Leggenda vuole che, nel suo ultimo discorso trasmesso da Radio Praga, Alexander Dubcek [1] abbia elencato un decalogo di comportamento per i cittadini cecoslovacchi nei confronti dei soldati del Patto di Varsavia, che in quelle ore stavano occupando la capitale, stroncando la rivolta libertaria della Primavera di Praga. I punti contenevano istruzioni anche banali e mirava ad evitare inutili rappresaglie da parte degli invasori; quindi “Non attaccate battaglia”, “Non reagite alle provocazioni” et similia. Tuttavia l’appello chiudeva con un punto di tono e senso assai diverso: “Non dimenticate”. La battaglia per la libertà, perduta militarmente sul campo, era trasferita in quello della memoria, e la memoria era individuata come indispensabile nutrimento per una speranza che non doveva venir meno.A quel “Non dimenticare” afferisce direttamente questo interessante lavoro di Peter Nis, autore cecoslovacco fuggito negli Stati Uniti nel 1982.
Ne Il Muro, Sis racconta la propria vita in Cecoslovacchia sotto la dittatura, ed è esempio di quella che viene spesso definita “memoria vivente”, cioé racconto diretto di un partecipe degli eventi narrati, che si fa “memoria culturale”, elemento che può essere condiviso e trasmesso, con l’obiettivo di rendere la testimonianza disponibile a chiunque voglia conoscerla. L’impegno consapevole a salvare il ricordo è espresso non solo nell’introduzione al volume, ma anche attraverso una Teachers’ Guide, che Nis mette a disposizione sul proprio sito [2]: in questa guida alla lettura, l’autore propone un percorso di preparazione e analisi del testo, con tanto di simulazione di vita sotto un regime totalitario, che intende mettere gli studenti in condizione di calarsi nel clima sociale che fa da scenario alla vicenda. Questo vero e proprio apparato di studio testimonia la consapevolezza del fatto che il semplice racconto non sia di per sé sufficiente a fare memoria: questa, intesa come fondazione del pensiero critico, è infatti composta sia dalle narrazioni (e dai documenti), sia dagli strumenti che ne consentono l’analisi. Al tempo stesso, Sis sottolinea che, pur nell’identità del mezzo di comunicazione, una testimonianza è cosa diversa da una finzione: la differenza è qualitativa, non quantitativa, e sta nel fatto che la testimonianza (aggiungerei in generale il racconto storico, sebbene con importanti distinzioni) si confronta con la realtà e chiede a chiunque sia interessato alle vicende narrate di confrontarsi con essa.
L’autobiografia è un genere molto frequentato anche dal fumetto, così come il racconto storico e, negli ultimi anni, il reportage. Narrare la realtà pone sfide specifiche, che vanno dalla ricostruzione d’ambiente, che nel fumetto si manifesta evidentemente anche nella grafica, alla ricerca documentaria. Il livello di precisione dipende naturalmente dall’obiettivo specifico dell’autore, oltre che dai tempi editoriali [3]; tuttavia, nel caso di ricostruzione di testimonianze, soprattutto su vicende la cui interpretazione sia oggetto di discussione, storiografica o politica, ogni imprecisione rischia di diminuirne l’autorevolezza presso il lettore, o di essere oggetto di polemica. Così, la presentazione di situazioni ambigue, di casi limite, che in generale servono a svelare punti critici delle vicende e rappresentano un valore aggiunto del racconto, costituisce un approccio quanto mai rischioso, nel quale ogni dettaglio ed ogni scelta deve essere soppesata considerando la delicatezza della materia: in altre parole, nel racconto di eventi storici, l’autore non è protetto dall’alibi della necessità di esprimere se stesso, poiché narra qualcosa che è patrimonio o memoria comune.
Per raccontare la propria vita ‘al di là della cortina di ferro‘ Sis utilizza grandi tavole in bianco e nero dove il colore, usato per dettagli, come il logo di una rock band sulla grancassa o nella splah page che, espansa su due pagine, illustra l’irruzione della cultura beat, rappresenta il fiorire di nuovi stimoli, nuovi pensieri, nuove visioni nella staticità forzata della Cecoslovacchia. Questa esplosione di novità, che al tempo stesso esprimeva e nasceva dal bisogno e desiderio di libertà, affascino’, coinvolse e travolse la generazione di Sis. Quegli stimoli non erano semplicemente inediti, ma anche condivisi con l’Occidente, e rappresentavano finalmente un patrimonio comune con quel mondo Altro, un canale di comunicazione che riusciva a superare le restrizioni politiche. Non stupisce che fossero avvolti da un’aurea di doppia proibizione, motivata dal loro contenuto intrinseco e dalla loro provenienza.
Alle tavole, Sis alterna estratti dei propri diari, riproduzioni dei propri lavori adolescenziali: sono una sorta di inserti di materiale d’archivio, una sospensione della rielaborazione, che lascia spazio al reperto, al manufatto che appartiene al tempo narrato. Se le tavole sono frutto di un lavoro di sintesi, quegli inserti sono esempi della materia grezza su cui quella sintesi è stata operata.
Sfogliando le pagine siamo all’inizio introdotti nel contesto sociale vissuto da Sis, dove il potere dello Stato pervadeva tutti livelli e tutti gli aspetti della vita, dalla censura al controllo dei rapporti interfamiliari, nel tipico schema dei regimi tendenzialmente totalitari. Seguiamo quindi l’alternarsi di speranze, delusioni, illusioni, tragedie della Cecoslovacchia della fine degli anni 1960, in cui il mutamento radicale pareva possibile, se non addirittura inevitabile, proprio perché tutto stava cambiando ovunque, come in presenza di una trasformazione globale che la vecchia generazione non poteva né capire né tanto meno impedire. La generazione di Sis seguiva la nuova ondata letteraria e musicale inglese e statunitense, mentre il vertice del partito comunista cecoslovacco varava una serie di riforme che avviavano la nazione verso la democrazia. Tutte quelle speranze furono pero’ stroncate, nell’agosto del 1968, dall’invasione delle truppe del Patto di Varsavia: il passato si rifiutava di lasciar posto alla nuova generazione e riprendeva il potere, mantenendolo, in forma di zombie, fino al venir meno della protezione sovietica.
Sis costruisce le tavole come griglie classiche, commentate con brevissime didascalie che amplificano l’impatto del disegno, con un approccio che, dal punto di vista tecnico, rimanda a quello dei cartelloni pubblicitari, dove immagine e slogan si riferiscono a vicenda, nel tentativo di innescare una sorta di circolo virtuoso stimolo-attenzione o, se si preferisce, di corto circuito fra testo ed immagine. Il ritmo è totalmente a carico della architettura della tavola e la divisione della griglia indica la percezione dello scorrere del tempo, secondo una grammatica elementare per cui il ritmo è direttamente proporzionale al numero di vignette in cui la pagina è suddivisa. Così, la tavola in cui Sis racconta l’entusiamo per la musica rock (‘Vogliamo tutti essere i Beatles. Ci facciamo da soli le scarpe gli occhiali, le chitarre elettriche…‘) è formata da otto vignette, e traduce il senso di frenesia che avvolgeva quei ragazzi, mentre l’arrivo dei carri armati del Patto di Varsavia è raccontato in due pagine ciascuna composta da un’unica immagine, come a indicare l’interruzione dello scorrere naturale del tempo.
Naturalmente, ci sono esempi di costruzioni più complesse, ma la semplicità sintattica è una palese scelta di Sis, autore di molti lavori dedicati ai bambini: siamo di fronte a tavole da guardare con attenzione e senza fretta, dove le didascalie offrono esplicitamente la chiave di lettura.
Un’opera didascalica? Piuttosto un’opera didattica, tramite la quale Sis vuole mantenere viva la memoria del cumulo di tragedie, sofferenze, dolori, ingiustizie e anche assurdità che erano parte integrante del sistema sovietico. Dalle pagine emerge una divisione netta fra positività (occidente) e negatività (sistema sovietico), che può apparire quantomeno ingenua ma, al di là del riflettere comunque una differenza fondamentale, deve essere considerata come espressione della percezione da parte della generazione di Sis della situazione. A questo proposito, non è improbabile che l’urgenza della testimonianza sia cresciuta nell’autore seguendo il ritorno sullo scacchiere mondiale della Russia putiniana.
Il fumetto termina con il 1989, quando la storia, bloccata oltre cortina per oltre quaranta anni, si rimette in moto. Come detto, Il Muro è opera di memorialistica, non di giornalismo né di ricostruzione storica. Cio’ che mette in scena è la memoria dell’autore dei fatti (come chiarito: mediata dalla scrittura), con l’esplicito intento di evitarne l’oblio, di renderla parte della memoria collettiva al fine di non disperderne gli insegnamenti, ed è un valido esempio di come il mondo del fumetto, a partire dagli autori, sia sempre più confidente nelle potenzialità che questo mezzo offre per raccontare il mondo.
Note:
[1] Alexander Dubcek fu promotere, come Segretario del Partito Comunista Cecoslovacco, insieme a Ludvik Svoboda, Presidente della Repubblica, Josef Smrkovsky, Presidente dell’Assemblea Nazionale, Oldrik Cernik, capo del Governo, di una serie di progetti, riassunti nello slogan “socialismo dal volto umano”, che miravano alla fondazione di una società libera, senza rinunciare alle conquiste fondamentali del socialismo. L’entusiasmo che accompagno’ questa iniziativa, fra l’aprile e l’agosto 1968, dette origine ad un fermento democratico diffuso noto come la “Primavera di Praga” (cfr. ad esempio L. di Nolfo: Storia delle Relazioni Internazionali, Laterza, p.1148 e segg.).
[2] La guida è disponibile presso: www.holtzbrinckpublishers.com
[3] Si consideri, come esempio, che il primo volume di Berlin ha richiesto quasi cinque anni di ricerche a Jason Lutes, tempi ovviemante insostenibili da una pubblicazione seriale.
Riferimenti
Sito dell’autore: www.petersis.com
Intervista all’autore sul libro: www.bookexpocast.com/authors-studio/2007/07/02/the-wall-by-peter-sis