“New York Cannibals”: Boucq e Charyn tornano nella New York violenta di “Little Tulip”

“New York Cannibals”: Boucq e Charyn tornano nella New York violenta di “Little Tulip”

François Boucq e Jerome Charyn tornano con il seguito di "Little Tulip": 20 anni dopo il precendete volume ritroviamo Paul ancora alle prese con gli spettri del suo passato e il potere delle immagini.

CoverFrançois Boucq e lo scrittore americano Jérôme Charyn sono una delle coppie illustri della scena fumettistica francese: Boucq ha vinto lo Yellow Kid lucchese e il premio Alfred al Festival d’Angoulême mentre Charyn, autore estremamente prolifico e versatile, può vantare, tra le varie onorificenze ricevute, anche il riconoscimento assegnatogli dall’Ordine delle arti e delle lettere del Ministero della Cultura Francese.

La collaborazione tra i due ha prodotto La femme du magicien (La moglie del mago) e Bouche du Diable (Bocca del Diavolo), seguiti da Little Tulip di cui New York Cannibals è il diretto seguito.

Protagonista di Little Tulip è Paul, un tatuatore che vive a New York e che collabora occasionalmente con la polizia per realizzare degli identikit: grazie alla singolare capacità di riuscire a “vedere” nella mente dei testimoni, Paul è in grado di ritrarre alla perfezione volti che non ha mai visto.
Paul ha appreso e perfezionato l’arte del tatuaggio in un gulag sovietico dove finisce all’età di 7 anni. Il suo talento per il disegno gli permette di ricavarsi una posizione all’interno di una delle bande che in qualche modo governano i campi. L’affiliazione costituisce allo stesso tempo una fonte di salvezza per il giovane Paul, ribattezzato Pavel, ma allo stesso tempo costringe il ragazzo ad adeguarsi alle regole violente e spesso feroci che regolano la vita degli affiliati.

Se Little Tulip era ambientato nella New York degli anni settanta, con New York Cannibals ci ritroviamo negli anni ‘90, ma l’eco delle vicende e degli incontri risalenti all’esperienza del gulag restano centrali sia nel primo che nel secondo capitolo della vicenda. Ancora una volta è il passato di Paul/Pavel a costringere l’uomo a immischiarsi in faccende che lo riportano con la mente (e non solo) alla violenza che pensava di essersi lasciato alle spalle. A dividere la scena con Paul c’è Azami, la figlia della compagna di Paul. Azami è una poliziotta appassionata di bodybuilding e (ovviamente) di tatuaggi. Poco dopo aver scoperto di essere sterile, probabilmente per l’uso di steroidi, nel corso di un inseguimento ritrova un neonato nascosto in una scatola di cartone.

L’episodio costituisce l’incipit della vicenda, ma allo stesso tempo è utile per capire il tipo di narrazione che gli autori imbastiscono: in New York Cannibals (come già in Little Tulip del resto), gli eventi si susseguono con una rapidità (e talvolta una prevedibilità) estrema: bastano 9 pagine per fare incontrare alla triste Azami il pargolo, e giusto un paio di pagine dopo Paul crede di riconoscere tra i passanti qualcuno che pensava fosse morto nel gulag.

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Anche la caratterizzazione grafica dei personaggi svela, fin dalla prima apparizione, la loro appartenenza alla schiera dei buoni o dei cattivi: come in un film di genere gli autori decidono di giocare a carte scoperte, attingendo a piene mani da cliché e topoi classici, divertendo e divertendosi a mettere un sacco di carne al fuoco.
Se tutto questo non si traduce in una lettura prevedibile e quindi noiosa è merito del registro ironico e del ritmo quasi rutilante della vicenda. Gli elementi soprannaturali inseriti nella storia sono trattati con relativa normalità: le capacità quasi medianiche di Paul suscitano giusto un divertito stupore tra gli agenti di polizia, i tatuaggi che coprono il corpo dei protagonisti finiscono per diventare delle vere e proprie rune magiche, i sotterranei della metropoli USA ospitano comunità di emarginati accuditi da donne la cui fisionomia ricorda quella delle Dee della fertilità comuni a tante culture preistoriche e non solo.

 

Tutto o quasi ha diritto di cittadinanza in questo meltin’ pot in cui lo sceneggiatore, rispetto al lavoro precedente, sembra davvero a briglia sciolta. Si passa infatti dalle 96 pagine di Little Tulip alle 156 di New York Cannibals, un aumento cospicuo che serve a Charyn per riprendere i fili della vicenda per i nuovi lettori, inserire qualche spiegazione (di troppo) e dare vita a una sarabanda di colpi di scena alle volte prevedibili ma gustosi. Una criticità che può essere imputata alla sceneggiatura, che fa un ricorso ampio e consapevole a esagerazioni e forzature, sta probabilmente nel voler allacciare anche questa avventura all’esperienza vissuta dal protagonista nel gulag. Ciò rende necessari dei ragguagli per chi non abbia letto il precedente volume – uscito in ogni caso sei anni prima – e degli innesti e delle espansioni sull’intreccio originale, che risultano un po’ forzate e finiscono inevitabilmente per appesantire la narrazione.
Ma, come abbiamo detto in precedenza, condizione necessaria per apprezzare appieno New York Cannibals è immergersi nella lettura senza pretese di verosimiglianza, lasciandosi sedurre dalle tavole di Francois Boucq.

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Difficile infatti pensare a un altro autore capace di tradurre su pagina una storia così in bilico tra realismo e fantastico, tra giallo e comico, che non sia Boucq. Lo stile dell’autore si caratterizza per una sofisticata miscela di realismo e grottesco, il suo ricco tratteggio descrive con estrema precisione la città di New York e i volti dei personaggi, mentre il montaggio attento ai continui cambi di inquadratura (è frequente il ricorso ad inquadrature dal basso, capaci di dare dinamismo ed enfasi alle vignette) e l’attenta costruzione delle tavole donano epicità allo scenario. Il disegnatore sembra “soffrire” in quelle sequenze (poche per fortuna) in cui a farla da padrone sono i fitti dialoghi: l’esigenza di aumentare il numero delle vignette impone al disegnatore uno schema della tavola più ordinato e regolare e lo costringe a fare un ricorso modesto ai campi lunghi e alle prospettive ampie che padroneggia così bene.

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New York Cannibals, pagina 9.

Non appena la sceneggiatura lo consente Boucq mostra tutta la sua abilità come fumettista, confezionando tavole che eccellono per la qualità del tratto e della composizione. La sequenza dell’inseguimento che porta Azami a trovare il bambino è, da questo punto di vista, un ottimo esempio di come il disegnatore, cambiando continuamente la posizione della “camera”, riesca a restituire il pathos dell’inseguimento; il tutto riuscendo a coniugare una perfetta leggibilità della vignetta con un ricorso al dettaglio che rende quasi ogni pagina meritevole di soffermarsi per apprezzarla nel suo insieme.

Un chiaro esempio di questa attenzione alla composizione è offerto da pagina 9: la disposizione dei balloon e il posizionamento delle figure delimitano con naturalezza l’andamento di lettura guidando lo sguardo del lettore da un capo all’altro della pagina.

New York Cannibals è uno di quei titoli che facilmente sono oggetto di più letture: la prima scorre veloce tra i colpi di scena, la seconda offre l’occasione per soffermarsi sulla qualità delle tavole di Boucq e per approfondire la quantità di temi che caratterizzano l’opera, con leggerezza ma senza superficialità.

Abbiamo parlato di:
New York Cannibals
François Boucq, Jerome Charyn
Traduzione di Stefano A. Cresti
Oblomov Edizioni, 2021
156 pagine, brossurato, colori – 22,00 €
ISBN: 97888314599402

 

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