La manualistica sulla scrittura del fumetto vanta diversi titoli di autori stranieri (da Stan Lee ad Alan Moore, da Peter David a Brian Michael Bendis), e altrettanti di sceneggiatori italiani. Vale la pena ricordare come, dopo il pionieristico Come si diventa autore di fumetti di Alfredo Castelli e Gianni Bono (1983), siano stati pubblicati più di recente Pensare il fumetto di Bruno Concina (1999), Scrivere fumetti di Diego Cajelli (2001), Per scrivere fumetti di Tito Faraci con Davide Barzi (2004), L’arte della sceneggiatura di Laura Scarpa (a cura di – 2006), Lezioni spirituali per giovani fumettari di Emiliano Mammuccari (2011), Professione sceneggiatore di Sergio Badino (2012) , Fumetto Disney: manuale di sceneggiatura e disegno di Alessandro Sisti (2012), Praticamente fumetti di Laura Scarpa (2014) e Scrivere a fumetti di Massimiliano De Giovanni (2014).
Una lista significativa ma comunque esigua se paragonata alla sterminata manualistica per la scrittura letteraria o cinematografica. Il che forse si spiega con il fatto che la scrittura dei comics viene percepita dai più come semplice specializzazione della scrittura tout court. In altre parole, si tende a pensare – con una certa approssimazione – che, nella scrittura di una buona storia, le differenze di linguaggio tra letteratura, cinema, e fumetto, siano marginali. L‘altro aspetto su cui vale la pena riflettere è che, nella patria di Hugo Pratt, Sergio Toppi, Guido Crepax, Milo Manara, Gipi e Zerocalcare, il mito dell‘autore – anzi Autore completo – fa spesso perdere di vista quanto invece una parte prevalente della produzione del fumetto viva della parcellizzazione del lavoro tra scrittori e disegnatori, nonché dell’apporto di altre figure chiave della filiera produttiva, quali il letterista e il colorista.
Manuali come il nuovo Raccontare a fumetti di Stefano Santarelli permettono quindi di riportare al centro del discorso una professione e un know-how specifici — quelli dello sceneggiatore di fumetti – e contestualizzarli all’interno di un processo integrato dall’idea al disegno, come recita il sottotitolo del volume.
Santarelli, che oltre alla sua lunga esperienza nel settore come scrittore (l‘Intrepido, Torpedo Magazine, Martin Mystere, Dylan Dog, etc.), ne vanta una altrettanto solida di docente di sceneggiatura (presso La Scuola Romana dei fumetti), offre con questo agile volumetto una lettura schietta e concreta del mestiere. Non è un caso che, in un‘epoca in cui proliferano auliche definizioni quali graphic novelist o comics artist, Santarelli scelga e rivendichi per se stesso una etichetta più popolare e autoironica: fumettaro.
Non ha alcuna importanza se il fumetto sia o non sia arte. Se sia o non sia cultura. Il fumetto è quello che è. Ognuno, leggendo questo libro, può trarre le conclusioni che vuole Un fatto, però, è certo. Chi fa fumetti deve avere un forte bagaglio professionale e culturale. Conoscere il cinema, la letteratura e la storia dell‘arte. E deve possedere, cosa assai più difficile del resto, un po‘ di autoironia. Per questo i professionisti del settore amano definirsi fumettari. Non fumettisti, come si dovrebbe correttamente dire nella nostra lingua. Perché quest‘ultimo vocabolo rimanda a un tecnicismo che, pur indispensabile per costruire un buon fumetto, sembra trascurare l‘aspetto ludico e divertente che sta alla base del processo creativo dei comics. (pp. 9-10)
Un manuale semplice da fumettari presentato con una scrittura asciutta e lineare, che poco concede alla letterarietà e che riflette lo stile senza fronzoli del Santarelli sceneggiatore, attento alla dimensione visiva dell‘azione e, soprattutto, a quella affabulatoria dei dialoghi. Una propensione per la parola raccontata che proviene dalla passione primigenia dell’autore: il teatro. Le pagine teoriche più interessanti del volume sono proprio quelle dedicate alla relazione tra l’arte drammaturgica e quella fumettistica, laddove invece si è soliti indagare le parentele dei comics con il cinema. Lo sceneggiatore romano non nega la forte vicinanza espressiva tra fumetti e film, in termini di campi e piani di ripresa (descritti in rapida rassegna nel corso della trattazione) ma tiene anche a ribadire quanto la messa in scena sia elemento fondante del racconto a fumetti, così come del teatro:
Basta osservare un palcoscenico e una vignetta per rendersi conto che entrambi i mezzi utilizzano lo stesso Spazio Scenico. (p.100)
Non sempre Raccontare a fumetti riesce a mantenere la stessa efficacia espositiva. Ad esempio, il passaggio dalla scrittura del soggetto a quella di scena (Santarelli la definisce regia della storia) poteva essere maggiormente approfondito. Ma sono “specialismi per adepti“ secondari rispetto all’intento dell‘opera, che si propone come guida per apprendisti. In questo senso Raccontare a fumetti assolve con onestà il suo compito, fornendo al neofita un compendio sintetico dell‘intero processo produttivo del fumetto, dal concept alla storia completa. A supporto del testo cartaceo, ci sono anche alcuni interessanti contenuti multimediali (tavole, script, etc.), consultabili sul sito dell’editore.
Un’ultima postilla critica ci sembra necessaria, visto il pubblico di apprendisti cui si rivolge il manuale: l’inspiegabile mancanza di credits in calce alle vignette e alle tavole presentate nel libro. Se una certa disinvoltura è accettabile quando l’autore fa riferimento alle proprie opere, non lo è invece quando fanno capolino altri signori fumettari quali Will Eisner, Bill Watterson o Neal Adams…
Abbiamo parlato di:
Raccontare a fumetti. Il linguaggio dei comics dall’idea al disegno
Stefano Santarelli
Dino Audino Editore, 2017
125 pagine, brossurato — 15,00€
ISBN: 9788875273668