Pur avendo esordito negli Stati Uniti da relativamente poco tempo, Mattia De Iulis ha già lavorato su vari titoli Marvel Comics e disegnato molteplici copertine, da Jessica Jones a Immortal Hulk, fino ad arrivare a Jane Foster: Valkyrie. Lo abbiamo intervistato per chiedergli del suo percorso, dei suoi progetti e del suo lavoro.
Ciao Mattia e grazie per il tuo tempo. La prima domanda, abbastanza banale ma utile a presentarti al nostro pubblico, riguarda i tuoi inizi: quando hai deciso di voler fare questo lavoro e quali sono state le esperienze formative che ti hanno portato dove sei ora?
E’ stato un processo piuttosto complesso, non sapevo perfettamente quale sarebbe stata la mia strada. Per rendere meglio l’idea, ho studiato in un istituto tecnico (disegnando quasi tutti i giorni a casa) e poi ho fatto 3 anni di illustrazione alla Scuola Internazionale di Comics a Roma. Solo che questa dimensione mi stava un po’ stretta, così ho provato ad approfondire l’ambiente del fumetto vero e proprio, facendo un anno di master in colorazione digitale per comics americani, e da lì ho capito che la mia strada sarebbe stata quella del fumetto.
Se dovessi scegliere degli artisti, non solo del fumetto, che ti hanno influenzato, quali sarebbero?
Inizialmente ho studiato molto Sara Pichelli per il disegno e Justin Ponsor per i colori, ho comprato praticamente ogni albo da loro realizzato e li studio ancora oggi. Poi, col tempo, ho conosciuto altri artisti fenomenali come Olivier Coipel, David Marquez, Clay Mann, Marco Checchetto, Elena Casagrande, Jorge Jimenez. Come vedete, la lista potrebbe essere interminabile: questo per dire che mi piacciono veramente tanti artisti e ogni giorno cerco di imparare sempre soluzioni nuove!
Sei attivo da poco nel fumetto statunitense, ma hai già lavorato su tanti titoli e sei molto apprezzato oltreoceano. Come sei entrato in contatto con il fumetto USA?
Per questo devo ringraziare (e lo faccio ancora oggi quando ci sentiamo) Rickey Purdin che, circa cinque anni fa, scelse il mio portfolio per i colloqui in area pro durante il Lucca Comics. Ancora ricordo l’agitazione: ero tra i tre scelti per il colloquio in mezzo a una marea di aspiranti artisti. Mi presentai come disegnatore completo, nonostante non avessi mai avuto esperienze dirette con un editore, soltanto un’autoproduzione con il collettivo di cui faccio parte (Kuro Jam). Il mio book piacque molto e, dopo una prova di sei tavole e un anno di attesa, mi ricontattò per lavorare su Jessica Jones!
Appartieni a una generazione che fa sempre più uso del digitale. Quali sono i tuoi strumenti di lavoro e come si struttura una tua giornata tipo? Oltre al digitale, quanto è importante per te il lavoro sul cartaceo?
Il mio lavoro è tutto in digitale, ho realizzato qualche cover con il metodo tradizionale, ma mi portano via più tempo e con i ritmi Marvel è difficile riuscire a fare tutto. Sinceramente non ho problemi in tal senso: non sento la necessità di fare qualcosa ogni tanto su carta, anche perché già così il lavoro porta via tanto tempo e, appena finisco la mia giornata, chiudo lo studio e riprendo in mano la penna (digitale) solo il giorno successivo. Se dovessi descrivere la mia giornata tipo, direi: sveglia presto, prima delle 7, per fare una decina di ore di lavoro prima di cena, così da non dover tornare sulla tavoletta grafica anche la sera.
Uno dei tuoi primi lavori in Marvel è stata la serie Jessica Jones: Blindspot. Quali sono state le tue fonti di ispirazione? Hai avuto modo di confrontarti con Brian M. Bendis e Michael Gaydos, creatori della serie storica?
L’approccio con Jessica Jones è stato molto semplice, perché amo il personaggio e la sua ambientazione noir, dai colori al neon agli scenari urbani. Purtroppo non ho avuto la fortuna di parlare con Bendis e Gaydos, ma ho cercato di prendere più spunti possibili per stabilire una connessione tra la loro serie e quella mia e di Kelly Thompson.
La tua Jessica non è la fotocopia di Krysten Ritter, ma comunque la ricorda, anche nelle movenze. Sei stato orientato in questo senso dalla sceneggiatrice Kelly Thompson e dagli editor Marvel oppure sei stato libero di scegliere come modellare la fisionomia del personaggio?
Non ci sono state indicazioni particolari a riguardo, però non nascondo che ho preso ispirazione dalla Jess di Krysten Ritter: adoro la sua estetica e la sua interpretazione praticamente perfetta.
Sempre nei volumi dedicati a Jessica, si nota la tua eccezionale cura per i dettagli. Prendiamo a titolo d’esempio la resa estetica attenta e realistica dei pantaloni indossati dalla protagonista: quali tecniche usi per ottenere effetti di questo tipo? Quanto ti diverti nel farlo?
Il segreto per tutti questi dettagli? Ore e ore di lavoro! Scherzi a parte, amo fare i dettagli, però richiedono tante ore e cura per dare il giusto effetto senza risultare pesanti. Avendo uno stile realistico, cerco sempre di stare attento a questo particolare per non appesantire la lettura e soprattutto per non fare questi dettagli dove non servono, per esempio nelle vignette molto piccole.
Dato che sul nostro sito abbiamo una rubrica dedicata alle First Issue, quale è quella a cui sei più affezionato? C’è un ricordo particolare che ti lega a essa?
Non posso non citare il primo albo di Jessica Jones, perché è stato quello che mi ha dato sicurezza e mi ha fatto realizzare che stavo realmente lavorando per Marvel. Non nascondo che per me è stata una liberazione incredibile: venivo da una gavetta in cui ho visto veramente poche porte aperte e quelle poche si sono rivelate o inconcludenti o particolarmente frustranti per le modalità lavorative. Non voglio fare discorsi qualunquisti, ma in Italia non si danno tante chance a giovani artisti; basta pensare a quanti fenomeni italiani lavorano all’estero e hanno iniziato la carriera proprio all’estero. Io stesso ho ricevuto commenti o messaggi del tipo: “Non ho mai sentito il tuo nome e lavori per Marvel”.
Ci piacerebbe che ci descrivessi la nascita di questa prima issue e magari una tavola specifica che ha richiesto delle decisioni particolari, o che hai preferito realizzare rispetto ad altre.
Inizialmente, è stato abbastanza traumatico: non avevo mai lavorato con uno sceneggiatore, non mi ero mai misurato con script e foglio bianco, tra l’altro in lingua inglese. Ora non è un problema, ma all’inizio avevo paura di non capire perfettamente che cosa volesse lo sceneggiatore etc. Invece Alanna Smith (la nostra editor) e Kelly Thompson mi hanno fatto sentire a mio agio sin da subito, arrivando anche a modificare insieme certe sequenze. Uno dei ricordi più belli di questo primo albo è sicuramente la tavola in cui Jess viene arrestata: ricordo che Kelly rimase tanto colpita da stamparne una copia per il suo studio!
Sei molto attivo anche come copertinista e sui social hai spesso postato alcune fasi di realizzazione, oltre al disegno finito. Cosa ti attrae di più del realizzare queste illustrazioni e come si collega al lavoro di fumettista? Se dovessi scegliere una delle copertine che hai realizzato finora, quale sarebbe e perché?
Lavorare come cover artist è davvero divertente e stimolante. Inoltre, mi permette di rompere la routine delle tavole. La parte che mi piace di più è lo studio della composizione, amo sia le copertine che rappresentano un momento particolare dell’albo sia quelle in cui metto i personaggi principali su più piani, in base alla loro importanza all’interno dell’albo stesso. Per quanto riguarda le più significative, ricordo l’emozione della mia prima cover per Star Wars: Bounty Hunters. Da piccolo ho letteralmente divorato le videocassette della prima trilogia, ho lavorato alla cover praticamente col sorriso perennemente stampato sulla faccia!
Per adesso hai lavorato principalmente per Marvel Comics e per altre case editrici, ma solo come copertinista. Se dovessi scegliere (o creare) un pitch ideale, sia su personaggi esistenti che creator-owned, cosa vorresti fare?
Se potessi scegliere, direi sicuramente una storia teen horror. Sono molto legato a questo immaginario, credo che in questa fase ogni tipo di sensazione, dalla paura alla preoccupazione, sia estremamente enfatizzata e possa creare più empatia verso il lettore. In generale, se ne avrò la possibilità (forse a breve-brevissimo, non dico nulla ancora…), per me l’importante è che sia una storia emozionante e ben scritta.
Ultima domanda di rito: a cosa stai lavorando attualmente?
Attualmente sto lavorando alla miniserie The Mighty Valkyries con un team assurdo composto da Torunn Grønbekk e Jason Aaron, Erica D’Urso e Marcio Menyz (disegnatrice e colorista della side story con Runa, nuova Valchiria creata da me). Io curo la storia principale con Jane Foster!
Grazie mille Mattia e alla prossima!
Intervista realizzata via mail nell’aprile 2021
Mattia De Iulis
Nato nel 1991 ad Ascoli Piceno, Mattia De Iulis ha studiato a Roma alla Scuola Internazionale di Comics per poi fare un master di colorazione digitale per comics. Ha iniziato a lavorare come assistente e illustratore per future fiction e per l’editoria, per poi passare definitivamente al fumetto. La sua prima esperienza come colorista è stata per la Sergio Bonelli Editore con uno speciale di Brendon e Morgan Lost, poi su Dragonero Adventures. In seguito, lavora come disegnatore completo su Kimera Mendax per Manfont. Nel 2019 esordisce in Marvel realizzando storie di Jessica Jones (Blind Spot e Purple Daughter) con Kelly Thompson, Invisible Woman con Mark Waid, Immortal Hulk con Al Ewing, Road to Empyre sempre con Thompson e adesso è all’opera su The Mighty Valkyries. Inoltre, ha realizzato cover per Star Wars: Bounty Hunters e King in Black: Return of the Valkyries.