Dopo un’estate come quella del 2016, caratterizzata sul fronte narrativo da una serie televisiva come Stranger Things – disponibile dal 15 luglio sulla piattaforma di contenuti on demand Netflix – che fa della fantascienza anni Ottanta il proprio punto di riferimento, tra mostri, misteri e agenti governativi legati a diversi segreti di stampo esoterico, i cultori del genere non possono che accogliere con grandi aspettative il volume edito da RW Lion che propone in Italia la miniserie in quattro parti The Twilight Children, sceneggiata da Gilbert Hernandez e disegnata dal compianto Darwyn Cooke.
Le atmosfere da cui il fumetto attinge sono del resto simili a quelle cui guarda Stranger Things, grazie alla presenza di un mistero in bilico tra scienza e magia che incuriosisce il lettore fin dalle prime pagine: una misteriosa palla di luce emerge con una certa frequenza dal mare su cui si affaccia un piccolo borgo e nemmeno gli scienziati provenienti dalla città riescono a capire di cosa si tratti, nonostante le ripetute ricerche sul luogo.
Uno studioso in particolare, Felix, rimane affascinato da questo fenomeno e da Ela, una ragazza taciturna misteriosamente comparsa nel paese, la cui natura appare immediatamente collegata all’enigma della sfera luminosa e capace, con la propria bellezza, di irretire molti uomini.
Altro elemento, quello del personaggio misterioso e avaro di parole, tipico di una certa narrativa fantastica di questo stampo.
Buona parte del fascino di The Twilight Children deriva dall’ambientazione scelta dagli autori: Hernandez descrive infatti un pacifico paesino di pescatori in riva al mare, presumibilmente collocato in Sud America, che serve benissimo all’esigenza di presentare un luogo ameno e tranquillo sotto tutti gli aspetti per rendere ancora più marcato il contrasto con le stranezze che avvengono nella storia. Una regola che a partire dalla letteratura di Stephen King per arrivare a prodotti come il film Super 8 o le serie C’era una volta e Wayward Pinesha dimostrato più volte la propria efficacia.
Darwyn Cooke, inoltre, con lo stile morbido e stilizzato che lo ha reso celebre, contribuisce di fatto a queste sensazioni di pace, visualizzando un piccolo centro abitato con tutte le caratteristiche per renderlo credibile, tra negozietti, case modeste e prive di fronzoli, abitanti umili e di stampo rurale e una spiaggia incontaminata.
Sullo sfondo della vicenda vediamo agire numerosi personaggi: tre ragazzini che diventano ciechi dopo essere entrati in una caverna sulla spiaggia, un vecchio ubriacone che ha perso la propria famiglia in circostanze poco chiare, uno sceriffo dal carattere inflessibile e soprattutto Tito, avvenente ragazza del luogo vagamente ninfomane e con una propensione per il tradimento coniugale.
La ragazza assume un ruolo importante all’interno dell’avventura: descritta come una donna forte ma bisognosa di attenzioni, complessa e affascinante, segue la tradizione delle figure femminili sfaccettate tipiche della narrativa di Hernandez, e nel corso della vicenda, è disposta a tutto pur di ottenere quello che vuole. Il contrasto con l’eterea Ela è uno dei pregi della graphic novel.
Un quadretto di vita caratteristico e riuscito, che però fa parte solo del “contorno” della storia, sul quale lo sceneggiatore ha investito molto in termini di caratterizzazione senza assegnarli un ruolo più importante per quanto riguarda il cuore del racconto.
In sostanza è proprio lo sviluppo della trama il tallone d’Achille di The Twilight Children: a un mistero particolarmente suggestivo come quello presentato nel primo capitolo non corrisponde una conclusione che appaghi davvero il lettore.
Nel corso della storia vengono inseriti vari elementi a corredo del rebus della sfera – la cecità dei ragazzini, gli agenti governativi in incognito che sembrano saperne qualcosa di più e che vorrebbero prendere in custodia Ela, il flashback su quanto accadde alla famiglia dell’ubriacone del paese, la capacità di Ela di comunicare mentalmente con i più piccoli – ma nessuno di questi trova una concreta spiegazione.
Anche nelle tavole in cui la tensione narrativa raggiunge l’apice, più o meno a metà dell’ultimo capitolo, il lettore non trova soddisfazione alle domande che si è fatto nel corso delle pagine precedenti, ritrovandosi con una conclusione che baratta le possibili risposte con alcune scene molto d’impatto ed evocative, lasciando il finale decisamente aperto alle interpretazioni.
Tale modalità d’azione avvicina The Twilight Children alla serie televisiva The leftovers – Svaniti nel nulla Stagione, creata da Damon Lindelof e Tom Perrotta e trasmessa negli Stati Uniti sulla rete via cavo HBO: prima ancora della trasmissione del pilot, infatti, lo showrunner aveva detto chiaramente che non ci sarebbe mai stata risposta al grande mistero con cui si apre il serial, perché l’obiettivo era quello di raccontare le reazioni e le vite dei protagonisti in seguito ad un evento incomprensibile e drammatico.
In parte questa filosofia di riverbera nel lavoro di Hernandez, giustificando così l’attenzione riservata agli abitanti del paesino in cui è ambientato il fumetto, ma lo spazio a disposizione non consente comunque di empatizzare profondamente con i personaggi né viene sviscerato abbastanza il loro rapporto con la sfera luminosa.
Il risultato finale si rivela quindi troppo ermetico nel mettere le carte in tavola e con una ritrosia verso una piena spiegazione dell’intrigo che si avvicina all’incompiutezza, o perlomeno alla necessità di un eventuale seguito (il quale, però, rovinerebbe la bella chiosa di questo racconto).
Ciononostante si tratta di un lavoro dove è evidente la cura con cui è stato pensato e scritto, con numerosi input, grande fantasia e un’atmosfera piuttosto affascinante, trasmessa dai disegni di Darwyn Cooke.
Oltre alle splendide ambientazioni, caratterizzate da un tratto sintetico e che si concentra maggiormente sulle impressioni rispetto ai dettagli, colpisce molto l’aspetto conferito ai personaggi. Lo stile di Cooke è infatti quello già visto nelle sue opere precedenti, molto cartoonesco e debitore al mondo dell’animazione, ambiente nel quale l’artista ha lavorato per anni insieme a grandi nomi come Bruce Timm, e questo si riflette su volti e figure di protagonisti e comprimari.
Tra gli uomini, Felix e il vecchio alcoolizzato sono quelli più espressivi: il primo magro e slanciato, sempre con indosso un paio di occhiali da sole, comunica l’aspetto distinto ma giovanile che gli è proprio, il secondo più tarchiato e dimesso sembra uscito direttamente da un film d’animazione, grazie ad una corporatura e ad un’espressività che si prestano molto al movimento.
Ma è la componente femminile, rappresentata da Ela e Tito, a spiccare sull’intero parco personaggi: le donnine di carta di Cooke hanno sempre avuto un fascino particolare, e anche le due ultime creature di Hernandez non sfuggono a questa “eredità artistica”. La prima dai capelli bianchissimi, slanciata e con due occhi magnetici e chiari, la seconda dai lineamenti più marcatamente esotici, capelli corvini e uno sguardo perennemente furbetto, che trasmette al lettore sensualità ma anche uno spirito mai domo o appagato, alla continua ricerca di qualcosa.
Come molti altri personaggi, del resto; e come il lettore stesso. Tutti accomunati da una ricerca con esiti non del tutto soddisfacenti.
Abbiamo parlato di:
The Twilight Children
Gilbert Hernandez, Darwyn Cooke, Dave Stewart
Traduzione di Leonardo Rizzi
RW Lion, 13 agosto 2016
128 pagine, brossurato, colori – 12,95 €
ISBN: 9788893510387