“Ogni storia ha la sua voce”: intervista ad Alessandro Bilotta

“Ogni storia ha la sua voce”: intervista ad Alessandro Bilotta

In occasione della mostra a lui dedicata a Lucca Comics 2019, abbiamo ripercorso insieme ad Alessandro Bilotta oltre vent’anni d’attività di uno degli autori più originali del fumetto italiano.

Abbiamo incontrato Alessandro Bilotta, alla vigilia di Lucca Comics & Games, dove allo sceneggiatore romano viene dedicata una mostra personale. Dalle serie più recenti e celebrate, come  Mercurio Loi e Dylan Dog: il pianeta dei morti, a romanzi grafici come La dottrina e Povero Pinocchio appena ristampati,  abbiamo ripercorso insieme ad Alessandro oltre vent’anni d’attività di uno degli autori più originali del fumetto italiano.      

Ciao Alessandro e benvenuto su Lo Spazio Bianco.
Lucca Comics & Games 2019 ti celebra con una personale, caso abbastanza straordinario per uno scrittore di fumetti. Come vivi questo appuntamento?
Innanzitutto come spettatore. Non ho ancora avuto modo di vedere la mostra finita e sarò tra i visitatori del primo giorno. Darò uno sguardo al passato senza dimenticarmi di tenere i piedi ben piantati nel presente.

Cosa possono trovare gli spettatori nella mostra e, in che modo sei stato coinvolto nell’ideazione?
L’abbiamo pensata e concepita insieme a Mauro Bruni, con l’aiuto indispensabile di Luca Bitonte e di tutta Lucca Comics. Sarà una mostra multimediale, tutta scoprire e con cui interagire. L’idea è quella di far vedere come dalla parola nasce il disegno e la storia.

A Lucca verranno presentate anche le ristampe di due opere che rappresentano momenti diversi della tua carriera. Partiamo da Il lato Oscuro della Luna che si collega anche all’anniversario che tutto il mondo ha celebrato in questi mesi: lo sbarco sulla Luna. Come nasce la storia del tormentato astronauta Lloyd?
Sono un appassionato dello Spazio e delle vite degli astronauti. Hanno da dirci molto sulle ambizioni e il coraggio degli uomini, come un tempo ce lo raccontava l’epica. Da questo interesse nasce l’idea di raccontare una storia di fantacoscienza, un termine che ho scoperto solo di recente.

Il lato oscuro della Luna, per i disegni di Matteo Mosca, appartiene alla tua produzione di “liberi” per la serie contenitore bonelliana Le storie, per cui hai prodotto diversi racconti, tutti di grande impatto. Come consideri questi one shot, laboratori per sperimentare temi e modalità espressive, oppure più semplicemente una sorta di tua via bonelliana alla “graphic novel”?
Entrambe le cose. Sono due definizioni in cui riconosco il pensiero che avevo mentre scrivevo quelle storie, in cui ho sperimentato diversi tipi di racconto, fino ad arrivare anche all’idea per una serie con Mercurio Loi.

Su Le Storie ha appunto mosso i primi passi anche Mercurio. A distanza di tempo dalla fine di una serie con cui hai fatto incetta di premi ai saloni di settore e unanimi attestazioni di grande qualità, che bilancio fai?
Non potrebbe non essere positivo, anche per i motivi che citi. Sono soddisfatto del lavoro che tutti noi abbiamo realizzato e spero che sia una serie che in qualche modo possa restare, che è l’augurio che ci facciamo tutti noi umani di qualunque cosa realizziamo.

La seconda opera che troviamo a Lucca, ristampata da Star Comics, ci porta decisamente più indietro nel tempo, ai tuoi esordi.  Povero Pinocchio – Storia di un bambino di legno, disegnato da Emiliano Mammuccari e pubblicata nel 1999, esattamente vent’anni fa, cosa rappresentò per te allora?
Tutto. Era l’idea che avevamo del fumetto, come volevamo presentarci e anche un po’ quello che era la nostra visione della vita. Oggi, tornando indietro di vent’anni per realizzare il grande apparato redazionale di testi e immagini che c’è nel volume, siamo stati in qualche modo costretti a mettere a fuoco le ragioni e gli obiettivi di quella storia, e mi ci riconosco ancora.

Il capolavoro collodiano sembra uno di quei classici, per dirla alla Calvino, che non smette mai di dire quel che ha da dire. Il vostro Pinocchio cosa ci dice?
Non amo sintetizzare i concetti delle storie, ma potrei dirti in senso lato che la storia racconta di quanto sia importante seguire la propria strada con determinazione, dare fiducia e importanza alla propria identità.

Queste due ristampe arrivano dopo che, qualche mese fa, Feltrinelli Comics ha rieditato un’altra tua opera tra le più importanti, La Dottrina Quale che pensi la caratteristica originale di questa storia e quale la sua attualità?
La storia indaga cos’è il concetto di realtà. Cos’è davvero quella cosa a cui tutti diamo il nome di verità. Ci riguarda come cittadini, fratelli, amanti. Ogni processo che viene esercitato o subito di seduzione o menzogna riguarda il modo in cui viviamo o vivremo le nostre vite.

La Dottrina rappresenta un mondo distopico, esattamente come il tuo ciclo per Dylan Dog Il pianeta dei morti. Che cosa pensi di questo genere?
Una volta ho detto che non si può scrivere altro che distonia. Chi crea una storia inventa un mondo e degli individui che gestisce come un Dio, senza pietà o giustizia.

Trovo che in tutte le opere che abbiamo citato finora, a se stanti o seriali, tu scelga moduli espressivi di sceneggiatura in linea con quel tipo di storia e che fuori da quel tipo di storia non avrebbero le stesse valenze. In generale per te come scrittore, mi sembra che “raccontare bene” significhi adottare moduli e formule al tipo di storia che vuoi raccontare. È così?
È la mia religione. Ogni storia ha una voce e un modo in cui chiede di essere raccontata. Il primo lavoro di chi la crea è riconoscere e servire al meglio questo racconto. Nel caso dei fumetti questa cosa è ancora più determinante perché implica la scelta di un disegnatore e di modo di disegnarla.

È interessante notare come, nella tua carriera, tu sia partito da formati espressivi molto liberi per poi approdare al bonelliano, di cui molti considerano le formule espressive demodé e comunque troppo stringenti rispetto alle potenzialità del medium. Che ne pensi?
Penso che il problema come sempre non sia nella forma, ma nei contenuti. Le opere più rivoluzionare della storia dell’umanità sono spesso espresse in modo semplice.

Appartieni a una generazione, fino a ieri, considerata di “giovani”, ma che oggi possiamo definire “veterani” del settore. Insieme a  Emiliano Mammucari, Marco Marini, Franco Urru e Mauro Uzzeo a suo tempo avete fondato La Montego. Cosa rappresenta per te quel periodo? Sarebbe oggi pensabile, a tuo avviso, per un giovane autore inseguire il vostro modello produttivo/creativo?
Non fu pensabile neanche per noi. Stava nascendo l’idea che la distribuzione si sarebbe spostata dalle edicole alle librerie di fumetti, come in America o in Francia. Speravamo di essere pionieri e di cavalcare la rivoluzione, ma questo non è mai successo e non vedo possibile neanche oggi, nell’immediato futuro, poter produrre inediti in quel modo. A parte tutto ciò, il modello creativo lo rivendico e lo inseguo ancora: cercare di realizzare le proprie opere con quanta più libertà possibile e in ogni forma, senza adagiarsi mai.

 “Come imparo le strade storte, se cammino per quelle che qualcuno ha già raddrizzato?” Si domandava il tuo riflessivo Pinocchio. Ecco in chiusura, vorrei chiederti vent’anni dopo, come autore, se pensi di aver percorso le tutte le strade storte che volevi e se hai già idea di che cammino intraprenderai ora.
Non so perché, questa tua domanda mi dà profonda malinconia. Ho avuta la fortuna, e forse l’ho un po’ favorita, di seguire la mia strada. E penso che è un’attitudine che non cambierà mai. Per il resto per me è sempre più importante il presente, essere concentrato sull’adesso. Invece che viaggiare e navigare, passeggiare.

Ringraziamo Alessandro per la consueta simpatia e disponibilità.

Intervista realizzata via mail il 30 ottobre 2019

 

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