Milo Manara fra monaci, IA, erotismo, censura e Umberto Eco

Milo Manara fra monaci, IA, erotismo, censura e Umberto Eco

Al Salone del Libro di Torino abbiamo intervistato il maestro Milo Manara in occasione dell'uscita dell'adattamento de "Il nome della rosa" di Umberto Eco.

manara2Il Salone internazionale del Libro di Torino ha ospitato Milo Manara, autore dell’adattamento a fumetti de Il Nome della rosa edito da Oblomov. Abbiamo incontrato il maestro in un momento di calma, per chiacchierare sulla prima delle due parti che compongono il fumetto tratto dal classico di Umberto Eco, fra le opere italiane più vendute nel mondo, ripubblicata da La Nave di Teseo. Ma l’occasione ha permesso di affrontare anche alcune tematiche molto attuali come il ruolo delle intelligenze artificiali in ambito creativo e la percezione dell’erotismo ai giorni nostri.   

Buongiorno maestro, benvenuto su Lo Spazio Bianco.
Iniziamo da una domanda classica e forse scontata: come e quando è nata l’idea di adattare il capolavoro di Umberto Eco?

Purtroppo anche la risposta sarà abbastanza scontata: la proposta mi è arrivata da Igort, direttore di Linus nonché grande autore, forse dopo averla valutata con Elisabetta Sgarbi (direttrice generale di La Nave di Teseo ndr) e consultando i figli di Eco. È stata subito una proposta che mi ha un po’ tramortito perché non ci avevo mai pensato. Ovviamente sono uno dei milioni di lettori de Il nome della rosa, ho visto il film di Jean-Jacques Annaud e quindi sapevo che si trattava di una storia di monaci ambientata in un’abbazia, diciamo abbastanza lontana dai temi che tratto io di solito. Insomma, non credo di essere particolarmente apprezzato per come disegno i monaci. Però ero talmente innamorato di quel libro che ovviamente non si poteva dire di no.

Adattare un romanzo può apparire più semplice rispetto a creare ex novo una storia ma il libro di Eco è un testo denso, labirintico sia per gli snodi della trama sia per le componenti filosofiche. Come ha selezionato cosa raccontare e cosa nelle 140 tavole circa a disposizione (calcolando anche il secondo volume)? E quali sono state le maggiori difficoltà nel condensare la mole di informazioni necessarie a far procedere la storia?
 Sì, quello di scegliere cosa tenere è stato il lavoro più impegnativo perché il romanzo è appunto labirintico ed è un romanzo mondo. Per questo il problema era di riuscire a salvare lo spirito della storia con tutti i suoi substrati teologici, filosofici, sacrificando però il novanta per cento dei dialoghi, delle considerazioni, delle riflessioni. Io ho cercato di selezionare i punti salienti, sia per quanto riguarda il dialogo sia per quel che riguarda l’azione. 

Il libro è strutturato intorno a tre diversi stili di disegno: questa impostazione ha richiesto un impegno diverso o maggiore del solito?
Ha richiesto una passione e un divertimento intellettuale assoluto. Sì, l’impegno c’era – l’impegno c’è un po’ in tutte le cose – ma qui era particolarmente piacevole. Il fatto di scegliere tre stili diversi è dovuto al fatto che naturalmente, sulla pagina, il disegno può essere differenziato solo così, ed era necessario per la mia esigenza di favorire il lettore nella comprensione del testo. Quindi c’è uno stile che racconta la trama, uno che racconta i racconti dentro al racconto e, per non far confusione, ho deciso di adottare un altro stile mutuato dalle incisioni medievali. Insomma, mi è sembrata la cosa più naturale del mondo per favorire la comprensibilità del lettore.

Il nome della rosa presenta un cast di personaggi ricco e variegato: qual è il suo preferito? Il giovane Adso, con la sua trama di formazione, Guglielmo il filosofo-mentore, la fanciulla innocente, magari il controverso Salvatore o padre Jorge?il nome della rosa_copertina
Ho subito pensato che il protagonista fosse Adso. In realtà poi, leggendo bene e accuratamente il testo nelle note in appendice, Umberto Eco stesso scrive che il primo titolo che lui aveva pensato era Adso da Melt, non Il nome della rosa o addirittura L’abbazia del delitto, ma Adso da Melk perché anche e soprattutto Eco pensava che il vero protagonista fosse Adso, così come pensava che il vero protagonista dei libri di Arthur Conan Doyle fosse il dottor Watson e non Sherlock stesso. Adso è ovviamente un richiamo chiaro e palese a Watson così come Guglielmo da Baskerville era un riferimento preciso a Il mastino dei Baskerville.
Quindi io ho privilegiato Adso e anche la mia simpatia va a lui che, paradossalmente, è il meno caratterizzato dell’intera compagnia. Sia perché si caratterizza da solo con la giovane età – cioè si vede immediatamente che è lui – sia perché ho cercato di farlo evolvere durante la storia proprio per il fatto che Il nome della rosa è anche un romanzo di formazione (ma non solo). Anche se la vicenda dura solo una settimana Adso matura, fa scoperte e volevo che si vedesse sulla sua faccia, perciò non l’ho caratterizzato moltissimo né all’inizio né alla fine proprio per poterlo cambiare nel corso della storia, mentre tutti gli altri restano tali nella settimana in cui si svolge la vicenda.

Rispetto al film di Annaud con Sean Connery, ma anche alla serie Rai, si nota subito una differente visione del medioevo, forse più vicina al libro di Eco: le sue ambientazioni sono meno cupe, meno oscure anche se non rinunciano a qualche tono grottesco. È una scelta voluta e, se sì, qual è il motivo?
Sì, è voluta e d’altra parte obbligata. Ho interpretato il testo di Eco: il fumetto è ovviamente una mia lettura però mi pare sia una lettura abbastanza vicina allo spirito del romanzo. Quindi io ho dimenticato il film proprio perché Annaud ha dato una lettura gotica, intesa come aggettivo e non come periodo storico, ma il libro di Umberto Eco non è gotico così come non lo è l’edificio principale. Lui prende spunto da Castel del Monte che è tutto fuorché gotico, specialmente quando lo si vede inondato di sole, e di sicuro non è paragonabile al castello di Dracula. Però ha un suo enigma che inquieta, è uno scrigno enigmatico ed è questo che ho voluto privilegiare: l’aspetto dell’enigma, del turbamento, non come horror ma come qualcosa di più leggero e al tempo stesso di più profondo.

Eco ha dichiarato che durante la stesura del romanzo ha fatto disegni di labirinti, abbazie e monaci. Ha visto questi schizzi e, in caso affermativo, hanno in qualche modo influenzato l’immaginario visivo che poi è confluito nell’adattamento?
Sì, nell’ultima edizione del romanzo edita da La Nave di Teseo, sono stati pubblicati tutti i suoi schizzi e io sono partito da lì, sia per quanto riguarda il casting sia per tutti gli altri dettagli come ad esempio gli armadi, la disposizione delle stanze eccetera. Per cui credo di averne dato una lettura probabilmente più aderente all’intenzione di Eco. Naturalmente Annaud, quando ha fatto il suo film, aveva a disposizione Umberto Eco in persona quindi avrà potuto confrontarsi, chiedere cose. Io no e quindi non avevo altra scelta che essere più aderente possibile al testo.

il nome della rosa_tav 1E poi Annaud aveva a disposizione Sean Connery, mentre lei ha usato Marlon Brando.
Sì, non tanto perché non avessi Sean Connery a disposizione, perché ce l’avevo come avevo Marlon Brando, ma perché Sean è penetrato talmente con la sua presenza e potenza di attore nell’immaginario collettivo, che probabilmente ognuno di noi quando pensa a Guglielmo da Baskerville vede Connery. Ecco, io non volevo questo. Volevo, almeno per la lettura del mio lavoro, sostituire quest’immaginario, proporne un altro che fosse più aderente alla descrizione di Eco e al suo schizzo di Guglielmo. Quindi dovevo scegliere un altro attore che avesse altrettanto carisma e una sua potenza visiva indipendente dai film che avesse fatto. Inoltre, siccome Eco parla di naso aquilino e di sguardo penetrante, mi è sembrato che Brando fosse ancor più adatto di Connery, anche per una maggior corrispondenza del fisico e del viso, nonostante quest’ultimo fosse scozzese come Guglielmo. Comunque, a parte la corrispondenza, volevo veramente fare una cosa diversa dal film e quindi ho dovuto per necessità proporre un coprotagonista differente ma altrettanto forte, in modo che l’impatto fosse subito chiaro.

È forse necessario spendere qualche parola anche sulla colorazione di Simona Manara, che in certe sequenze appare determinante perché diventa parte della narrazione. Lei, al netto dell’ovvio rapporto di parentela, è soddisfatto del suo lavoro?
Si, anche perché non è stato così semplice. Mia figlia è un architetto, non fa la colorista però è bravissima col computer. Diciamo che la colorazione l’abbiamo fatta insieme ma lei ci ha messo la tecnica e la sua sensibilità. Io ci ho messo la parte narrativa e il risultato è che il colore ha un’importanza molto marcata.
   
La settimana scorsa Il nome della rosa era primo in classifica fra le graphic novel più vendute e nella top ten dei libri più venduti. Secondo lei qual è il motivo per cui queste grandi storie del passato – chiamiamole classici – continuano a esercitare un così forte appeal sul pubblico?
Intanto perché, appunto, questo è un romanzo mondo che contiene tutto. Perciò, nonostante l’allontanamento nel tempo, ci si possono trovare cose che ci fanno bene anche oggi. Credo tratti temi fondamentali ancora oggi, per esempio la povertà. Il dibattito sulla povertà, sul significato della povertà intesa proprio come via alla salvazione e al contrario il dibattito sulla mancanza di povertà, cioè sulla ricchezza, credo sia cruciale ai nostri giorni. Io penso che il problema numero uno di questo mondo sia proprio l’iniquità, la differenza eccessiva, ma veramente eccessiva, fra ricchezza e povertà, fra nazioni ricche e nazioni povere e all’interno della stessa nazione fra individuo e individuo. Trovo sia più che eccessiva, che sia insensata. Questa differenza insensata provoca dolore, un dolore inenarrabile. Pensiamo ai campi profughi dell’Eritrea… adesso io non voglio scomodare le vere tragedie ma dico che la povertà è un tema di un’attualità cruciale.

Un paio di domande più generali: cosa pensa del ruolo delle intelligenze artificiali nel settore creativo e artistico?il nome della rosa_tav 2
È una bella domanda (ride), perché non so cosa pensarne a dir la verità, nel senso che sono favorevole al progresso tecnologico e ovviamente il pericolo di questo progresso tecnologico, cioè nella fattispecie dell’IA, è di consegnarci, di arrenderci, noi popolo, noi umani, a questa intelligenza artificiale che possiamo immaginare, in proiezione, possa veramente sostituirci. Quindi da una parte c’è il timore, dall’altra l’ammirazione per i prodigi della tecnica.

Come valuta il clima di falso perbenismo – per non dire ipocrisia – che in qualche modo cerca di rendere scabroso l’erotismo e la sensualità?
Ah, questo è un problema antico, veramente antico! Ma non antico fino ad arrivare al medioevo, perché lì l’impressione è che sul piano dell’immagine fossero molto più liberi di noi. Adesso per esempio l’editore ha avuto un’offerta dalla Cina per il fumetto Il nome della rosa, però chiedono di censurare le ultime due pagine (che contengono alcuni nudi femminili ndr). Io mi rendo conto che una cosa è leggere e una cosa è vedere… c’è quella specie di proverbio che dice “un’immagine vale più di mille parole”. Effettivamente l’immagine ha un impatto emotivamente più forte della parola scritta però ho rispettato il testo e comunque ci saranno senza dubbio delle nazioni che rifiuteranno in tronco il libro, alcune che richiederanno una censura ma io penso sia veramente l’ipocrisia.  Anche parlando con un credente, Dio ci ha creato nudi (ride) e non capisco lo scandalo della nudità. Non lo riesco a capire, non mi va giù non solo questa cosa della nudità, ma anche dell’erotismo. Posso capire il sesso, cioè nascondere l’atto sessuale… ora, gli animali non lo fanno ma diciamo che in quel momento si è in uno stato di obiettiva debolezza per cui magari posso capire che ancestralmente ci sia il desiderio di nascondersi, di non essere in pubblico. Ma l’erotismo è un’altra cosa rispetto all’atto sessuale. L’erotismo è l’elaborazione intellettuale, culturale, del sesso. Non è sesso. L’erotismo può essere anche in uno sguardo, non implica la copula. E anzi io credo di non avere mai disegnato delle copule se non su testi di altri, per esempio sui Borgia, ma il testo era di Jodorowsky. Non mi interessa proprio mostrare l’atto, ma l’erotismo fa parte della nostra vita ed è una parte molto importante. Anche io mi stupisco che non abbia altrettanta importanza nella narrativa o nel cinema mentre – è il solito discorso – la violenza ha libera cittadinanza. Anzi, tutto o quasi – narrativa, cinema, eccetera – si basa sulla violenza: ci deve essere almeno un cadavere morto per morte violenza, ma l’erotismo invece no. Questo davvero non lo capisco. Quando ho cominciato a fare delle storielle erotiche su commissione avevo trent’anni e quelli che conoscevo io avevano e davano, nella propria vita, un’importanza del settanta per cento all’erotismo, ai rapporti erotici. Quindi pensavo che se io avessi messo, non so, il settanta o il sessanta per cento di erotismo nelle mie storie, sarei stato in linea con la realtà. Invece no: dovrei mettere il novanta per cento di violenza perché, invece, viviamo in una realtà virtuale della letteratura, del cinema e via dicendo, che ci obbliga a vedere centinaia di morti ogni giorno e francamente questo non lo capisco perché in realtà non vediamo morti ammazzati in ogni momento, per fortuna. Io ne ho visto uno, in passato, e ancora me lo ricordo…

il nome della rosa_tav 3Umberto Eco apprezzava molto il suo lavoro di fumettista: qual è stato il suo rapporto con lui quando era ancora in vita?
Abbiamo avuto rapporti molto sporadici e temporanei in occasione di qualche cena, di qualche convitto. Mi ricordo particolarmente che la figlia, Carlotta, aveva chiesto all’allora direttrice di Linus Fulvia Serra di avere un mio disegno, una mia striscia di Giuseppe Bergman e io gliel’avevo regalata. C’era dell’erotismo dentro. Stupidamente non ho chiesto l’età della ragazza, la quale evidentemente era troppo giovane. Per cui al mio successivo incontro con Umberto Eco, lui mi aveva ricordato di aver regalato quella striscia a sua figlia, con un’aria un po’ di rimprovero…

Torniamo, per chiudere, a Il nome della rosa. Una delle due citazioni iniziali è proprio di Eco che sostiene di leggere Engels per rilassarsi e Corto Maltese per impegnarsi. Lei cosa legge per rilassarsi e cosa per impegnarsi?
Io sono un lettore piuttosto onnivoro ma certamente il fumetto non è così rilassante, non tutto almeno. Il fumetto ormai non è più un genere narrativo, è una forma narrativa che contiene o può contenere tutti i generi. Quindi bisogna vedere che fumetto è: ce ne sono alcuni rilassanti e alcuni impegnativi. Certamente, per restare su Corto Maltese, è impegnativo, oltre che rilassante. È diventato via via più impegnativo perché Hugo Pratt ha arricchito questo personaggio di spessore culturale e le sue non erano più solamente avventure nei mari del sud ma viaggi nella storia, nella filosofia, nella religione. Lui è sempre interessato all’incontro di civiltà differenti e anche le storie che ha fatto per me erano basate su questo. Un’altra delle sue caratteristiche era per esempio quella di non piazzare tutto il male da una parte e tutto il bene dall’altra: nelle storie ambientate durante la Seconda guerra mondiale ci sono dei tedeschi buonissimi. Ci sono anche i tedeschi carogna, i nazisti, ma ce ne sono alcuni molto affascinanti già in Una ballata del mare salato e sempre di più nell’evoluzione. Questo è già qualcosa di impegnativo e invece quasi tutti i film sul nazismo li dipingono solo come spietati assassini, cosa che ovviamente non è inventata ma, vivaddio, non tutti erano così!

Grazie per il suo tempo, maestro!


Intervista realizzata dal vivo il 20 maggio 2023 al Salone del Libro di Torino

Milo Manara

Milo_ManaraMilo Manara è uno dei Maestri del fumetto a livello internazionale. La sua consacrazione avviene a metà degli anni ’70 con Lo Scimmiotto (sceneggiatura di Silverio Pisu), H.P. e Giuseppe Bergman, L’uomo delle nevi (sceneggiatura di Alfredo Castelli) e la seconda puntata di Bergman. Seguono L’uomo di carta e Tutto ricominciò con un’estate indiana, che segna la prima collaborazione con Hugo Pratt. Con Il Gioco la produzione di Manara si orienta verso l’erotismo tout court, come confermano i successivi Il profumo dell’invisibile e Candid Camera. Nello stesso periodo, da un soggetto di Federico Fellini, Manara adatta Viaggio a Tulum. Gli anni ’90 vedono la pubblicazione di El Gaucho (testi di Pratt), Il Gioco 2 e Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet, sempre con Fellini. Nel nuovo millennio escono Tre ragazze nella rete, Fuga da Piranesi e 46, di cui è protagonista Valentino Rossi. Manara ha collaborato anche con alcuni prestigiosi sceneggiatori a livello internazionale: Jodorowsky (I Borgia), Gaiman (The Sandman: Endless Nights) e Claremont (X-Men: Ragazze in fuga). La sua ultima opera è Caravaggio, graphic novel biografica sul pittore italiano, edita da Panini Comics e raccolta in un unico volume nel 2021.

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