quelle figure che tanto hanno fatto dannare Paperino recentemente.
Sempre secondo la regola dantesca del contrappasso, quindi, i guidatori fanatici sono costretti a lunghe code con in groppa il proprio automezzo, i burocrati vengono ripetutamente colpiti da timbri giganti e gli inquinatori si ritrovano catturati da un tornado di spazzatura.
Il fatale cammino di Paperino gli fa trovare una sorta di conforto nel constatare che chi ha commesso torti in vita trova una punizione uguale e contraria, ma il contesto inquietante in cui si muove lo mantiene in un costante stato di timore fino alla conclusione del viaggio onirico, dettata da un risveglio quantomai rovinoso.
Chierchini stende una storia meno “imponente” del corrispettivo topolinesco di molti anni prima, sia per il numero di tavole che compongono la vicenda che per le ambizioni narrative. Mentre il dramma martiniano utilizzava una satira sottile quanto acuminata nei confronti di figure come gli usurai o i consiglieri fraudolenti, non mancando di mostrare personaggi ambigui – come lo stesso Paperino, presente nei suoi due aspetti “buono” e “iracondo” – e situazioni di una certa durezza, L’Inferno di Paperino vola coscientemente più basso, anche per via della diversa “poetica disneyana” degli anni Ottanta in cui esordì. Puntare su “peccatori” come gli inquinatori, i burocrati e i ricchi rappresenta una scelta operativa più semplice e immediata sotto diversi punti di vista, interessante più che altro nella visualizzazione del contrappasso e nella verseggiatura, presente anche in questo caso, a cui si è dedicato Marconi con rime ispirate, anche se non al livello di quelle dei versi impostati da Martina.
I disegni valorizzano però il tutto: lo stile netto, rigido e dettagliato dell’artista ben si confà alle prime tavole di caos metropolitano in cui si trova il protagonista, ma è quando la trama si addentra nei gironi infernali che il segno effettua un salto di qualità, perché Chierchini marca il passaggio tra realtà e sogno con tavole realizzate nello stile “dipinto” con cui stava sperimentando in quegli anni anche in altre storie. L’approccio grafico alle figure e al colore dona alle vignette un effetto pittorico molto elegante che esalta forme e ambientazioni: i costoni di roccia aspra che incorniciano il cammino del protagonista appaiono per esempio concreti e realistici.
La storia si rivela quindi una lettura simpatica e rilevante dal punto di vista estetico, ma si pone una spanna sotto all’Inferno di Martina e Bioletto.
Nel complesso PaperDante si configura come un volumetto sufficientemente ispirato, anche se orientato soprattutto ai più piccoli, che si possono divertire con il racconto posto in apertura, e a un pubblico generico, che può notare il risultato delle diverse commistioni tra la letteratura dantesca e il fumetto Disney.
I due Inferni hanno in effetti conosciuto nel corso degli anni diverse riedizioni, anche in collane ad alta tiratura, per cui è facile che l’appassionato di lungo corso già le possieda.
Le illustrazioni di Giada Perissinotto nella storia in prosa, però, rappresentano un elemento di attrattiva per chi ama il bel disegno disneyano.
Abbiamo parlato di:
PaperDante
Augusto Macchetto, Giada Perissinotto, Andrea Cagol, Guido Martina, Angelo Bioletto, Giulio Chierchini, Massimo Marconi
Giunti, 2021
192 pagine, cartonato, colori – 12,90€
ISBN: 9788852237973