Dove c’e’ più luce è la storia di un cinico e disincantato collezionista e proprietario di una libreria di libri antichi. Segnato da una tragedia che ha sconvolto la sua vita, Serse Voynich vive un’esistenza routinaria, chiusa in se stessa e fatta di rabbia e tristezza.
Attraverso la sua storia, Sualzo crea un affascinante discorso sulla memoria e il suo ruolo nelle nostre vite, ma anche sull’importanza e il fascino dei libri.
Durante Lucca Comics and Games 2023 lo abbiamo incontrato per parlare di questi temi e del suo lavoro.
Ciao Sualzo e grazie per il tuo tempo. Partiamo dall’inizio: in coda al libro parli della sua genesi, dicendo che ci hai messo più di dieci anni per realizzarlo, dato che ne hai parlato per la prima volta nel 2010. Come è nata l’idea del libro e come si è evoluta in questi anni?
L’idea del libro, come accennata nel finale del libro, nasce dalla mia voglia di affrontare il tema della memoria, sia quella personale, come percezione del sé, dato che tutti noi “siamo un fatto di memoria”, come si dice anche nella citazione di Paul Valery che faccia all’inizio del secondo capitolo del libro. Poi anche la memoria esterna, quella percepita dagli altri nei tuoi confronti, cioè cosa significa, per esempio, se gli altri non si ricordano più di te. Questo discorso è portato alle estreme conseguenze scegliendo come protagonista qualcuno che con la memoria ci lavora tutti i giorni, un collezionista e appassionato che cerca di ricostruire una memoria più grande di lui, quella degli scrittori e autori antichi.
L’opera si è evoluta in una maniera piuttosto travagliata, e anche qui la memoria ha un suo peso. Io di solito non mi ricordo mai niente, ho pochissima memoria. Ho iniziato a lavorare sul libro ma poi, come capita spesso, l’ho abbandonato perché non sapevo come proseguire. Nel corso del tempo, mi ci sono imbattuto a più riprese, non ricordandomi niente ma realizzando che non era poi male: non riuscivo a capire il me stesso del passato, e quindi forse valeva la pena continuare, ma ovviamente con idee nuove, che erano cambiate e con il personaggio che maturava. Il nocciolo rimaneva quello, ma la storia si evolveva. Non ne avevo un’idea chiara, conoscevo solo gli interrogativi del protagonista ma dove lo portassero l’ho capito solo negli ultimi tre anni.Quindi il personaggio si è evoluto, fondamentalmente, insieme a te.
Sì, esatto. Grazie a mia moglie ho anche ricostruito il momento in cui ho effettivamente ripreso in mano il libro: è stato quando è morta mia madre. Era lei in famiglia che teneva le redini della memoria e a quel punto ho capito che dovevo fare da solo, perché non c’era più nessuno che tenesse insieme la memoria della nostra famiglia. Questo probabilmente ha influito sul protagonista, che è un personaggio sgradevole.
È un personaggio spigoloso anche dal punto di vista grafico, con forme molto aguzze, mentre gli altri personaggi sono più armoniosi e dalle linee curve, tondeggianti.
Esatto, lui è tutto spigoli, è sempre spettinato. Per me era anche una sfida ai lettori e soprattutto a me stesso: ho molta fiducia nei lettori, ho voluto vedere se mi avrebbero seguito anche nelle vicende di un personaggio che non avrebbero potuto amare, ma che avrebbe dovuto interessarli. All’inizio non c’è nessun appiglio per empatizzare con lui, poi faccio intravedere delle crepe da cui può entrare altro.Come abbiamo detto uno degli elementi portanti dell’opera è la memoria, che fino a un certo momento è per il protagonista una gabbia, una prigione, è una trappola…
È un vero e proprio muro, che lui utilizza per allontanarsi dalla realtà. Il suo lavoro di catalogatore di memoria, di collezionista, viene operato con modalità che allontanino tutto il resto, un modo per reagire alla sua vicenda personale, a un dolore provocato dalla mancanza di controllo sulla sua vita. Per questo esercita questo controllo su altre cose, le pratiche della collezione di cui si sente il guardiano: una presunzione di controllo talmente forte e necessaria che lo porta a maneggiare i libri dall’esterno, senza nemmeno leggerli.
Un discorso questo che ritorna nel dialogo tra lui e un collezionista proprio sulla figura del catalogatore e del collezionista.
Lui si sente come un vero e proprio soldato, ma di una guarnigione che lui osserva, sa da dove viene e dove andrà ma che non ha intenzione di approfondire. E quando nel libro si trova a leggere un libro, allora da lì iniziano ad accadere cose inaspettate.E sempre parlando di questa prigione della memoria
, e di cose inaspettate, ci sono per me vari personaggi che esemplificano degli elementi che possono aiutare a liberarsi da questa condizione esistenziale. C’è l’amore, il desiderio sessuale, la fiducia, la leggerezza (penso al nipotino e al ragazzo che incontra in terapia), tutti elementi che portano a un cambio di prospettiva di vita e di osservazione della realtà.
Esatto, queste sono possibilità in cui lui si imbatte e che sono sempre state là, ma che lui teneva distanti e ferme. E poi, quasi come per eccitazione, quando si incontra una cosa che smuove, anche le altre cominciano a muoversi: quando è vicino al ragazzo dalla psiche debordante, il protagonista riconosce in lui alcuni aspetti che gli appartengono (la voglia di catalogare e rinominare le cose del mondo che non gli piacciono, tanto che lui stesso rivela di essersi cambiato il nome). È una serie di tasselli che non avevo ben pianificato e che ho scoperto del personaggio: l’ho ascoltato, ci ho messo un po’, ma alla fine si è rivelato pieno di possibilitè che ho voluto far brillare attraverso altri personaggi.
Oltre alla memoria, un altro elemento fondamentale è quello dei libri, non solo come letture ma proprio come oggetto. La prima domanda, scontata, riguarda il tuo rapporto con i libri, a cui farei seguire un’altra domanda, che riguarda la tua frequentazione con la teoria su bibliofilia e collezionismo di Umberto Eco.
Sono molto appassionato di queste cose, anche se non posso dire di essere un collezionista. Diciamo che sono sul versante, più cialtronesco, di chi non sa abbandonare le cose, quindi ho un sacco di cose per paura di non lasciare più che per collezionismo. Nell’opera c’è un passaggio in cui si dice che bisognerebbe imparare a lasciare le cose, perchè alla fine dobbiamo morire. Per rimuovere queste idee, si tende a tenere tutto, e questa è un po’ un’ossessione. I libri in questo hanno un grande ruoli: mi piace l’idea di libro prima ancora dell’oggetto. Gli scritti di Eco di cui parlavo, raccolti nel volume Memoria vegetale, contengono l’idea che il libro sia una memoria organica, perché fatto di materia organica e vivente, che io vado a contrapporre a quella minerale e inerte dei computer. E penso che i libri ci sopravviveranno, e sopravviveranno anche ai libri. E anche l’oggetto libro è affascinante, anche se impegnativo da disegnare, perchè non puoi disegnarne solo uno, ne devi fare tanti per rendere il loro contenuto, la loro importanza: nell’opera avrei potuto usare la funzione copia e incolla per disegnare i libri contenuti nelle librerie, e invece ho deciso di farli uno per uno proprio per entrare ancora di più nello spirito della storia.
Interessante la riflessione sul vegetale, dato che entra molto nella storia attraverso libri di botanica e la coprotagonista femminile.
È per me un altro elemento che racconta la necessità dell’uomo di sentirsi in controllo di ciò che lo circonda: fare un giardino o un orto è un altro modo dell’uomo per dominare e usare la natura, usando frutti e rimedi naturali. Per me giardino e biblioteca sono molto simili tra loro.Parlando invece dello stile di questo volume, hai scelto una monocromia azzurra oltre al bianco e nero. Come hai lavorato su questa scelta?
Ho fatto molte prove e in questi anni ho cercato molti approcci diversi, finché non ho capito che mi serviva un disegno minuzioso che potesse rallentare la lettura, lasciando un tempo parallelo a quello che volevo dire e facesse avvicinare il lettore alla pagina. Togliendo il colore avevo idea di distrarre meno il lettore. Scegliendo questo stile, inoltre, ho creato un contrasto tra il bianco e tutto ciò che non lo è, facendo così risaltare i dettagli e illuminando la pagina. La mia idea, in parallelo con la luce che entra nelle crepe del protagonista, era che il bianco colasse dappertutto, cancellando anche il limite delle vignette.
Quanto al ritmo di lettura, il tuo tratto è molto dettagliato, anche nelle architetture, e questo spinge a rallentare la lettura.
Volevo creare luoghi che fossero percepiti come reali, anche se non ho detto quale città è. Gran parte si basa su Siena, ma poi ci sono Urbino e altre città del centro Italia, quell’idea di borghi medievali in cui la vita è lenta. Questo mi ha permesso soprattutto di non disegnare auto (ride). La storia poi non è ambientata nel contemporaneo, perché mi serviva un’epoca in cui se qualcuno voleva starsene isolato come il protagonista poteva veramente farlo e scomparire, staccare da tutto.
Un altro dei dettagli su cui ti soffermi sono le mani: il protagonista si lava spesso le mani, le sue mani toccano altri personaggi e i suoi libri, unico modo che ha per interagire con loro.
La recitazione delle mani è molto bella, mi aiuta a dire molte cose, a far sentire cose con micro movimenti. I miei non sono libri d’azione, sono fatti di sfumature, e cerco sempre di togliere una parola per aggiungere un gesto, far vedere più che far leggere.
E in effetti ci sono molte parti con poco testo, silenziose.
Io credo molto nella forza del linguaggio del fumetto, fatta di un equilibrio perfetto tra parole e immagini che si basi su una interconnessione tra le due, in cui nessuna prevarichi sull’altra. Uno dei complimenti più belli che mi sono stati fatti su questo libro è che è un libro “pieno di fumetto”. E questa cosa mi ha fatto molto felice. E per la scansione narrativa, una delle mie fisse è quella di avere un motivo musicale che applico alla storia, fatta di crescendo e diminuendo. Forse il tempo più lungo che spendo su un fumetto è quello passato a montare e rimontare le sequenze finché non trovo il flusso giusto. Scherzando dico sempre che il mio ideale sia quello di costruire una storia in cui, togliendo una vignette, non si riesca più a capire la storia, questa sarebbe la perfezione(ride).
E questo anticipa la mia ultima domanda: sempre nella postfazione dici che Paolo Conte ha ispirato il tuo fumetto. È una colonna sonora o anche di più?
Fa tutto, perché oltre alla colonna sonora mi ispirano anche i suoi testi, è una figura per me fondamentale. Lui racconta micro storie cinematografiche di equilibrio perfetto che ho fatto mie. Io mentre scrivo ho poi in mente un tamburo in cui sto dentro o fuori, allargandolo o stringendolo, per guidare le mie storie.
Grazie mille Sualzo per il tuo tempo.
Sualzo
Antonio “Sualzo” Vincenti (Perugia, 1969) è autore e illustratore che collabora con diverse case editrici sia italiane che straniere. Con Fiato sospeso, scritto da Silvia Vecchini e pubblicato da Tunué, ha vinto il Premio Boscarato 2012 come “Miglior fumetto per bambini e ragazzi.” Con Tunué ha pubblicato anche Forse l’amore, nel 2017, sempre con Silvia Vecchini. Con il graphic novel L’improvvisatore (Rizzoli Lizard, 2009) ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura del Festi’BD di Moulins 2009 ed è stato tra i cinque finalisti del Premio Micheluzzi 2010. Per Bao Publishing pubblica nel 2013 Fermo e nel 2016, ancora in collaborazione con Silvia Vecchini, Una cosa difficile. Il sodalizio è proseguito anche nel 2017, quando insieme hanno pubblicato con Topipittori Telefonata con il pesce, Isabella & Co. Il mistero dei pesci mutanti con Mondadori e con Bacchilega Editore Le cose così come sono. Sempre con Bacchilega, nel 2019 ha pubblicato Il pallone di cuoio, scritto da Nicola Lucchi. Con Il Castoro, poi, Sualzo e Vecchini hanno pubblicato nel 2017 La zona rossa, che nel 2018 ha vinto il Premio Attilio Micheluzzi come “Miglior libro a fumetti per ragazzi”, nel 2019 21 giorni alla fine del mondo e, nel 2021, Quello nuovo e Le parole possono tutto (Premio Laura Orvieto 2021, Premio Liber “Miglior Libro 2021”, Premio Attilio Micheluzzi 2022 “Miglior sceneggiatura”). Nel 2020, con Bompiani, Sualzo e Vecchini pubblicano Prima che sia notte, finalista al Premio Strega 2021 nella sezione “Ragazze e ragazzi 11+”. Nel 2021 cura gli artwork di Eroe guasto, scritto da Antonio Ferrara e pubblicato da Settenove, e illustra l’edizione italiana di Anne Frank. La mia vita di Mirjam Pressler pubblicata da Sonda (tradotta da Simone Buttazzi). Nel 2022, con Il Battello a Vapore e in collaborazione con Lodovica Cima, Sualzo pubblica Cinque volte un libro, e nello stesso anno, di nuovo con Silvia Vecchini, pubblica Maschi contro femmine con Mondadori. Sempre nel 2022, insieme a Teo Musso, pubblica Beer revolution con Star Comics. Tra le sue collaborazioni, il progetto Disegni DiVersi con la trasmissione radiofonica di Radio2 Caterpillar.
(Biografia tratta dal sito di Tunué)