Nebula: di bambole, assicurazioni, rapimenti e amori

Nebula: di bambole, assicurazioni, rapimenti e amori

Shockdom porta in fumetteria dopo 18 anni il prequel del loro primo webcomic, un giallo ambientato in Calabria, leggero e ironico come una serie tv e in grado di farsi apprezzare dagli amanti del fumetto popolare, ma che non sfrutta in pieno le sue tante potenzialità.

Nebula, fumetto uscito in questi giorni in un volume autoconclusivo, ha in realtà un passato interessante e a suo modo importante: il primo episodio – non compreso in questa raccolta – fu pubblicato online nel 2000 dall’allora neonata Shockdom, diventando di fatto uno dei primissimi esemplari di webcomics italiani. E ora, diciotto anni dopo, Nebula riparte, ancora per Shockdom, con un nuovo capitolo autoconclusivo stampato su carta, trasferendosi così dal virtuale al reale.

Al centro della storia abbiamo un’immaginaria agenzia d’assicurazioni  – la Nebula Insurance, appunto  – che ha sede in un  paese della Calabria chiamato Scarrìa. Un luogo immaginario ma non troppo, in quanto Lucio Staiano – fondatore di Shockdom e ideatore/co-sceneggiatore della serie insieme a Marco Di Grazia – ha voluto farne un omaggio al suo paese natale, Badolato, che echeggia costantemente tra le vignette.

È appunto a Scarrìa che arriva Aiace Sbrana, giovane toscano dal carattere allegro e sopra le righe, invitato da un vecchio amico. Aiace si aspetta una rimpatriata; ma trova invece Veronica, la giovane figlia dell’amico purtroppo venuto a mancare, e che suo malgrado si ritrova a dover iniziare a gestirne l’agenzia assicurativa. Veronica è al suo esordio come lavoratrice e come proprietaria di qualcosa, e alla sua ansia si aggiunge un problema alquanto particolare: prima di morire suo padre ha assicurato per la non modica cifra di duecentomila euro una comunissima bambola da supermercato, priva di qualsiasi valore oggettivo, ma che  diventerà uno dei protagonisti dell’episodio.

Costretto dal caso a lavorare con lei, Aiace si trova dunque ad affrontare un misterioso caso di rapimento, e a trovare l’amore grazie all’ispettore di polizia Caterina Gallelli, tanto bella quanto spiccia nei modi, impaziente e irascibile. Il tutto in una storia agile, che in sole 64 pagine si pone l’ambizioso obiettivo di creare un mondo, descrivere dei personaggi, raccontare un giallo interessante, far ridere e al contempo narrare al lettore la vita di un paese della Calabria. Peccato che, nonostante l’impegno degli autori e le possibilità insite nel progetto, la sensazione che si ha dopo la fine dell’albo è quella di aver assistito all’episodio di una fiction televisiva italiana molto brillante e piacevole ma non significativa quanto avrebbe potuto essere.

Nebula si presenta a una prima occhiata come un albo dal sapore Bonelliano. Racconta le origini dei personaggi, il loro primo incontro, e pone alcune basi per il futuro, offrendosi come un possibile numero uno, o episodio pilota, di una serie. Come nella classica tradizione di via Buonarroti, l’avventura è narrata in maniera lineare e leggera, mai morbosa o violenta (le uniche cose “estreme” sono gli insulti proferiti dalla poliziotta), con una trama poliziesca completa di un piccolo mistero da risolvere, con personaggi piacevoli e sullo sfondo l’elemento bizzarro dato dalla stravagante agenzia.

In tutto questo, sicuramente giocano a favore di Nebula l’ambientazione italiana e una sceneggiatura briosa dai dialoghi funzionali e molto scorrevoli, una trama tutto sommato efficace e disegni che pur con qualche incertezza si dimostrano professionali, ben curati e soprattutto inseriti in quella tradizione di realismo che ha caratterizzato molti fumetti popolari del nostro paese. Tanti elementi importanti, ma che via via si afflosciano in una narrazione dai toni sempre più leggeri e affrettati.

Il racconto in realtà parte in modo molto azzeccato. L’arrivo di Aiace nel paese calabrese dove tutti sanno chi lui sia e dove deve andare nonostante sia la prima volta che vi mette piede, la descrizione del borgo in cui tutti conoscono tutti, tutti sanno tutto di tutti, e in alcuni casi vengono informati su fatti importantissimi prima ancora dei diretti interessati, è molto ben costruito, e oltre a presentare in poche pagine setting e protagonisti riesce bene a spiegare al lettore cosa aspettarsi.

Ma man mano che la storia prosegue i toni da commedia iniziano a prevalere troppo, e soprattutto ecco apparire un mistero non troppo brillante che finisce per “mangiarsi” molti degli spazi narrativi disponibili. Il paese di Scarrìa viene retrocesso man mano a sfondo piacevole ma neutro, e a parte un paio di accenni narrativi e visivi diventa praticamente indistinguibile da qualsiasi altra provincia italiana; uno di quei luoghi che se visti dalla lunga distanza e magari da uno sceneggiatore non del luogo e/o incapace di esaltarne l’unicità diventano uguali a mille altri, con peculiarità, vizi, virtù che un autore può ritenere unici ed eccezionali, originali e significativi, ma che una volti posti davanti al lettore si rivelano comuni, stereotipati, vuoti.

Scarrìa diventa dunque un non-luogo narrativo, un po’ come un aeroporto o un fast food: ci si entra, vi si trovano le tipiche situazioni di paese, si riconosce qualche casa e qualche strada se vi si è vissuti, e lo si lascia senza troppo pensare. Assente poco giustificato è il dialetto, ad esempio, usato forse in tre occasioni e in maniera molto blanda; e se forse, visto il mood leggero della storia, era prevedibile che molti elementi caratterizzanti sarebbero stati accantonati, rimane un po’ la sensazione di aver visto poco di ciò che il progetto poteva offrire, che il possibile realismo sia stato sacrificato alla trama e all’esiguità delle pagine, e questo è sempre un peccato.

Stesso discorso per i personaggi, che presto si dimenticano di farci capire di essere calabresi e di vivere in un preciso luogo geografico con le sue regole, le sue storie, la sua voce. Ma fortunatamente i tre protagonisti, poco eroi e molto umani, funzionano, sono capaci di reggere senza problemi il racconto, e con le loro interazioni ed enormi diversità si rivelano in grado portare avanti la storia senza troppe difficoltà, sebbene con qualche imperfezione.

Aiace, ad esempio, con tutte quelle “maremme” e gli slanci di comicità esagerata, offerta senza che ce ne sia sempre un vero motivo, rischia in più di un’occasione di trasformarsi in macchietta.
E Veronica, descritta continuamente come lamentosa, egoista, spaesata, ingenua, inesperta e poco preparata alla vita, sembra invece non avere alcuna delle caratteristiche negative che gli autori vorrebbero imporle: per quasi tutto l’albo sembra comportarsi sempre in maniera opposta, con sicurezza e idee chiare, e a parte qualche momento di sconforto (peraltro ovvio vista la situazione nella quale è precipitata) pare reggere il gioco senza particolari problemi, dimostrandosi ferma e decisa in più di un’occasione. Effetto strano, vedere un personaggio muoversi in maniera opposta a come ci viene descritto. Inoltre, anche il rapporto con suo padre, del quale deve accettare un lascito oneroso, non viene esattamente spiegato o chiarito nonostante le domande iniziali. Tutto perde d’importanza, fino a essere dimenticato.

In tutto ciò, il protagonista più diretto, coerente, simpatico e ben adoperato sembra essere quello dell’ispettrice Gallelli dall’insulto facile, con zero rispetto per qualsiasi tipo di autorità e zero pazienza nei confronti di tutti. Lungi dal sembrare esagerata o improbabile, con tutta la sua furia e le sue imprecazioni la poliziotta sembra la persona più a suo agio nell’intero racconto, quella che non si sforza in alcun modo di “interpretare se stessa” ma semplicemente lo è.

Riguardo la trama va sicuramente detto che scorre limpida e rapida, risultando divertente ed efficace alla lettura anche grazie all’uso di una sceneggiatura che cambia scenario a ogni vignetta riuscendo a non diventare mai confusa, ma anzi a dare un bel ritmo al racconto, e che rappresenta dunque uno dei maggior pregi di Nebula. L’albo presenta una storia completa ma capace di dare al lettore la piacevole sensazione di un racconto in progress, che prende forma di pagina in pagina lasciando indizi di futuri sviluppi.

L’idea di un’agenzia che si offre di assicurare le cose più improbabili come bei tramonti, amori o personalità multiple, è forse un po’ azzardata e poco logica (su quali parametri assicurare un bel tramonto, e con quali garanzie? Se il giorno successivo alla stipula della polizza piove e il tramonto è rovinato, all’agenzia non resta che pagare; è come assicurare una bolla di sapone contro l’eventualità di uno scoppio: si fallirebbe in pochi giorni), ma molto simpatica, accattivante, e potenzialmente capace di fornire infiniti spunti e variazioni sul tema se sceneggiata con cura, attenzione e un pizzico di surrealismo. Usare gli strani oggetti o i sentimenti che i cittadini vengono ad assicurare come metafore per un racconto più ampio che parli di loro, del loro paese, della loro vita, sarebbe un ottimo concetto, capace di offrire molto.

Qualche riserva invece sulla parte “gialla”, non priva di semplificazioni e buchi. È buono lo spazio lasciato agli eroi, che hanno modo di esprimersi e interagire; ma dei cattivi non sappiamo nulla, non abbiamo motivazioni, non li vediamo praticamente mai, rimangono fermi e passivi per tutta la storia, quasi come se le scene in cui appaiono fossero state tagliate via. Oltretutto, verso la fine del racconto compare un elemento risolutivo totalmente campato in aria, forse giustificabile solo se significativo per chi eventualmente ne conoscesse l’origine. Forse un tentativo di creare un’epica di provincia, ma che al lettore appare come il più strano dei deus ex machina: un personaggio spuntato dal nulla nel modo più improbabile, che accorcia i tempi offrendo soluzioni su un piatto d’argento e poi scompare. E anche la filippica finale sull’uso dei cellulari, parentesi posticcia tra due scene molto serie, andava forse evitata. Risulta vuota, artificiosa, troppo superficiale per essere d’effetto, e disinnesca ogni possibile senso di serietà in ciò che la segue. Voluta o no dagli autori, non è il massimo.

Disegna il tutto con buona tecnica, anche se a volte col freno a mano un po’ tirato, Umberto Giampà, giovane autore dal tratto solido ma ancora in divenire, che in questo albo ha volutamente optato per un tipo di narrazione “italiana”, Bonelliana, con gabbia quasi sempre rigida e vignette descrittive, pacate, contenute, con una graditissima attenzione agli sfondi, grande comunicatività ed espressività dei personaggi e un tratto realistico.

Approccio sensato e ben riuscito, al servizio della trama, privo di inutili esagerazioni, a tratti reso incerto da un’inchiostrazione non sempre precisa e alcune imprecisioni in certe anatomia, anche se pare che il motivo principale sia una lieve difficoltà nel far entrare ogni cosa nelle piccole vignette quadrate tipiche del nostro modo di fare fumetto, mentre Giampà sembrerebbe essere autore dall’approccio più americano. Va comunque lodato il suo talento, e lo sforzo nell’approcciarsi alla materia.

Valido anche l’uso dei neri, e in generale tutte le tavole si dimostrano ricche e piene, contribuendo a quella piacevole sensazione di trovarsi a casa, cioè in un tipo di narrazione italiana già offertoci dal racconto e dall’uso del bianco e nero. Molto solida la rappresentazione dei protagonisti, che sembrano davvero recitare le loro emozioni e i rispettivi caratteri, e buono l’approccio anche con le figure di contorno. In generale, dunque, l’approccio dell’artista con il nostro fumetto sembra essere molto riuscito.

In definitiva Nebula si presenta come un buon prodotto, moderno e classico allo stesso tempo. Un degno figlio del nostro fumetto popolare che sicuramente non può scontentare chi è familiare con questo tipo di narrazione. Un lavoro po’ retrò, molto leggibile e divertente, brioso e piacevole soprattutto nel suo essere avventuroso ma privo di cattiveria.
Spiace però che il prodotto finale non riesca a offrire tutto ciò che poteva permettersi, e che riduca uno degli spunti migliori, cioè l’ambientazione italiana-calabrese, a uno sfondo un po’ troppo di facciata. Questo tipo di approccio può essere voluto, così come il preferire un tipo di narrazione più neutra è legittimo, e spesso paga di più al momento del confronto col pubblico. Come possibile attenuante si può anche considerare il fatto che si sta parlando del possibile primo numero di una serie, che in quanto tale ha bisogno di presentare, di essere descrittivo, di fornire gli elementi necessari a far ambientare il lettore, e questo di solito ha la precedenza su complessità di storie e sui messaggi.

Pure, visto che tutti gli autori sembrano assolutamente motivati e capaci, c’è la possibilità che uno dei problemi principali risieda nell’esiguità di pagine, un possibile difetto che mi sembra di aver già riscontrato in più di un fumetto Shockdom. Una ristrettezza che seppure sia utile a tenere bassa la foliazione, e quindi il costo, può impedire agli sceneggiatori di sviluppare in modo adeguato i loro racconti, costringendoli a sacrificare questa o quella parte delle loro storie, a semplificare, impedendo alle trame di espandersi quanto potrebbero.

Dunque, sebbene Nebula può dirsi un piacevole e riuscito tentativo di inserirsi in un panorama difficile, una bella lettura e un potenziale primo episodio promettente, manca forse di quel guizzo in più, di quegli spazi narrativi, di quella narrazione più personale e meno comune nei modi e negli stili, di quel pizzico di serietà e intelligenza che lo avrebbero reso davvero completo e ricco, che ne avrebbero fatto un fumetto da ricordare.

Abbiamo parlato di:
Nebula – Lo straordinario caso della bambola rapita e di quello che ne conseguì
Lucio Staiano Marco Di Grazia Umberto Giampà
Shockdom, settembre 2018
64 pagine, bianco e nero, brossurato – euro 7,00
ISBN:  9788893361262

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