Nemo: la maledizione del sangue

Nemo: la maledizione del sangue

A Febbraio 2020 è uscito per Bao il volume unico della trilogia di Nemo di Alan Moore e Kevin O’Neil, spin-off de La Lega degli Straordinari Gentlemen.

Già pubblicato da Bao Publishing fra il 2013 e il 2015 in tre volumetti (Cuore di ghiaccio, Le rose di Berlino, Fiume di spettri), la nuova edizione di Nemo di Alan Moore e Kevin O’Neil, recupera quasi in toto il materiale precedente (fatto salvo per qualche illustrazione in seconda e terza di copertina) ampliandone il formato e permettendo così una migliore fruizione delle tavole certosine dei due decani del fumetto.

Quest’opera non è certo annoverabile fra i capolavori di Moore e non è nemmeno avvicinabile al livello dei primi due volumi della Lega degli Straordinari Gentlemen (saga di cui è uno spin-off), ma si inserisce nel solco –o nella deriva, a seconda dei punti di vista- che Moore e O’Neil sembrano aver intrapreso nei loro ultimi lavori insieme, che porta a quanto letto in Cinema Purgatorio (edito in Italia da PaniniComics).

La lega degli Straordinari Gentlemen

La Lega degli Straordinari Gentlemen (1999) è, in ordine cronologico, il primo titolo nato per l’etichetta ABC della Wildstorm, in cui si trovavano opere ideate e sceneggiate quasi totalmente da Moore stesso. L’idea della Lega è semplice e complessa allo stesso tempo: riunire in una supersquadra vittoriana i grandi protagonisti dei romanzi di fine ‘800.

Nei primi due volumi vediamo allora in azione Allain Quatermain (l’avventuriero di H.R. Haggard), Mina Murray (vedova Harker, dal Dracula di Bram Stoker), l’uomo invisibile di H.G. Welles, il Dottor Jekyll/Mr. Hyde di R. L. Stevenson e, appunto, il capitano Nemo di Jules Verne.

Uno spunto del genere, come dimostrato dal film che ne ha tratto Stephen Norrington (che, ahilui, segna anche il ritiro dalle scene di Sean Connery, qui nel ruolo di Quatermain), può concretizzarsi in un pastrocchio imbarazzante di situazioni grottesche e roboanti, o in un capolavoro che travalica le opere di partenza, brillando di luce propria. Neanche a dirlo, il fumetto di Moore e O’Neil si inscrive nella seconda categoria.

Nemo3okOltretutto, dalla fine del secondo volume della serie in poi, il gioco si complica notevolmente. In appendice alla storia si trova infatti L’Almanacco del Nuovo Viaggiatore in cui Moore imbastisce in maniera puntuale e ossessiva (com’è nel suo genere) la geografia completa del “suo” mondo fantastico, gettando nella mischia moltissimi luoghi e personaggi della letteratura dei secoli XIX e XX (dal Paese delle Meraviglie a Narnia, da Arkham a Shangri-la, per intenderci). Così facendo, oltre a dare ancor più spessore e profondità all’operazione, costringe il lettore in un patto forzoso (quasi un ricatto), mettendo in chiaro che per leggere La Lega e apprezzarla, bisogna avere una conoscenza enciclopedica, o per lo meno andarsi a cercare ogni citazione nascosta (questo aspetto della sua scrittura, tra l’altro, è quasi sempre alla base delle critiche dei detrattori quanto degli elogi dei fan).

Le opere successive della serie hanno rimandi sempre più oscuri e di nicchia. Con il seguente Black Dossier (in Italia sempre pubblicato da Bao in una bellissima edizione che rispetta l’originale, fornita anche di occhiali 3D per leggere le pagine finali, illustrate con questa tecnica) Moore racconta delle precedenti incarnazioni della Lega, dal XVII secolo a oggi, dividendo l’opera in pagine di fumetto (poche) e di prosa (la maggior parte) dove fra resoconti di viaggio, diari, racconti beat e giornali illustrati, prende forma piano piano il mondo fantastico accennato precedentemente nell’Almanacco. Il gioco dei rimandi letterari è però ormai quasi intelligibile, un po’ per questioni di copyright, un po’ perché Moore si rifà principalmente ai romanzi della cultura inglese e americana di cui in Italia abbiamo una conoscenza parziale, per non dire nulla in certi casi.

Il seguente Century,diviso in tre capitoli ambientati rispettivamente nel 1910, 1969 e 1999 di questo mondo, spinge sull’acceleratore aggiungendo ai character di pura fantasia anche quelli ispirati a personaggi reali. Il ciclo finale della saga, La tempesta (che Bao dovrebbe pubblicare entro il 2020), sarà probabilmente un’ulteriore e complesso magma di citazioni e salti mortali letterari.

La trilogia di Nemo

In tutto questo groviglio di passione e bibliofilia si inscrive la trilogia di Nemo, opera da un lato oscura (i riferimenti sono molti e quasi tutti “difficili”) e dall’altro profondamente divertita e divertente. In questi tre racconti che attraversano la vita di Janni Dakkar, figlia del capitano Nemo, dal 1925 al 1975, Moore e O’Neil fanno rivivere la narrativa pulp, infarcendo il racconto di mostri, dinosauri, nazisti e robot.

Il personaggio di Janni, uno dei pochi della saga creato dagli autori, appare per la prima volta (fatto salvo per un riferimento, al solito velato, nel Black Dossier) in Century: 1910, in cui la vediamo, giovane e ribelle, fare i conti con la pesante eredità del padre e con il suo retaggio di pirateria e vendette. In Century: 1969, l’episodio seguente, la ritroviamo già invecchiata. Cosa è successo in quei cinquant’anni, quali sono state le sue avventure, i suoi nemici e i suoi amori, è il compito che si prefigge la trilogia di cui stiamo parlando. 

Cuore di ghiaccio

Il momento più riuscito e più alto della saga è certamente il primo episodio, Cuore di ghiaccio, con il quale Moore si inserisce nella scia narrativa che dal Gordon Pym di Edgar Allan Poe arriva a La sfinge dei ghiacci di Jules Verne e Le montagne della follia di H. P. Lovecraft, facendo viaggiare Janni e il suo equipaggio in un’apocalisse di orrori artici e “geometrie sbagliate” illustrate magistralmente da O’Neil. In Cuore di ghiaccio si ritrova anche il guizzo geniale di molti momenti della Lega che nei restanti due episodi di Nemo sembra mancare.

Importantissimo in questa storia, ancor più che nelle precedenti e nelle seguenti, è l’aspetto della griglia utilizzata per le tavole. Moore è conosciuto per l’uso programmatico che ha quasi sempre fatto della pagina, impadronendosi di alcuni pattern (la gabbia a nove vignette di Watchmen su tutti) e rivoltandoli e spremendoli fino a raggiungere tutte le migliori declinazioni possibili. In questo senso è spesso riuscito a fondere la funzionalità narrativa e l’afflato artistico in maniera inarrivabile.

Nemo1okAltra cosa tipica di Moore sono le speculazioni sul concetto di tempo e su come questo possa essere efficacemente rappresentato e “infranto” nel fumetto, arte narrativa che forse meglio di tutte può permettersi di giocare con l’argomento con esiti molto interessanti.

Nella trilogia di Nemo gli autori utilizzano due o tre pattern fissi e su quelli imbastiscono tutta la narrazione. Troviamo soprattutto nelle tavole le cinque strisce orizzontali, le nove vignette “alla Watchmen” e le splash page con degli in-set laterali di tre o quattro vignette. Questi tre pattern vengono poi declinati al loro interno in differenti combinazioni, con l’aggiunta di alcune tavole a sei vignette “all’inglese”. Il ristretto numero di pagine (ogni episodio conta 48 tavole di fumetto più alcune di prosa finali) fa sì che questa scelta “ferrea” influisca notevolmente sul racconto, dando al lettore una scansione temporale ben precisa ed efficace, e soprattutto una narrazione che si muove in primo luogo attraverso la forma del suo contenitore.

In Cuore di ghiaccio Moore sembra cominciare quel percorso di scavo nell’inquietudine e nel terrore psicologico che porta poi alla perfezione in Providence (dove il pattern è davvero rigido, solo quattro vignette a striscia per pagina che raramente diventano tre colonne verticali). La scelta di “limitare” il movimento sembra essere in diretta relazione con il tipo di emozione che viene trasmessa, in questo caso quella del “perturbante”: un disturbo implicito più che un orrore manifesto.

Naturalmente parte fondamentale la svolge il tratto di O’Neil, qui davvero ispirato come nei primi due volumi della Lega, le cui rappresentazioni delle indescrivibili mostruosità lovecraftiane, dei paesaggi antartici e della gigantesca figura bianca presa da Gordon Pym, riescono davvero a trafiggere la razionalità e raggiungere l’intima paura del lettore.

La summa di queste due eccellenze viene raggiunta nel momento in cui Nemo e i suoi pirati arrivano nella Terra del Presente (sempre da Poe) e il tempo impazzisce, insieme alla loro memoria. Moore mescola i piani narrativi e visivi, scrivendo vignette in sequenza che vanno avanti e indietro nel tempo personale dei protagonisti, con frasi spezzate che cambiano di senso nel balloon seguente o lo riacquistano in quello di un altro personaggio, alternando la velocità spietata delle strisce orizzontali con la grandezza atemporale delle splash page di O’Neil, creando così sulla pagina la magia del senza-tempo o del tempo non sequenziale (di come Moore intenda il tempo si parla diffusamente in questo approfondimento del suo Promethea).

league_nemo_roses_004

Le rose di Berlino e Fiume di spettri

Il seguente Le rose di Berlino è forse il più debole dei tre, anche se le visioni della Metropolis di Fritz Lang messe sulla carta da O’Neil sono davvero immaginifiche. Nel 1941 Nemo si scontra con Ayesha (il villain dell’intera saga) e nella Berlino del mondo della Lega incontra Adenoid Hynkel, l’Adolf Hitler di Charlie Chaplin ne Il grande dittatore.

Particolarità di questo episodio è il fatto che quasi tutti i dialoghi in tedesco (e non sono pochi) non hanno traduzione, per cui, a meno di non conoscere la lingua, ci si trova a leggere pagine e pagine di parole incomprensibili. Moore l’ha già fatto varie volte, anche all’interno della Lega, ma mai per così tante vignette. L’effetto è fastidioso e straniante, ma ha il suo perché (fortunatamente sul blog di Zeno Saracino, Cronache Bizantine, si può trovare la traduzione dei dialoghi, per chi volesse leggerli, insieme all’intero apparato di note che lo studioso dell’opera di Moore, Jess Nevis, ha prodotto negli anni, tradotte per l’occasione da Zeno).

Fiume di spettri, l’episodio che chiude la trilogia e il nuovo volume Bao, è invece ambientato nel 1975 e narra della conclusione delle avventure di Nemo. Arrivati qui ci si rende conto della bellezza e dell’ampio respiro del racconto di Moore e O’Neil, che sono riusciti a fare di una quasi ottuagenaria la tragica eroina di questa storia.
Ritroviamo Janni, consunta dagli anni e dai lutti, che ancora rincorre, maledetta dal suo sangue, la stessa sete di vendetta che contraddistinse il padre. Mentre il Nautilus si addentra in una giungla amazzonica invasa da robot-nazisti dai seni prominenti, vediamo l’anziana Nemo divisa fra l’educazione del nipotino e tutti i fantasmi del suo passato, con cui dialoga continuamente.

È il finale perfetto per una piccola storia che racconta soprattutto, al di là delle citazioni nascoste e dei riferimenti carpiati, i legami d’affetto e di famiglia, facendo di Janni Dakkar/Nemo il personaggio più interessante e umano di tutta la Lega. Quello con cui abbiamo la possibilità di empatizzare di più e che abbiamo visto “crescere” attraverso i suoi amori e le sue ossessioni.

L’edizione in volume permette di cogliere a pieno il senso e la bellezza di quest’opera, di certo non perfetta e ben lontana dai capolavori dei suoi autori, ma con la quale si ha la possibilità di creare un legame intimo.  Moore e O’Neil giocano con le grandi narrazioni del secolo scorso, dall’avventura all’horror al pulp, consegnandoci soprattutto un’indimenticabile protagonista femminile, degna dei molti eroi della letteratura di cui è figlia.

Abbiamo parlato di:
Nemo
Alan Moore, Kevin O’Neil
Traduzione di Michele Foschini
BaoPublishing, 2020
192 pagine, cartonato, colore – 21,00 €
ISBN: 978-88-3273-387-7

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *