L’autore, il suo carattere, la sua opera
Sarà pur vero, in certi casi, che per apprezzare un’opera in quanto tale si dovrebbe scinderla completamente dal suo autore, parafrasando Oscar Wilde, tuttavia non è questo il caso di Zorro, uno tra i fumetti più celebri, almeno in Italia, di Alex Toth, non fosse altro che per l’inconfondibile iconografia del personaggio.
Calarsi nell’atmosfera della Los Angeles degli anni Cinquanta, conoscere il rapporto tra autore e editors, ricordare il boom dei Disney Studios e la linea che essi dettavano nel settore, è indispensabile per cogliere la genesi di uno dei lavori, forse non meglio riusciti, ma di certo tra i più importanti per la crescita dell’autore.
Nel 1956 Alex Toth aveva da poco lasciato l’esercito, viveva a Los Angeles e lavorava per la Whitman/Western Comics (poi Dell Comics): i carichi di lavoro erano notevoli, le paghe basse e agli autori veniva imposto l’anonimato nella pubblicazione.
Toth, autore dal carattere forte ed energico, si batté a lungo per vedersi riconosciuto il diritto alla firma. Proteste che però rimbalzarono inesorabilmente contro i muri di gomma della Disney, poiché la prassi era imposta proprio dagli Studios, con cui la Whitman/Western collaborava curando alcuni adattamenti.
Costretto a ingoiare il rospo e accettare il degradante compromesso, Toth continuò, la sua collaborazione con la Whitman/Western, disegnando nel corso di quegli anni svariati titoli, più o meno in vista, come The FBI Story, The Land Unknown, Johnny Tremaine, The Lennon Sisters, Oh Susannah, e molti altri.
Fu verso la fine degli anni Cinquanta che a Toth venne consegnata la prima sceneggiatura di Zorro, adattamento a fumetti del celebre serial televisivo con Guy Williams nei panni del fuorilegge mascherato, trasmesso poi anche in Italia.
Inizialmente l’autore fu entusiasta del nuovo progetto, poiché finalmente poteva misurarsi con l’interpretazione del personaggio che aveva amato ne “Il segno di Zorro” (20th Century Fox, 1940), di Rouben Mamoulian, interpretato dal grande Tyrone Power. Senza contare che sia le sembianze ideali di Zorro / Don Diego De La Vega, sia quelle dell’attore Disney, Guy Williams, caratterizzate da tratti latini e tipici baffetti, sono idealmente compatibili con quelli di un altro attore, Errol Flynn, vera e propria icona e modello visivo di Toth, che lo citò a più riprese nel corso della sua carriera (un’opera su tutte: Bravo for Adventure).
Ben presto tuttavia, iniziando a lavorare sulle nuove sceneggiature di Eric Freiwald e Robert Schaefer, l’entusiasmo sciamò, trasformandosi talvolta in grande irritazione: Toth, a suo stesso dire, doveva misurarsi con dialoghi frivoli e artificiosi in pseudo spagnolo californiano, presi direttamente dal serial Disney, didascalie ridondanti e scene statiche con poca azione e pochi combattimenti, che secondo lui non rendevano giustizia né al personaggio, né al fumetto nel suo complesso.
Il disegnatore mosse quindi lamentele al senior editor della Western/Whitman Comics, il quale tuttavia non poté nulla, probabilmente a causa degli accordi con i Walt Disney Studios che impedivano alla stessa Western di apportare modifiche al materiale che veniva loro consegnato.
A quel punto Alex Toth, noto per il suo carattere forte e caparbio, decise che valeva comunque la pena rischiare e iniziò a modificare di sua iniziativa la sceneggiatura, sforbiciando dialoghi e didascalie in eccesso e attirando così su di sé critiche e rimproveri.
Da notare che anni dopo, curando la presente raccolta, l’autore nota delle contro-modifiche (“peggioramenti”) apportate forse dalla Western senza il suo consenso: a suo dire vi sarebbero delle alterazioni, specie nelle splash pages, come didascalie e titoli omessi o spostati, e vuoti riempiti in modo maldestro e approssimativo.
Di contro, come si legge nell’auto-introduzione, è lo stesso Alex Toth a considerare queste sue storie “buone ma non eccellenti“, riconoscendo alcuni suoi errori dovuti all’inesperienza e a un tratto, forse, non ancora completamente maturo.
Con gli occhi di oggi: sceneggiature e disegni
Spezzando una lancia in favore di Alex Toth, ed evitando di farlo passare per un presuntuoso paranoico, possiamo tranquillamente asserire che i testi di Zorro sono realmente come egli li descrive in introduzione. Se oltretutto consideriamo il salto temporale di più di cinquant’anni tra questi e i testi dei fumetti che siamo oggi abituati a leggere, la situazione non può che peggiorare.
Gli episodi sono, nella migliore delle ipotesi, mediocri; presi quasi tali e quali dal serial televisivo. I personaggi sono fortemente stereotipati, senza il benché minimo spessore psicologico e dall’inizio categorizzati in buoni-vincitori, cattivi-perdenti e inetti in balia degli eventi. Altrettanto ingenui risultano i dialoghi, prolissi e spesso inutili a fini narrativi, senza contare la presenza di scene incoerenti con il contesto e pertanto affatto credibili – a un certo punto Tornado libera dei prigionieri consegnando loro le chiavi della cella: tutto bene, non fosse che Tornado è il cavallo – che oggi fanno decisamente sorridere.
Da notare anche il contesto in cui Zorro è “rivoluzionario”: il personaggio infatti, come Lorenzo Barberis fa notare nel suo illuminante articolo, nasce fin dalle origini nel sistema produttivo americano (i pulp magazine degli anni Venti) e si sviluppa poi sul sentiero holliwoodiano, dove risponde ai classici canoni dell’avventura. La concezione del riadattamento Disney, inoltre, oltre a essere sullo stesso filone di “avventura ingenua”, sembra a tratti accentuare, forse inconsapevolmente, alcuni aspetti più legati al contesto storico e ideologico del boom economico statunitense negli anni Cinquanta-Sessanta, che alla California del 1820: Don Diego è, in fin dei conti, un eroe borghese, letterato e figlio di un uomo d’affari, ma anche uomo d’azione dall’istinto patriottico che combatte e rischia in prima persona per il bene della sua gente e della sua patria, schierandosi ovviamente contro la tirannia dell’esercito al comando.
Tutto ciò attualizza Zorro agli occhi degli spettatori/lettori del periodo, rendendolo concettualmente una sorta di “archetipo supereroistico“, sebbene in ultima analisi ne ridimensioni drasticamente la portata “rivoluzionaria”.
La vera rivoluzione, piuttosto, spetta proprio ad Alex Toth, che da queste desolanti premesse riesce invece a produrre, con i suoi disegni, un eccezionale e avanguardistico lavoro di sintesi, giocando con i neri, i grigi, ma soprattutto il bianco. Costruendo la silhouette di Zorro che si staglia inconfondibile, in sella al suo cavallo al chiaro di luna, o nero su nero nella notte, quasi tutt’uno con l’ambiente circostante.
Riesce inoltre con pochi tratti a fare ciò in cui gli sceneggiatori, con i loro dialoghi, falliscono: dare cioè ai personaggi una solida caratterizzazione, non solo fisica. I volti sono puliti, e grazie a pochi segni essenziali Toth riesce a conferirgli forte espressività e potenziale narrativo: da uno sguardo, dalla posizione di un sopracciglio o dalla smorfia della bocca, il lettore può immediatamente intuire i pensieri impliciti e forse le intenzioni del personaggio, prima ancora di leggerne l’esplicitazione nel balloon o nella didascalia (e da qui è facile comprendere perché l’autore definisca entrambi “ridondanti”).
Un esempio ben riuscito del connubio tra spazio bianco funzionale al disegno e neri/grigi, è possibile trovarlo nella tavola a pagina 18, dove si assiste alla prima apparizione di Zorro in costume.
Nella prima vignetta sono presenti le sagome di Don Diego a cavallo e del suo servo (finto sordo) muto Bernardo: c’è pochissimo grigio e il disegno è caratterizzato da segni neri molto netti e spessi che tracciano i massi e il paesaggio del deserto roccioso circostante. Intuiamo che è notte (o comunque già buio), ma di fatto non c’è alcun cielo scuro, né luna, né stelle: l’effetto è costruito semplicemente giocando con il bianco, che ci trasmette l’idea di un chiaro di luna abbozzando netti riflessi – come sul dorso del cavallo – e nello stesso tempo lasciando neri alcuni dettagli fondamentali – come quelli sulle rocce – e le parti in ombra.
Le ultime due vignette invece, come anticipato, vedono Zorro protagonista: anche qui, come prima, intuiamo la notte grazie ai dettagli ambientali lasciati in bianco, tuttavia questa volta il cielo è rigato di nero in modo quasi grezzo, trasmettendo un’idea di oscurità maggiore rispetto alla scena precedente, come fossimo nel cuore della notte o in una notte senza luna.
Entra a questo punto in gioco il grigio, che Toth utilizza per creare i giochi di ombre e riflessi sul costume di Zorro: rigorosamente nero, con cappello, maschera e mantello, per mimetizzarsi nell’oscurità della notte. Il mantello in particolare, grazie al grigio, risulta solcato da pieghe setose che, per quanto antipatico a Toth (il quale vedeva il mantello come un impiccio, tanto nel disegno quanto nelle scene d’azione per gli attori, ma soprattutto sosteneva che per mimetismo l’intero costume di Zorro sarebbe dovuto essere opaco e privo di riflessi) ricorda davvero moltissimo il costume di Guy Williams nel serial televisivo.
Citando altri esempi, di cui il libro è comunque molto ricco, non si possono dimenticare le sagome inconfondibili di tavola 37, con la silhouette di Zorro che si staglia a cavallo, sul ciglio di un burrone, al chiaro di luna piena, oppure i volti espressivi e caricaturali ritratti nel corso dell’episodio “Il segreto di Garcia”, contenente il meglio delle gaffe del maldestro sergente.
In conclusione
Questo volumone edito da ReNoir/Nona Arte è certo un must imprescindibile per chiunque fosse interessato a conoscere una delle tappe fondamentali della carriera di Alex Toth e anche della storia del fumetto.
Come abbondantemente spiegato, non si può definire un capolavoro a causa delle sceneggiature, mediocri in partenza e invecchiate ancor peggio, tuttavia i disegni di Alex Toth, autore troppo spesso trascurato e ingiustamente sottovalutato nel nostro paese, sono di certo un punto di snodo fondamentale e ancora oggi rappresentano un validissimo patrimonio culturale per lettori, critica e addetti ai lavori nel panorama del fumetto mondiale.
Da segnalare come valore aggiunto, l’interessante apparato introduttivo ad opera di H. V. Chaykin e dell’autore stesso, i quali non mancano di raccontare dettagli e aneddoti curiosi riguardo l’opera e la sua genesi.
Abbiamo parlato di:
Zorro
Alex Toth
Traduzione di Fabio Bernabei
ReNoir/Nona Arte, 2016
236 pagine, cartonato, bianco e nero – 29,90 €
ISBN: 9788897062974