Questa versione a fumetti di Fahrenheit 451, realizzata nel 2009, si apre con una bella prefazione di Ray Bradbury stesso. Qui egli spiega la genesi dell’opera letteraria a partire da una sgradevole esperienza personale – l’autore viene fermato da uno sprezzante poliziotto nell’America maccartista del periodo – e da un nucleo di racconti in cui l’idea viene abbozzata: Il pedone, Gli esuli, Usher II, Torre di fuoco e quindi Il pompiere, primo abbozzo dell’opera come racconto lungo.
Come noto, il romanzo tratta della presa di coscienza di un “pompiere” del futuro, incaricato non più di spegnere gli incendi ma di bruciare i libri (funziona ancor meglio l’ambivalenza dell’originale inglese, “fireman”, “uomo del fuoco”): Montag, nel corso della storia, giunge a rendersi gradualmente conto dell’orrore del sistema oppressivo in cui vive e tenta di combatterlo.
Fahrenheit 451 è del 1953, e nel 1966 aveva già goduto di un autorevole adattamento filmico, ad opera di François Truffaut.
L’adattamento fumettistico, autorizzato dallo stesso Bradbury, è piuttosto fedele. Dopo un frontespizio illustrato dove, tra gli altri, brucia in primo piano la Divina Commedia, il fumetto di Tim Hamilton prosegue in modo asciutto ed essenziale.
Il montaggio di tavola è, sostanzialmente, quello all’italiana, con tre strisce di due vignette ciascuna, ma ovviamente usato in modo moderno, con frequenti splash pages. Il segno grafico è nitido, con netti contrasti chiaroscurali e una netta prevalenza del nero, confermato da una colorazione prevalentemente cupa e volutamente spenta; salvo, ovviamente, quando irrompe l’orrore del fuoco a bruciare i libri e quindi predominano i toni del rosso. Viene in mente, in queste scelte (pur nella sostanziale autonomia dei segni) un fumetto fondante come V per Vendetta, che al romanzo di Bradbury, a sua volta, deve certo qualcosa.
La cosa più interessante – presente già nel romanzo originale – è che i fumetti sopravvivono in questo mondo come unica forma legittima di letteratura cartacea – accanto, ovviamente, alla TV omnipervasiva. Se nell’opera originaria di Bradbury la cosa poteva non creare particolare problema (anche se, in realtà, in quegli anni proprio il fumetto era sotto attacco: La seduzione degli innocenti di Frederic Wertham è dell’anno seguente), nel fumetto crea un’interessante corto circuito metanarrativo.
Proprio come nel romanzo, infatti, vengono citati i Classic illustrated (p.47) come segno del declino della letteratura, che viene compressa sempre più nella forma visiva e veloce del fumetto.
La cosa curiosa, ovviamente, è che lo stesso fumetto che teniamo in mano è, in fondo, un “classic illustrated”, ovvero la versione fumettistica di un grande classico della letteratura.
Sarebbe stata interessante, su questo, una riflessione di Bradbury, che invece ignora il problema nella sua prefazione. Hamilton, invece, si concede una piccola ironia: tra i colpevoli adattamenti fumettistici inserisce in primo piano quello dell’Isola del tesoro, che anche lui ha realizzato. Ma indubbiamente si sarebbe potuto scavare di più, dato che la profezia di Bradbury si è in parte realizzata (il fumetto è entrato nel salotto buono della letteratura) senza che questo sia collegato a contesti distopici.
In ogni caso, il fumetto si conferma un buon adattamento, in grado di rievocare con efficacia le atmosfere e le riflessioni del romanzo originario, mantenendo sia la sua componente d’azione, sia quella filosofica.
Abbiamo parlato di:
Fahrenheit 451 – Il graphic novel
Ray Bradbury, Tim Hamilton
Traduzione di Adalidia Lussonzer
Mondadori Oscar Ink, 2018
156 pagine, cartonato, colori – 20,00 €
ISBN: 9788804701200