Maxi Tex #26: il western secondo Pasquale Ruju

Maxi Tex #26: il western secondo Pasquale Ruju

Il più recente Maxi Tex in edicola vede all’opera come sceneggiatore Pasquale Ruju ed è un ottimo spunto per l’analisi dello stile dello sceneggiatore sardo.

Maxi_tex_26_coverSono ormai un paio d’anni che Mauro Boselli – curatore e sceneggiatore principe di Tex – va ripetendo a incontri e convention che Pasquale Ruju è sempre di più il suo braccio destro nella scrittura di storie per il ranger bonelliano.
Da quando poi le testate mensili dedicate al personaggio sono diventate due, dimezzando di fatto la prolificità di Boselli impegnato su un doppio versante di storie, l’apporto dello sceneggiatore di origini sarde è diventato ancora più evidente e importante.

Il Maxi Tex #26 uscito ad aprile 2020 è lo spunto adatto per analizzare l’evoluzione della scrittura texiana di Ruju, le peculiarità che lo distinguono e le similitudini che lo avvicinano ad altri colleghi, vedendo l’autore all’opera come scrittore di entrambe le storie presenti nell’albo.
La prima, Caccia a Tiger Jack, si estende per un numero di pagine che avrebbe occupato due numeri della serie mensile ed è una lunga avventura ambientata nell’inverno nevoso del Wyoming che mette in primo piano il pard indiano di Tex.

Come uso spesso sottolineare analizzando le storie texiane, una delle caratteristiche che personalmente trovo fondanti del modo di raccontare le avventure del ranger si ritrova nella complicazione progressiva della trama. Espediente messo in campo sin dalle origini da Gian Luigi Bonelli, esso consiste nell’inserire nella struttura narrativa della storia tutta una serie di elementi che vanno man mano a complicare l’intreccio, ingarbugliandone la linearità. Questo, se da un lato serve a dar vita a storie che possono svilupparsi per centinaia di pagine – dall’altro ha l’indubbio merito di rendere l’esperienza di lettura più accattivante e appagante, di rifuggire semplicità e scontatezza (nel limite delle regole auree del seriale), a patto di avere la capacità di saper tirare in conclusione tutti i fili della vicenda e sbrogliare la matassa narrativa con chiarezza, senza lasciare trame incompiute.
Boselli si è dimostrato degno erede di Bonelli padre nel riproporre nelle sue storie questa complicazione progressiva e, negli ultimi anni, è arrivato a risultati sempre più sorprendenti per complessità d’intreccio, inserimento di plot twist e capacità di gestione di svariate storie dentro la storia.
Non è certo semplice scrivere avventure di questo tipo né è un obbligo. Prova ne è il tipo di narrazione meno complicata spesso usato su Tex da Claudio Nizzi, curatore per tanti anni del ranger e da poco ritornato tra gli sceneggiatori del personaggio.

Maxi Tex_26_02Pasquale Ruju, dal canto suo, sta declinando in modo abbastanza personale questa caratteristica, come dimostra su Caccia a Tiger Jack.
Se Boselli è solito fare aggio su un cast estremamente numeroso di personaggi – quasi una compagnia teatrale che lo sceneggiatore riesce a far recitare con estrema efficacia – tutti dotati di una precisa caratterizzazione, Ruju qui lavora principalmente su l’intreccio tra una doppia linea narrativa.
La prima segue le vicende di Tiger Jack che si mette sulle tracce dei responsabili di una tratta di donne indiane rapite per poi essere vendute come schiave ai coloni della zona, mentre la seconda si focalizza su Tex e Kit Carson che, rientrati alla riserva Navajo dopo una missione, non vedendo tornare il pard indiano dal Wyoming decidono di andargli incontro.

Ruju incrocia il racconto dei due segmenti, facendoli progressivamente convergere verso un’unica linea narrativa che sfocia nel finale della storia. Al contempo, complica le due vicende inserendo tutta una serie di comprimari e antagonisti che con le loro azioni danno complessità alla trama. In un certo senso, anche lo sceneggiatore sardo fa uso di un vasto cast di personaggi per mettere in atto il meccanismo della complicazione, ma con una differenza sostanziale rispetto a Boselli. Se quest’ultimo è solito creare un corollario di vicende secondarie intorno alla principale che vedono protagonisti i vari personaggi di contorno, Ruju opta per un uso funzionale del cast legato strettamente ai due segmenti di cui si compone la storia. Questo non significa però che i personaggi assolvano al compito di mere funzioni narrative, criticità evitata grazie a un lavoro di caratterizzazione efficace in fase di scrittura.

Un altro elemento che accomuna Ruju e Boselli è la valorizzazione e l’uso della figura femminile, ricordando che già G.L. Bonelli con Lilyth creò una donna ben più che monodimensionale e assolutamente in anticipo sui tempi. In entrambe le storie del Maxi Tex abbiamo una serie di ragazze e donne che si ritagliano un proprio spazio d’importanza sia per quanto riguarda la caratterizzazione che per il valore che hanno nello sviluppo dell’intreccio. Le indiane Blackfoot come le giovani Daanis e Fala e l’anziana Magena della prima storia, al pari della gitana della seconda sono figure forti e sfaccettate, non donne ridotte a una dimensione, quella della fanciulla debole e semplice oggetto da mettere in salvo.
Ruju e Boselli nel dipingere i loro personaggi femminili evitano sempre che lo stereotipo prevalga e schiacci tutto il resto e questo denota una sensibilità che arricchisce le avventure del ranger. Ancora più importante, le donne scritte dai due autori non sono per forza personaggi positivi, bensì ricche di chiaroscuri che ne esaltano il realismo.

Maxi Tex_26_01Se i tratti comuni nel narrare le storie di Tex tra Boselli e Ruju sono molti, è altrettanto vero come quest’ultimo metta in campo dalla sua almeno due elementi peculiari che distinguono il suo stile da quello del curatore del personaggio.
Queste due caratteristiche si legano direttamente all’influenza che le altre attività dell’autore – attore, doppiatore e scrittore di romanzi noir – hanno sul suo lavoro come fumettista.
Le storie texiane di Ruju – che, è bene ricordarlo, è anche sceneggiatore di Dylan Dog e creatore di Cassidysono sempre intrise di un realismo che le rende spesso crude e comunque mai edulcorate tanto nella rappresentazione della violenza quanto nei temi trattati: nel caso di Caccia a Tiger Jack si occupa di un argomento scomodo e poco trattato nel genere western come la piaga della tratta delle indiane (di solito è più frequente leggere storie di donne bianche rapite dagli indiani, che viceversa) da parte dell’uomo bianco.
L’amore dell’autore per il noir che l’ha portato fino a oggi a scrivere due romanzi del genere (il primo dei quali, Un caso come gli altri, ha per protagoniste proprio due donne forti e caratterialmente affascinanti), ritorna nelle sue storie per il ranger bonelliano attraverso un linguaggio secco e diretto, dialoghi che rifuggono il didascalismo per mirare a una più reale essenzialità e asciuttezza.
L’esperienza di attore e doppiatore di Ruju rifluisce nel fumetto sottoforma di una teatralità che in primis regala a ciascun personaggio una propria voce ben distinta dalle altre e, nel caso particolare del Maxi Tex, ammanta i finali delle due storie con due sequenze caratterizzate da dialoghi e azioni volutamente enfatizzati per valorizzare in modo deciso la chiusura delle due vicende.

Se invece c’è un ambito in cui, a parere di chi scrive, Ruju ha ancora dei margini di crescita in ambito texiano è nella resa degli antagonisti, che mancano di quell’approfondimento e di quella ambiguità che li possano rendere personaggi più complessi e più iconici di semplici figuri votati al crimine o di animo avido o cattivo. In questo Ruju può sicuramente avvalersi della vicinanza proprio di Boselli che ha fatto della creazione e gestione di villain indimenticabili uno dei pilastri della sua scrittura di storie del ranger.

Maxi Tex_26_05Caccia a Tiger Jack è illustrata dal tratto di Ugolino Cossu, disegnatore di tante storie di Dylan Dog, ma da ormai quasi un decennio entrato anche nella scuderia di Tex. Lo stile di Cossu riesce ad assommare nelle tavole una linea chiara pulita e precisa, fatta di contorni netti e chiusi, a un’attenzione per il dettaglio che si rivela in una cura per abbigliamento, ambientazione e paesaggi ricchi di tratteggi e ombreggiature che fanno risaltare le minime caratteristiche di tessuti e materiali, oltre a creare giochi di luce volumetrici sui contrasti di bianco e nero assoluti.
I personaggi, definiti dai contorni di una linea continua, risaltano sugli sfondi elaborati e lavorati, spot di luce all’interno di vignette intarsiate, richiamando alla mente l’iperrealismo di alcune pagine deluchiane de Il Commissario Spada. Altrettanto ricca è l’attenzione alle fisionomie, con ciascun personaggio, anche semplice comparsa di contorno, delineato con peculiarità, rifuggendo l’anonimato.
Tutto questo in una struttura che non deroga mai alla canonica griglia a tre strisce, senza per questo penalizzare ritmo e dinamicità, bensì valorizzando i punti di forza della gabbia bonelliana, la chiarezza di racconto in primis.

La seconda storia del volume, Il veleno della zingara, si stende sulla lunghezza di un normale albo della serie mensile e presenta un impianto narrativo più lineare, ma non meno efficace. Anche il cast di personaggi è notevolmente ridotto rispetto al racconto precedente e Ruju si concentra sul personaggio femminile protagonista della storia e sull’antagonista di Tex e Carson. Lo sviluppo è meno complesso rispetto alla storia precedente, ma colpisce per l’originalità.
Restano valide, per la prosa di Ruju, tutte le considerazioni fatte per la storia precedente, mentre è interessante soffermare l’analisi sul disegnatore “esordiente”, che debutta su una storia di Tex a 79 anni. Felice Mangiarano, colui che si nasconde dietro lo pseudonimo Felmang, è un affermato professionista del fumetto attivo fin dagli anni ’60 su titoli come Kriminal e Belfagor e riviste come Intrepido, Lanciostory e Skorpio, che si è anche cimentato a livello internazionale con personaggi del calibro di Flash Gordon e Phantom.
Il primo impatto con le sue tavole di Tex regala immediatamente l’idea di trovarsi davanti a un disegnatore “classico”, nel senso migliore del termine, ovvero quello che avvicina lo stile del disegnatore italiano al classicismo e al naturalismo di autori come Alex Raymond.
A dare una mano a Felmang, troviamo un altro veterano e maestro del fumetto italiano, Germano Ferri (classe 1936), che va ad aggiungere Tex al suo già vasto curriculum di personaggi disegnati.
Proprio la plasticità dei personaggi di Raymond viene evocata nelle pagine della storia che, a ben vedere, ai lettori più anziani di Tex, faranno tornare in mente – soprattutto nella fisionomia del ranger – le pagine di Alberto Giolitti.
Sicuramente ci troviamo davanti a uno stile di disegno più lontano da quello a cui sono abituati oggi i lettori texiani, meno dinamico e più indirizzato alla resa delle pose, eppure stupisce la precisione che ancora alberga nella mano di Felmang e alcuni volti tratteggiati al pennino, soprattutto quello della gitana protagonista, sono ricchi di una sensualità straordinaria.

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Dunque, questo Maxi Tex è una conferma, con due storie riuscite, del ruolo sempre più importante di Pasquale Ruju all’interno dell’economia narrativa del mondo di Tex e di come l‘autore sardo abbia ormai trovato una sua voce originale per raccontare le storie del ranger, diventando a tutti gli effetti un valore aggiunto all’importante lavoro che la SBE e Boselli stanno portando avanti sul personaggio, adattandone e trasformandone il linguaggio per tempi e lettori contemporanei, sempre senza tradire canone e tradizione.

Abbiamo parlato di:
Maxi Tex #26 – Caccia a Tiger Jack
Pasquale Ruju, Ugolino Cossu, Felmang, Germano Ferri
Sergio Bonelli Editore, aprile 2020
340 pagine, brossurato, bianco e nero – 7,90 €
ISSN: 977182645704000026

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