Il preludio a un’atroce morte sul rogo introduce il lungo flashback che compone Le origini della paura, libro edito da Edizioni NPE, scritto da Mariano Rose e disegnato da Alessandro Saiu, con lettering di Loris Ravina. Un racconto originale inserito nell’universo di Howard Phillips Lovecraft, che si colloca temporalmente come prequel agli eventi narrati nei racconti del cosiddetto Solitario di Providence, maestro dell’ignoto e del fantastico.
Protagonista del fumetto è Harlan Jameson Gulguvit, cronista di Sua Maestà Re Guglielmo III d’Inghilterra per i casi di esorcismo ed esoterismo, tornato a Londra nel 1963 dopo aver assistito ai fatti di Salem, villaggio del Massachusetts sede di un famoso processo per stregoneria svoltosi nel 1692.
Gulguvit appare segnato dalle vicende di stregoneria di cui è stato testimone: afflitto da un senso di profonda vacuità che lo ha reso cinico, fin troppo consapevole dell’orrore umano sempre presente dietro ogni angolo o nel vicolo sotto casa, sembra aver completamente abbandonato l’età dei sogni.
Gulguvit è angosciato, intrappolato in una quotidianità moralmente squallida, che Mariano Rose esprime attraverso didascalie che racchiudono i pensieri del protagonista. Queste schiette riflessioni confluiscono nel Libro delle Cronache che, proseguendo nella lettura, si scopre essere scritto dallo stesso cronista (così come Lovecraft scrisse il Necronomicon) e i cui estratti vengono riportati all’inizio di ciascuno degli otto capitoli che compongono Le origini della paura. I pensieri di Gulguvit rimangono una costante dell’intero fumetto e conferiscono all’opera una forma di resoconto che non appare mai didascalico, proprio perché permeato dai turbamenti del protagonista.
L’empasse di Gulguvit prosegue fino a quando non riceve una lettera con la proposta di un nuovo incarico: un’indagine sul caso di Nicholas Heinrich, studente inglese inquisito e condannato dalla gente di Ebol Town, in Scozia.
Il cronista deve così far luce su un’accusa forse pretestuosa, con un’imparzialità e un distacco che sono messi a dura prova da eventi poco ordinari, incubi a occhi aperti e da una misteriosa setta probabilmente legata ai fatti di Salem.
Il viaggio di Gulguvit è costellato da orrori e la giustizia che il cronista dovrebbe rappresentare vacilla a ogni suo passo nel confronto con la paura e l’odio che sembra albergare nell’animo di ciascun essere umano, lui compreso. Un orrore interiore sempre sul punto di manifestarsi, ma la cui origine resta un mistero. È alimentato da riti antichi, da influenze sataniche o dalla semplice indole umana? È una delle risposte che Gulguvit cerca aspirando alla conoscenza del proibito, che collega eventi lontani e che conferisce al racconto quell’aura di mistero e incertezza tipica del cosiddetto stile gotico iniziale.
In questo senso il lavoro dello sceneggiatore è tipicamente lovecraftiano. Lo dimostra questo scritto dello stesso autore di Providence: “Tutti i miei racconti – dice H.P. – anche se possono sembrare non collegati fra loro, sono basati su una leggenda fondamentale, secondo la quale questo mondo fu abitato, un tempo, da un’altra razza che, per aver praticato la magia nera, perse il suo dominio e venne scacciata, ma vive al di fuori, sempre pronta a riprendere possesso della Terra”.
La sceneggiatura si basa in generale su una trama in flashback lineare, interrotta solo nel capitolo in cui lo studente inglese Heinrick racconta la sua versione dei fatti. L’elemento narrativo che fa progredire la storia è rappresentato proprio dalle didascalie di Gulguvit, che contribuiscono alla caratterizzazione del personaggio e al coinvolgimento del lettore. Solo in un paio di casi i testi appaiono forse superflui, sovrapponendosi a sensazioni ed emozioni già sufficientemente sottolineate dai disegni.
È evidente lo studio di Rose sul linguaggio dell’epoca storica e sulla sua applicazione ai vari personaggi. Gulguvit utilizza ad esempio un gergo alto, derivato dagli studi, dalle esperienze e dalle conoscenze accumulate nei suoi precedenti viaggi. Terminologia e sintassi di contadini, soldati e popolani sono invece più povere, a tratti dialettali, e identificano la loro estrazione sociale insieme all’abbigliamento e ad altre caratteristiche fisiche.
Alessandro Saiu utilizza uno stile realistico tendente al grottesco in tavole molto varie a due, tre, quattro strisce, con vignette in prevalenza regolari. Per assecondare momenti narrativi intensi, frenetici o significativi, però, il disegnatore non rinuncia a vignette oblique che ricordano lo stile manga, a notevoli splash page o a vignette a tutta pagina e doppie.
Molto curata la scelta delle inquadrature con, ad esempio, riprese dall’alto che schiacciano i protagonisti nei momenti di difficoltà emotiva e fisica o, al contrario, dal basso, per evidenziarne la superiorità.
Nei vari personaggi, soprattutto i popolani di Ebol Town, spiccano i volti deformati, le bocche incancrenite con pochi denti e l’essere a volte delle semplici ma inquietanti ombre nascoste dietro ai muri. Tutte soluzioni grafiche che convergono nel fil rouge del libro, ovvero il binomio odio-paura. Anche l’abbigliamento è sempre molto dettagliato e, com’è ovvio, tarato sui costumi dell’epoca.
Le varie ambientazioni, sia interne sia esterne, sono impreziosite da ombre e punti luce che lasciano immaginare misteri e pericoli in ogni angolo. Un camino che rischiara il minimo indispensabile, la scarsa luce di poche candele o di una lanterna, fanno sempre pensare che ad avere la meglio sarà ben presto l’oscurità. Quella stessa oscurità che, secondo Gulguvit, si annida nel cuore di tutti gli uomini, vittime o carnefici che siano, e che spinge le persone a considerare minacciosa una novità o il volto di un nuovo arrivato.
Negli esterni spiccano i campi medi o lunghi con scorci di città o nebbiosi paesaggi di campagna.
Meritano una menzione tavola 18, con un primo piano di Gulguvit alle cui spalle, in trasparenza, compaiono scene d’orrore del passato che sembrano fuoriuscire e penetrare al tempo stesso nel cervello del protagonista; la sequenza-incubo che culmina nella splash a tavola 29 e le quattro doppie tavole conclusive, che precedono il finalino.
Semplice e incisivo il lettering di Loris Ravina: ai balloon classici se ne alternano alcuni più squadrati, mentre le didascalie sono contenute in cornici con il bordo inferiore irregolare che ricorda stralci di fogli di carta. Quella che sembra essere una lingua demoniaca è invece inserita in balloon a sfondo nero.
Sia la sceneggiatura sia l’impianto grafico rispondono in modo adeguato all’ambizioso proposito di realizzare una storia ambientata nell’universo di Lovecraft, senza eccedere con il citazionismo ma restituendo ambienti tetri e un clima generale cupo e claustrofobico in linea con l’universo dei miti di Cthullu, che il celebre autore sviluppò a partire dall’invenzione del Necronomicon.
Al termine della storia a fumetti il volume presenta alcune appendici, con approfondimenti di Mariano Rose sulla genesi, le fonti e il dietro le quinte di Le origini della paura.
Abbiamo parlato di:
Le origini della paura
Mariano Rose, Alessandro Saiu
Edizioni NPE, 2021
160 pagine, brossurato con alette, bianco e nero – 16,90 €
ISBN: 9788836270491