The Midnighter: la mezzanotte di Garth Ennis (seconda parte)

The Midnighter: la mezzanotte di Garth Ennis (seconda parte)

The Midnighter e Garth Ennis: una accoppiata sulla carta perfetta. Ma è andata veramente liscia come poteva essere prevedibile?

Nella prima parte dell’approfondimento abbiamo approfondito la conoscenza di Midnighter. In questa seconda parte analizziamo l’incontro tra il personaggio e Garth Ennis.

Breve parentesi sul mantra nel pianeta Terra, nel pianeta Authority e nel pianeta Ennis

Credo che per esemplificare l’idea di mantra non ci sia nulla di più efficace che la lavatrice, con il suo cestello che gira tutto il giorno e con la sua rotella che lo segue a scatti fino alla posizione di partenza.
Una parola che ci avvicina molto di più al concetto è “routine”, dal francese “route”, che sta per “strada” e che a sua volta viene dal latino “rupta”, spesso associato a “via”. La via rupta era la “strada battuta”, e quindi conosciuta.

Ai giorni nostri, sul pianeta Terra, in occidente, la routine, spesso indicata con accezione negativa, è la quotidianità; tanto simile a se stessa da divenire intollerabile. In realtà, la routine, insieme al rosario e ai mantra esotici che ci arrivano per lo più attraverso un certo, non meglio qualificato, buddismo, costringendoci alla ripetizione immotivata della stessa impronunciabile parola dall’oscuro significato, è un espediente utile, utilissimo a ripulire la mente da stress e scorie emotive; soprassedendo sull’uso che ne viene fatto da religioni, sette e comunità di ogni specie, possiamo candidamente affermare che il mantra, qualunque sia la sua configurazione, consiste del solo principio di ripetizione.

Vale la pena affrontare il discorso perché se sul pianeta Terra hanno rappresentato da sempre l’alternativa alle droghe, sui fumetti, dove l’uomo comune ha poco spazio, s’è dovuto attendere un po’ prima di avere a che fare con eroi “nevrotici”.

Non credo che Garth Ennis sia estraneo alla cosa, direi piuttosto che il personaggio di Cassidy in Preacher, costretto a seguire con attenzione, per ovvie ragioni, i cicli del sole e della luna, di luce e oscurità, conduce una vita fortemente vincolata da un paio di routine. Ma non solo, la sua secolare dipendenza dall’eroina e dai suoi ulteriori cicli, nonché dai cicli della “sete”, ne fanno uno dei più notevoli nevrotici del fumetto moderno. Ma, con Garth Ennis, non siamo mai nel mondo degli eroi, tutt’altro. È piuttosto chiaro che l’autore nordirlandese abbia sposato la causa dell’anti-eroe finché morte non li separi.

Eppure, The Midnighter, per quanto Ellis ami mischiare le carte, rappresentando un universo preda di una morale brulicante di intoppi e malintesi e di equivoci che si fanno punti fermi per cause di forza maggiore, è decisamente un supereroe. Ed è dannatamente nevrotico. Eccolo, l’anello di congiunzione “Ellis-Ennis”, lo sceneggiatore di Holywood lo sottolinea subito: sul Carrier è preda della noia, gira per i corridoi come un neopensionato col vizio della sveglia e del fare, in costante attesa che qualcosa accada. E se non accade? Questa è la prima interessante domanda a cui risponde lo spin-off di Garth Ennis. Se non accade nulla, The Midnighter, unico tra tutti, cosa fa?

Così, Mr. Ennis riassume mirabilmente la “vita fuori dal ruolo” del personaggio, quella, si può dire, “emotiva”,  in tre esemplari baloon introduttivi. I primi tre passi per uscire dal limbo patetico di una solitudine isterica evitabile solo nel “lavoro”, per quanto terribile e doloroso possa essere.

Fatto questo, affida il personaggio nelle “sicure” mani di un vecchio espediente narrativo e lo abbandona letteralmente a una deriva tanto giullaresca quanto involontaria, per poi restituirgli il “controllo” appena in tempo per una chiosa che, elegante ma banale, riporta Midnighter al punto di partenza (vi ricordate la lavatrice?).

Da The Midnighter: Killing Machine n. 5 p. 22. © DC Comics/WildStorm Productions. Trad. it: “Non sono un padre.” “Non sono un amico.” “Sono quello per cui sono stato addestrato.” “E qui sta il problema”.

In favore di Garth Ennis

Su Wikipedia, nota per avere il dono della sintesi, alla voce Garth Ennis leggiamo, tra le altre cose:

“Le sue opere sono caratterizzate da violenza estrema, umorismo nero e volgarità (in maniera simile a Quentin Tarantino), ma anche da un interesse nell’amicizia maschile e uno sdegno divertito verso le religioni organizzate”.1

Benché sia praticamente d’accordo su tutto fuorché il paragone con Tarantino e l’uso del termine “volgarità”, mi pare una definizione manchevole degli aspetti più rilevanti.

Le storie di Ennis, pur essendo violente, per via di un linguaggio genuinamente esplicito, e pur sguazzando spesso e volentieri (di questo lo ringraziamo) nel politicamente scorretto, sono estremamente divertenti. Se non bastasse, la “pappa” risultante dai contrasti tra ultraviolenza e patetismo, romanticismo e splatter, ha tutti gli ingranaggi ben oliati ed è in grado di restituire il senso di una storia in un imprevedibile pasticcio di “sapori” che, a dispetto dei contenuti, sa sempre di vita vera.

Epiteto in vece di nome

Come già accennato altrove, il Punitore è un personaggio cardine nell’evoluzione del “supereroe” americano.

Questo perché si affida a un’etica strangolata dal giustizialismo lasciandosi alle spalle le ragioni di una democrazia di cui non vede ormai altro che la facciata istituzionale. E perché il suo nome e il suo cognome si perdono fin da subito tra le pieghe di un passato rimosso che, quando non riaffiora per un capriccio di sceneggiatura, è schiacciato da una denominazione che non afferma la sua esistenza all’interno di una società civilizzata e la sua appartenenza a una famiglia, a una stirpe di uomini legati da una linea di sangue, quanto piuttosto ciò che lui semplicemente fa. Come dire, e lui lo dice spesso, che Frank Castle non esiste più. Esiste solo il Punitore.

Questo stesso identico atteggiamento nei confronti del principio d’identità – non più cogito ma facio ergo sum – lo ritroviamo in Kill Bill di Quentin Tarantino, pellicola che condivide con il Punitore, oltre a – finalmente in maniera esplicita – l’idea del “ciò che faccio è ciò che sono” attraverso il grottesco espediente della rima (Kill Bill, Buck Fuck, ecc…),  il movente dei moventi: la vendetta!

The Midnighter però, un passo avanti ai suoi predecessori, è senza nome e senza movente.

La cosa ci riporta al genere western, a tempi in cui l’epica aveva la meglio sull’etica e la giustizia era un fatto personale. Sì, sembra che all’orizzonte s’intraveda Ennis, eppure nella vita dello spietato Mezzanottiere c’è spazio per la riservatezza, l’amore, persino l’imbarazzo. Ennis era un miraggio?

Sembra non esserci fine alla complessità di cui Warren Ellis prima, e, soprattutto, Mark Millar dopo, “vestono” il personaggio. In particolare, è proprio Millar a incardinare le sue macchine narrative sui temi e nei modi di cui, a modo suo, avrebbe volentieri fatto uso il vecchio Garth. Pensiamo al suo primo arco narrativo, pensiamo a The Nativity (in Italia Nuova gestione), pensiamo al modo in cui Midnighter convince il suo carnefice  (un soldato superpotenziato, più simile a un robot che a un uomo) che sta combattendo dalla parte sbagliata, pensiamo al goffo, rigido, penoso abbraccio fra i due, e tutto ciò mentre il compagno di Midnighter, Apollo, viene brutalizzato sul cofano di una macchina da altri due o tre cybersoldati.

Da The Authority n. 14 p. 21. © DC Comics/WildStorm Productions. Trad. it: “Dovremmo uccidere questa feccia militarista, non legare con loro. Fallo fuori”. “Perché disturbarsi? È già a pezzi”.

Non vi sembra di vederlo, il vecchio Garth con una birra in mano, che dice: “Ehi, quella è roba mia!”, mentre corre con la mente alle incredibili, enormi, materne poppe del Russo di Senza limiti?

Midnighter vs Garth Ennis

A questo punto, dopo aver trattato in lungo e in largo il personaggio, bisognerebbe fare altrettanto con Garth Ennis e concludere col parlare degli esiti di questo suo incontro col Mezzanottiere

Chi conosce lo sceneggiatore irlandese e le sue opere avrà certamente storto il naso al pensiero che il suo immaginario – intriso di “assoluti” impermeabili e granitici quali onore, tradizione, amicizia virile e lealtà, nonché di personaggi bislacchi sempre in bilico tra lo splatter divertito e il patetico deprimente – stesse per entrare in rotta di collisione col mondo sci-fi e a modo suo supereroistico di The Authority. Eppure, Midnighter è il più “ennisiano” dei membri di Authority.

È un solitario, ma, a dispetto della natura romantica del suo personaggio, è anche uno spietato calcolatore. Midnighter condivide con Jesse Custer di Preacher la natura di un potere che è la quintessenza dell’ineluttabilità, il pragma personificato (l’altro volto del “verbo”), ma è tormentato dalla questione dell’essere, non importa se si tratti del “cosa” o del “come”. Tutti elementi incastrati da Ellis con tale maniacale precisione da costruire un personaggio a orologeria. Un reattore a propulsione che pare sempre sul punto di esplodere (come molti personaggi di Ennis).

Ma la storia narrata in quest’occasione dall’irlandese, malgrado una cornice che ci aveva intelligentemente presentato il lato compulsivo del mezzanottiere – dopo aver persino trovato il modo di far fuori il suo potere manipolando l’unica altra “bolla” spaziotemporale presente nell’universo di The Authority: la porta spaziotempo del Carrier – non va oltre alla compilazione di un compito da scuola di scrittura crerativa.

Ennis nella prigione di Ellis

I personaggi di Garth Ennis, o quelli su cui arriva a mettere le mani, hanno tutti una caratteristica in comune, una caratteristica che immagino condividano con l’autore stesso, questo spiegherebbe la coincidenza. Tutti, nessuno escluso, sono “anti-eroi”, e tutti sono “autarchici”. Persino il Mezzanottiere lo sarebbe sempre, nelle mani di Ennis. Prova a esserlo in Macchina per uccidere, dico prova a esserlo perché per buona parte della storia è alla mercé di qualcosa o di qualcuno, eterodiretto, come sempre. Per quanto suoni pretestuoso e cerebrale, azzarderei, alla luce di quanto detto finora, che Ennis, volente o nolente, cosciente o no, metta, in quest’opera malfatta, dell’autobiografismo. Come fosse lui, l’eroe imbrigliato dalle leggi di The Authority.

Nella fattispecie, se da una parte abbiamo Midnighter, eroe indipendente, incapace di trascorrere del tempo senza mettere in moto la sua insita “macchina per uccidere”, che quasi di nascosto punta il dito sull’Afganistan sussurrando “porta” al Carrier, giusto perché non ha altro da fare o non sa fare altro – ivi incluso il semplice “attendere” –, dall’altra abbiamo Garth Ennis, imbrigliato nel dispositivo “ellisiano” chiamato The Authority. Il funzionamento di tale dispositivo è semplice come un avviso sull’aereo: prima di agire, attendere che il mondo gridi aiuto.

Ora, immaginate il Punitore di Senza limiti invischiato in un simile pantano di frustrazione, o magari Custer o Cassidy o John Costantine. Non è facile. Non deve esserlo stato neppure per Mark Millar, che non per niente esordisce con una storia che vede il suo acme nell’umiliazione degli eroi e apre alla catarsi nel finale, il tutto opportunamente confezionato in modo che l’epos finga di non prendersi sul serio, per carità!

Eppure, i cazzotti di Millar arrivano e fanno male, quelli di Ennis, invece, non ci sono o sanno di stanco.

Lettera aperta a Garth Ennis

Mr. Ennis, ho scritto da qualche parte in questo breve saggio che i motivi del passo falso da lei compiuto con Macchina per uccidere, primo spin-off dedicato a The Midnighter, sarebbero da addebitarsi alla (provvidenziale) “sfrontatezza” con cui Mark Millar nei cicli di The Authority da lui scritti “abusa” di strumenti e suggestioni che caratterizzano da molto tempo la sua opera, e che, sentitosi defraudato, lei abbia agito d’impulso recuperando un cliché abusato e arrugginito per creare il più straordinario, inutile “Frankenstein” nella storia dei congegni narrativi. Un meta-what if, in cui l’ideatore del congegno stesso, quindi lei sotto mentite spoglie, viene sconfitto da Midnighter, impedendo a se stesso, tramite l’eroe, di raccontarci cosa sarebbe successo al mondo se Hitler fosse morto prima di fare ciò che ha fatto. Non dubito che sia questo il grottesco mostro che ci si aspettava da lei. Crede che ci sia qualcosa di ragionevole in quello che ho scritto, o sono tutte idiozie?

Se qualcosa di ragionevole c’è, la richiesta è: ci faccia pervenire la marca dello scotch che s’è scolato durante l’ideazione di Macchina per uccidere.

Un ultimo suggerimento per coloro che un what if  sull’argomento se lo scolerebbero volentieri: procuratevi il sempreverde La svastica sul sole di Philip K. Dick. Il tema è lo stesso, gli esiti, fortunatamente, no.


  1. Wikipedia – l’enciclopedia libera, «Wikipedia» alla voce Garth Ennis

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