La terra e le radici, ma anche il tempo e la memoria: La sedia del Diavolo di Germano Massenzio affronta tematiche impegnate, ma l’approccio è nel segno della semplicità, alla ricerca di uno sguardo bambino con cui vedere il mondo. È una scelta che già si era evidenziata nel precedente 15 Agosto, racconto breve a fumetti finalista al Premio Micheluzzi 2014 incentrato su due gruppi di ragazzi accomunati da un pallone Super Santos in una giornata estiva. Chi lo ha letto può ritrovare anche stavolta grande immediatezza, con l’obiettivo di una purezza priva del superfluo.
Sebbene il titolo possa far pensare a un racconto ben più cupo, magari intriso di magia nera, lo spunto è invece molto concreto e arriva dalla memoria dell’autore: la sedia eponima è infatti il rudere di una torre medievale, risalente all’XI secolo e situata nella provincia di Foggia, nel pieno del Tavoliere delle Puglie. Quel che resta della fortificazione ha ora l’aspetto di un’enorme sedia vescovile, che la tradizione popolare ha invece attribuito al Demonio. Questa “anziana signora” che “ha molto da raccontare, perché ha visto tanti e tanti avvenimenti” è l’oggetto delle osservazioni del giovanissimo protagonista (ricalcato sullo stesso Massenzio) che dalla Campania si reca ogni anno in vacanza al paesino d’origine del padre. Nel tempo, la torre si vede però minacciata dall’insediamento di numerose pale eoliche, che arrivano a minare la sua supremazia sul paesaggio.
Nella transizione dall’infanzia all’età adulta e nel desiderio del protagonista, ormai cresciuto, di vedere la “sua” sedia liberata dall’impatto ambientale provocato dalle installazioni tecnologiche, si consuma così il racconto di un ritorno nostalgico a una purezza perduta. Massenzio affronta il tema con una narrazione orientata all’essenzialità, dove il senso del meraviglioso tipico della prospettiva fanciullesca è affidato tanto alla forza del disegno, quanto all’immaginario e fantastico “dialogo” che la torre intavola con le colleghe metalliche, senza peraltro ottenere risposta.
Il disegno è quindi l’aspetto principale di un racconto che, sebbene più lungo del precedente 15 Agosto, resta comunque breve (50 tavole in tutto) e cerca nell’esaltazione del tratto ad acquerello la sua ragione d’essere. L’autore utilizza varie tipologie di pennello, definisce le figure con contorni leggeri ma ben visibili, che trovano un ideale controcanto nei baloon privi di margine.
Le tavole passano in rassegna varie gamme cromatiche: si procede così da un colore più brillante nelle scene con i personaggi in campo, alle tinte morbide del paesaggio, dove l’acquerello ravviva la forza dello scenario cui abbandonarsi a perdita d’occhio. Gli intermezzi in bianco e nero sono invece realizzati in parte a china con pennello e poi con grafite, creando un effetto particolarmente suggestivo, che da un lato sottolinea la componente più fiabesca del racconto, e dall’altro crea una sorta di alterità. Non sembra casuale, infatti, che l’autore utilizzi la grafite soprattutto per raccontare i dialoghi della torre con le pale eoliche: è come se, insomma, consegnasse e confinasse questi elementi meccanici alla sfera dell’estraneità.
Poetico e di grande atmosfera, La sedia del Diavolo è più incerto nelle definizioni dei personaggi, a tratti un po’ legnosi e il cui design a volte muta sensibilmente nelle varie tavole. Maggiore compiutezza la offrono perciò gli elementi inanimati: la terra e il paesaggio, dopotutto, restano i veri protagonisti della storia. In chiusura alcune note storiche contestualizzano lo scenario reale in cui è ambientata la vicenda, e si accompagnano agli studi dei personaggi e delle ambientazioni, dallo sketchbook dell’autore.
Abbiamo parlato di:
La sedia del Diavolo
Germano Massenzio
Douglas Edizioni, 2018
64 pagine, brossurato, colore e bianco e nero – 12,00€
ISBN: 9788894162769