Un Auditorium della Conciliazione pieno ha salutato gli attori principali di Outcast, Patrick Fugit, Philip Glenister, Reg E. Cathey, Wrenn Schmidt e Kate Lyn Sheil, esposti in muta passerella, mentre Sharon Tal Yguado e Chris Black, produttori esecutivi della serie, spendevano due generiche parole introduttive sul nuovo prodotto Fox.
Al buio in sala, la sigla introduttiva, con immagini di edifici e interni in lento scorrimento e un senso di incombente minaccia nella musica in crescendo, ha segnato l’inizio dell’episodio in perfetta continuità con l’analogo incipit di The Walking Dead, quasi a voler assicurare un marchio di fabbrica comune.
L’incarnazione televisiva della serie demoniaca di Robert Kirkman, la cui storia di produzione appare costellata di anticipi (diritti acquisiti dalla Cinemax prima che il fumetto fosse pubblicato, stagione iniziale rinnovata prima della messa in onda del pilot), fa di tutto per rimanere fedele alla sua controparte su carta.
Le differenze sono davvero ai bordi: se i dialoghi o le dinamiche delle scene appaiono in parte riadattati, più di una frase è stata replicata parola per parola. E si ravvisa solo qualche aggiunta degna di nota, come l’iniziale (peraltro efficacissima) performance del bambino indemoniato con lo scarafaggio, o la minaccia circa la ”grande unione” che il demone mormora per bocca del bambino prima di abbandonarlo. E che dà uno scopo immediato e riconoscibile al confronto con il protagonista, alzando da subito la posta, diversamente dal fumetto.
L’interpretazione secca del veterano Philip Glenister fornisce un reverendo Anderson più muscolare di quanto abbiamo visto su carta (la qual cosa pare abbassare la tensione durante l’esorcismo), mentre Patrick Fugit è un discreto Kyle Barnes (visivamente simile, talvolta meno espressivo del necessario), e la recitazione dei comprimari si attesta su un buon livello.
La regia, a firma Adam Wingard, predilige primi piani, o si incunea in oppressive riprese di corridoi e stanze sature di oggetti accatastati, cercando una corrispondenza con lo splendido lavoro di Paul Azaceta e il senso di minaccia incombente che trasmette. Ci sono i colori spenti, gli alberi spogli, c’è l’evocativa sagoma di Kyle contro i rami, di fianco al portico della casa in legno.
Tutto appare, insomma, seguire una checklist ideale del genere di riferimento. Eppure il valore aggiunto di Azaceta, le sue tanto incisive picture in picture, che trasformavano le pagine e il ritmo di lettura aggiungendo un sapore cinematografico, non hanno, forse inevitabilmente, trovato un analogo su piccolo schermo. Si è partiti, insomma, da un’idea grafica peculiare e si è approdati a una regia disciplinata, che però non stupisce. E lo stesso cuore nero del racconto, il caso di possessione su cui si consuma l’episodio, spogliato di un supporto grafico fuori del comune, colpisce in definitiva di meno di quanto non avvenisse nel fumetto.
Il vantaggio di The Walking Dead, quando ha iniziato la sua corsa, è stato nella stessa scommessa che rappresentava: il ritorno del genere zombie, coniugato con una produzione di tutto rispetto, ma soprattutto reso con una potenza iconica notevole, tanto che si ricorda ancora, a distanza di anni, Rick Grimes sul suo cavallo che entra nella città infestata di morti viventi. In questo caso e in questo momento Outcast si fa portavoce di un genere che appare tutt’altro che dimenticato, con produzioni cinematografiche o televisive recenti a contendergli il titolo di migliore racconto horror. E con meno frecce al suo arco di quante ci si potesse aspettare.
Abbiamo parlato di:
Outcast s01e01
Regia di Adam Wingard
Con Patrick Fugit, Philip Glenister, Reg E. Cathey, Wrenn Schmidt e Kate Lyn Sheil
Fox, prima televisiva 6 giugno 2016
Durata: 45 minuti