“Questo tetto tranquillo1 ove colombe camminano
tra i pini palpita, tra le tombe;
giusto, il meriggio un mare
gli compone di fiamma, il mare eterno è sempre a sé rinato…
In alto immobile meriggio,
il meriggio in se stesso si pensa e si conclude”.2“Che ore sono?
Mezzanotte.
Mezzanotte di ieri o di domani?
…
Perché oggi, soltanto oggi, domani è domani.
E il domani, domani, sarà quello che oggi è dopodomani e che dopodomani è ieri […]”3
Premessa
The Midnighter e Garth Ennis…
Prima di arrivare all’incontro tra queste due “personalità” sarà bene darsi da fare per aver chiaro di chi o cosa stiamo parlando quando nominiamo The Midnighter. In primo luogo perché si tratta di un personaggio relativamente giovane e poi perché, fortuna vuole, senza dover aspettare tanto si apre a noi come la porta blindata di un caveau, e dà subito di sé una gran quantità di notizie. Oscuro, senza nome, ma con un epiteto che ne tradisce le inclinazioni.
Elegante, un po’ retrò, ha uno stemma, un compagno, poche vere armi ed è virtualmente invincibile. La prima domanda da porsi davanti a un supereroe postmoderno come The Midnighter, riguarda la direzione in cui sia possibile indagare per arrivare al “nocciolo” dell’eroe e dell’uomo dietro la maschera. Quindi si tenterà una ricostruzione a partire dal suo immaginario strutturale (quello che lo sorregge), per poi confrontarsi con gli autori che più ne hanno o ne stanno delineando “abito” e personalità.
Iniziamo col dire che uomo/maschera è una dicotomia vecchia del cui approfondimento, fatto di nozioni ormai metabolizzate, faremo opportunamente a meno. Perché, “curiosamente”, il nostro non verrà “smascherato” così in fretta, e perché l’“ecosistema” Authority (il supergruppo creato da Warren Ellis e Brian Hitch di cui Midnighter fa parte) ci proietta decisamente oltre certe vecchie questioni. D’altra parte, non ci esimeremo certo dal rispondere in maniera per quanto possibile esaustiva alla domanda delle domande, quella la cui risposta di Edipo costrinse la terribile sfinge di Tebe a gettarsi nell’orrido.
Chi sei (Midnighter)?
Un singolo, interminabile istante di guerra
Tradotto letteralmente, il nome The Midnighter suonerebbe più o meno come “il Mezzanottaro” o “il Mezzanottiere”, è solo una questione di suffissi. Ma cos’è, davvero, un “Mezzanottiere”?
Secondo lo scrittore americano Scott Westerfeld, pubblicato in Italia da Newton Compton e autore della trilogia The Midnighters4, si tratta di uomini capaci di vivere l’ora segreta o “ora blu”, una specie di venticinquesima ora nascosta nell’istante esatto in cui scocca la mezzanotte.
Benché i personaggi di Westerfeld abbiano poco a che spartire con la creatura di Warren Ellis, entrambi gli autori sembrano attribuire alla mezzanotte una collocazione “magica” nel continuum spaziotemporale.
Considerato come diaframma tra universi paralleli, come vera e propria porta dimensionale, la Mezzanotte spalanca la sua bocca a chi non teme il salto nel buio e inscrive il personaggio nel solco di ogni epica del “passaggio” o della “transizione” attraverso diaframmi o portali “magici” (vedi Alice), il dormiveglia o lo specchio, così come i miti di “soglia” (Peter Pan, che non osa varcare l’infanzia), ecc. Ma, come dicevamo, siamo andati oltre: il Mezzanottiere, col suo pesante carico mitico, con un portato immaginifico che si allarga alla filosofia e all’Arte, è solo il brano di una maglia più articolata e complessa.
Sappiamo da Jean Chevalier che la Mezzanotte e il Mezzogiorno sono i punti di massima intensità dello yin e dello yang, poiché in essi hanno origine i movimenti ascendenti dei principi opposti. In Cina, la mezzanotte del solstizio d’inverno è l’istante più propizio per la concezione (“In occidente il Cristo è nato nel medesimo solstizio e a mezzanotte…”5 ).
Dunque, Mezzanotte e Mezzogiorno sono due facce di una stessa medaglia e, in quanto tali, a esse appartengono la “complementarietà” e “l’antagonismo” in senso meccanico, cosicché la Mezzaluna che Midnighter porta sul petto simboleggia il principio femminile e con esso la sua proprietà acquatica e passiva. Si pensi al suo rapporto omosessuale con Apollo/sole/fuoco/giorno/attivo.
Nell’islam, la mezzaluna è sia aperta che chiusa, una forma in espansione e insieme in concentrazione. Il segno della mezzaluna proprio quando sembra chiudersi su se stesso si ferma e lascia intravedere un’apertura. Ne deduciamo che la sua implosione si spalanchi, in un ultimo istante rubato alla Morte, a una nuova dimensione.
È questo che fa di Midnighter il combattente perfetto, l’indistruttibile Killing Machine che dà il titolo agli spin-off a lui dedicati e inaugurati da Garth Ennis. La questione più volte citata dell’addestramento di Midnighter fa il paio con l’aggiornato war-cry o, se preferite, lo slogan (in senso etimologico) con cui a un tempo dà sfogo al suo fisiologico narcisismo e offre al nemico il dono della paura:
“So quali mosse ti stai preparando a compiere. Ho già affrontato il nostro scontro in un milione di modi diversi, nella mia mente. Posso colpirti prima che tu te ne renda minimamente conto. Io sono ciò che ogni soldato sogna di diventare. Io sono quello che i bambini vedono quando pensano per la prima volta alla morte. Io sono Midnighter”.6
Dove abbia trovato il tempo di “figurarsi” quel combattimento un milione di volte non è più un mistero. È accaduto in quell’istante infinito, in quella crepa nel tempo che solo lui sa aprire. In quella dimensione che i Midnighters di Scott Westerfeld chiamano “the blue hour”. Per loro è magia; per lui, biotecnologia, addestramento, esperienza; per la vittima/avversario, un labirinto senza uscite.
Lunare come onirico, metafisico
Nella storia dell’arte, gli esempi di autori interessati alla rappresentazione di momenti di “passaggio”, come luoghi della doppiezza, dell’ambiguo, della compresenza di bene e male, di maschile e femminile, del dormiveglia e del sogno, non sono pochi.
Così come la mezzanotte prevede già a livello simbolico una fenditura che conduce oltre il consueto continuum spazio-tempo, sulla scorta della sua “fisiologica” ambiguità (ricordate Achille Campanile, “Mezzanotte di ieri o di domani?”), allo stesso bizzarro, ambiguo “luogo” in cui luce e oscurità si fondono l’una nell’altra inducendo suggestioni mistiche pare condurre la pittura del “romantico” Caspar David Friedrich, tanto carica di soli discendenti e di lune alte da dar l’impressione di voler raccontare, in quanto a rappresentatività del divino, la vittoria del “lunare” sul “solare”. E di volerlo fare “fotografando” la natura nel momento, per così dire, del “cambio della guardia”, quando il sole cede il posto alla luna e la luce, più che mai ambigua, brilla di sfumature argentee introducendo le tenebre.
Anche Friedrich7, in altre parole, nota, e fissa come sa, un altro istante/transizione; quello che, non per convenzione ma per tutta evidenza, sancisce il passaggio dal giorno alla notte, dalla luce al buio, dal regno del sole a quello della luna. Da quello di Apollo a quello del Mezzanottiere.
È il dormiveglia, l’ultimo istante di realtà prima del sogno o forse un interregno tra le due dimensioni. L’infinito istante mentale di Midnighter. La “blue hour” del Mezzanottiere a fumetti non c’è ancora stata mostrata, non dall’interno, ma uno sguardo ai paesaggi spogli e tetri di Fredrich o a quelli algidi e metafisici di De Chirico sembrano dire molto sulla maniera in cui l’anima di un eroe come Midnighter possa vivere quell’attimo.
Le piazze d’Italia di Giorgio De Chirico, nonostante le loro architetture e le statue e i cieli, hanno tutta l’aria di essere luoghi chiusi, in qualche modo falsi, messe in scena, set cinematografici, finzioni, artifici mentali, paesaggi dello spirito. In una delle “piazze” in particolare, l’eroe classico, intrappolato nelle architetture, sembra anticipare una certa fibrillante, nevrotica postmodernità. Un disagio da cui Midnighter non è esente.
La prigione dell’eroe, in quanto appartenente a un paesaggio mentale, aprirebbe necessariamente una questione etica dando luogo a scenari diversi, uno dei quali potrebbe candidamente replicare porzioni dell’universo Authority. Come dire che qualunque immagine rubata all’interno del Carrier8, tra i suoi infiniti corridoi e gli sconfinati saloni, è sovrapponibile a una qualunque “piazza d’Italia”.
Di certo sarebbero perfette rappresentazioni di quel vuoto del “fare”, che, malanno tipico della nostra epoca fatta di continue corse all’oro, finisce per affliggere, ancor più dell’uomo comune, il superuomo, gravato da responsabilità infinitamente più grandi. Siamo qui nel cuore del cinico congegno di Warren Ellis.
Mancava un semplice passo affinché The Authority avesse tutte le carte in regola per essere la serie più drammatica, politically uncorrect, ma anche vezzosa e nevrotica fino al “glamourous”, ed era rilanciare, alzare il tiro, far scontrare i nuovi “dèi” su scala globale, non più limitandosi a prendere atto di un pericolo planetario per poi porvi rimedio all’ultimo momento, ma assistendo a milioni di morti nel tentativo di contenere “crisi” capaci di coinvolgere allo stesso tempo le maggiori potenze mondiali mettendole in ginocchio in poche ore.
Lo spazio di Batman, il tempo di Midnighter
A dimostrazione del fatto che la questione delle “soglie”, e quindi l’introduzione del concetto di spazio-tempo quale tessuto stesso di ogni “storia”, è una conseguenza della necessità di riproporre il supereroismo su tutti i fronti, dalla gestione del singolo (vedi Midnigher) a quella del gruppo (vedi il Carrier), basta osservare come il “prototipo Batman” progredisce in Midnighter: ciò che Batman fa nello “spazio”, Midnighter fa nel “tempo”.
La città che l’eroe dalla labrys sul petto domina con la familiarità del minotauro, la mappa, anzi, di questa città; il “labirinto” ha lasciato spazio al tempo. L’animale totemico che prestava all’eroe la vi(s)ta notturna non c’è più. Gli eroi della nuova generazione relegano i riferimenti a miti classici e/o generativi a segni stilizzati e portano alle estreme conseguenze quel percorso di liberazione che, con Il cavaliere oscuro di Frank Miller o con la prima apparizione del Punitore, ha inizio.
Si tratta della “liberazione” del personaggio dalla inevitabile schiavitù a cui autori, avvinti da menti troppo strutturate, li avevano costretti.
Bandita l’era della poetica si opera lo sviluppo di un’estetica che valga per tutto. E laddove vige la supremazia dell’estetica capita che l’etica venga rimossa. Gli eroi come Midnighter hanno le proprietà degli oggetti, si muovono se sottoposti a sollecitazioni esterne. Ma, d’altra parte, non appartengono più al mondo terreno, si sono innalzati al di sopra di esso, non per dominare, ma per vegliare simili ai Golem, come divinità a cottimo. Ha perso d’importanza la questione delle origini, non c’è più movente se non qualcosa di molto simile a un programma, una carica a molla che va innescata da qualcun altro.
Così, l’ellitticità della ronda che ben “racchiude” ruolo e capacità del pipistrello/labrys di Batman si traduce, qui, in un cerchio che è l’unità ciclica del tempo. Quella stessa breve, brevissima unità di tempo che Midnighter controlla al punto da conoscere i dettagli di ciò che vi accadrà, qualche istante prima che accada. Proviamo a immaginare un combattimento di Batman: il cavaliere oscuro è in movimento, poi si ferma, si nasconde per prendere tempo e organizzare agguati. Non può fare altro che muoversi nello spazio e nel tempo subendoli come qualunque essere umano. Lo stesso combattimento Midnighter lo condurrebbe nell’immobilità (a guardare il suo avversario, permettendosi la spacconata di spiegargli perché non ha scampo) e nell’istantaneo previsto, chirurgico, asettico, inumano agire.
Due volte.
In realtà, al Mezzanottiere basta il primo infinitesimale istante, ecco il senso della Mezzanotte, della bolla temporale; è all’interno di quella bolla che il Mezzanottiere può combattere un milione di volte il combattimento che deve ancora aver luogo.
In pieno accordo con i postumani di Authority, equipaggiati di abilità sovrannaturali che mescolano spesso tecnologia e magia, il potere di Midnighter è a un passo dalla “divinazione”. Non è dunque un azzardo affermare che, se Batman lotta nello spazio e contro il tempo, Midnighter lo fa nel tempo e in armonia con lo spazio, secondo precetti e prescrizioni che hanno tanto il sapore della disciplina militare e della spietatezza occidentale quanto quello panteista e del sacrificio “orientale”.
Il primo Sherlock Holmes diretto da Guy Ritchie ha il pregio di mostrare una convincente trasposizione cinematografica del modo in cui i combattimenti del Mezzanottiere hanno luogo. Nella pellicola, la vasta cultura di Holmes e la sua proverbiale acutezza lo rendono capace, davanti a un avversario, di eseguire un primo, “interlocutorio” combattimento mentale, e di ripeterlo, saggiatane l’efficacia, tale e quale, un attimo dopo.
La questione del ruolo
Quando si parla di Authority e dei suoi componenti, ecco due temi emergere ad ogni pié sospinto: vuoto esistenziale e onnicomprensività del ruolo. Gli eroi di The Authority non hanno alternativa. Hanno rinunciato a un’identità “civile” e integrata in favore di un ruolo a tempo pieno. Ma cosa accade loro negli intervalli tra una missione e l’altra? Può un superuomo, datosi alla causa della giustizia, gestire i “vuoti del fare e quindi dell’essere” in maniera non nevrotica?
La faccenda non è nuova neanche un po’, gli anni Ottanta hanno visto più di un film sull’argomento, basta pensare al soldato John Rambo in ritorno dalla guerra del Vietnam, alla sua alienazione, ai suoi tic, a come solo la guerra paia ogni volta riabilitarlo. Quanti autori hanno saccheggiato quel “profilo psicologico” per infilarci, come in un sacco di iuta, le personalità dei loro personaggi? Se si schivano per un attimo le estremizzazioni a fumetti, ci rendiamo immediatamente conto che quella, nota alle cronache come “stakanovismo”, è una vera e propria sindrome, la risposta “violenta” a un disagio esistenziale. Quanti poliziotti rispondono a questo profilo nei film americani? Sono gli irriducibili, i Callaghan, i fanatici i della legge, i paladini della giustizia.
Sono passati i tempi in cui il superuomo era una persona con una vita normale che entrava in azione non appena avuta la notizia di un imminente disastro. Ai nuovi eroi prudono le mani e, per rispondere alla prima domanda… Niente! Tra una “missione” e l’altra, i nuovi eroi non fanno niente, restano in perenne attesa, in perenne ascolto. Sono macchine. Cosa fa una lavatrice tra il risciacquo e la centrifuga? Non si fuma una sigaretta! Ma solo perché ha un programma da seguire, e un mantra infallibile a cui aggrapparsi: la rotella numerata che si muove a scatti fino alla posizione 1 da cui era partita.
Nella seconda parte analizzeremo l’approccio di Garth Ennis a Midnighter.
L’autore si riferisce al mezzogiorno. ↩
Paul Valery, Le Cimetière marin, Einaudi, Torino 1995. ↩
Estratto da Centocinquanta la gallina canta di Achille Campanile, in L’inventore del cavallo e altre quindici commedie, 1924-1939, Einaudi, Torino 1971 [1924]. ↩
in Italia pubblicata da Newton Compton Editori con il titolo I diari della mezzanotte. ↩
Jean Chevalier, Alein Gheerbrant, Dizionario dei simboli, rcs Rizzoli libri, Milano 1986. ↩
[Dove non altrimenti indicato, traduzione italiana a cura dell’autore.] ↩
Quando Caspar David Friedrich compone il primo dipinto di ambiente polare, per lui una drammatica espressione del divino, siamo nel 1822, e lo fa in polemica con la tradizione pittorica dei paesaggisti che guardano per ispirazione all’Italia, paese dove, infatti, pur invitato, non vorrà mai andare. Nel 1830, comporrà Il tempio di Giunone ad Agrigento, tratto da una riproduzione dal Voyage pitoresque en Sicile di Carl Frommel, modificando a bella posta la solare immagine classica in un tramonto dove la luna, la dottrina cristiana, sorge sulle rovine avvolte dall’ombra del tempio pagano. Come si arguisce facilmente, un motivo di interesse ulteriore per la pittura di Friedrich è l’idea tutta sua di associare alla luce “a cavallo” un spiritualità evoluta e complessa, al contrario di quanto avveniva prima con le luci forti e diurne a cui il pittore associa il paganesimo. ↩
È il quartier generale di Authority, un’enorme astronave vivente che può spostarsi fra le dimensioni. N.d.C.] ↩