Pubblicata originariamente sul numero 107 di Fumetto (nell’Ottobre del 2018) in occasione dei novant’anni di Topolino, l’intervista di Alberto Becattini a Marco Rota ripercorre la carriera di uno dei più illustri “Disney italiani”.
Qual è stato il tuo primo approccio a Topolino? Suppongo che già da bambino tu vedessi al cinema i cartoni animati con i personaggi Disney, e che ne leggessi le storie a fumetti…
Accadde vedendo le storie Topolino e il Cobra Bianco, disegnata dal bravissimo Angelo Bioletto, ed Eta Beta L’Uomo del 2000, pubblicate sul Topolino libretto, n.1, dell’aprile 1949. Era un personaggio che non conoscevo; non lo avevo ancora visto, né pubblicato, e neanche al cinema, in un cartone animato.Quando è stato che per la prima volta in assoluto hai disegnato Topolino? Quali erano i tuoi riferimenti iconografici, ovvero gli autori ai quali guardavi con maggiore attenzione? Ti sono state fornite delle linee-guida, oppure sei stato libero di proporre un tuo approccio personale?
Fu realizzando la copertina del Topolino n.500, nel 1965. Fui molto contento di farlo, anche se non capivo perché Mario Gentilini, direttore dei Periodici Ragazzi, avesse incaricato me, e non bravissimi disegnatori quali Scarpa, o Carpi, ecc… (forse, per non pagarla?). Certamente, l’autore che prediligevo in assoluto, era Floyd Gottfredson; fu un amore a prima vista! Ma anche i lavori di Paul Murry mi piacevano; mi sembravano un po’ naif, ma suscitavano in me serenità e avevano un sapore esotico, particolare… Naturalmente, anche le opere di Scarpa mi piacevano molto… Comunque non c’erano linee guida, e non ho dovuto seguire indicazioni di base; Gentilini mi lasciò una totale libertà creativa.
Tu sei entrato nella redazione di Topolino come grafico e illustratore nel 1962, se non erro. Quali erano esattamente le tue mansioni e in che misura tale esperienza ti ha formato, in prospettiva, come autore disneyano? Chi erano i tuoi colleghi nella redazione grafica?
Disegnavo, rifinivo le tavole, realizzavo i titoli delle storie, coloravo, illustravo; ricordo che, una volta, Mario Gentilini mi disse che dovevo fare un po’ di tutto per giustificare il mio stipendio che, secondo lui, era alto (infatti, non fu lui a stabilirlo). Naturalmente, tutte queste attività hanno influito positivamente, arricchendolo, il mio cammino come autore disneyano. Poter vedere e analizzare continuamente i lavori dei più bravi autori, era motivo di grande apprendimento e studio dei vari stili grafici ed espressivi in generale. La redazione grafico-artistica era composta da Giuseppe Perego (copertine), Massimo De Vita e Romano Peirano (rifinitura tavole), Carlo Peirano (lettering e impaginazione patinate americane), Gianni Melada e Alberto Grieco (coloritura tavole), Adriano Baggi (realizzazione “tracciati” – per anni vennero realizzati a mano – per patinate americane, e impaginazione delle medesime), Ambrogio Vergani (coloritura copertine e tavole). Massimo De Vita diede le dimissioni nel 1963, e venne assunto Innocente Somarè (realizzazione “tracciati” e impaginazione patinate americane – attività che venne tolta a Carlo Peirano). È necessario ricordare che, oltre al settore disneyano, si lavorava anche su altre testate come quelle di Nembo Kid e Braccobaldo.
Per diletto, ma anche per professione, avevi la possibilità di leggere e “assorbire” le storie realizzate dai vari autori italiani di Topolino. Quali di loro, ripensandoci, ti hanno maggiormente colpito, e perché? C’era qualcosa che non approvavi del tutto, nell’approccio a volte un po’ troppo “provinciale” di alcuni autori?
Il controllo della qualità grafico-artistica delle tavole richiedeva normalmente anche la lettura delle relative sceneggiature, per individuare eventuali discrepanze tra testo e immagini. Certamente era un grande aiuto nell’ambito professionale. Ciò succedeva anche quando leggevo una storia solo per diletto: non riuscivo a estraniarmi completamente dal guardare il racconto senza analizzare il contenuto grafico-artistico. Gli autori che mi colpirono maggiormente furono Scarpa e Carpi, ma ciò non significa che non apprezzassi anche opere di altri artisti… A volte, quello che non mi soddisfaceva erano i luoghi in cui era ambientata la storia; alcuni autori si rifacevano alle località in cui vivevano, cioè rappresentavano la città di Topolinia come se fosse un piccolo paese di campagna, disegnando case, cascine e cortili dalle caratteristiche italiane, non edifici internazionali, come dovrebbe essere per una metropoli.
Qual è il tuo pensiero rispetto all’impiego di Topolino nelle Grandi Parodie, dall’Inferno di Topolino in poi? Ritieni che il personaggio “funzioni” altrettanto bene quanto Paperino nell’ambito di questo particolare tipo di storie?
Penso che Topolino sia efficace quanto Paperino nell’ambito delle Grandi Parodie, perché, oltre ad avere un corpo anatomicamente ben proporzionato, gradevole, dalle linee morbide e sinuose, sembra un piccolo uomo che, con serietà e intraprendenza, a dispetto delle proprie dimensioni, vive avventure di grande respiro, destreggiandosi abilmente in esse e dimostrando un’intraprendenza e una forza di volontà che rendono più credibile il racconto. A mio avviso, l’unica caratteristica che lo differenzia da Paperino è la mancanza di quella simpatia immediata che scaturisce da un carattere “birichino”, ma nasce dall’immagine graficamente molto piacevole del personaggio, che si fonde con la struttura generale di una storia: gli ambienti, le località, i costumi, il periodo storico, ecc. “Vestire” Topolino è indubbiamente più facile che “vestire” Paperino. Al contrario, oltre alla sua intrinseca simpatia anatomica, anche se più difficile da gestire come struttura, è proprio il carattere esuberante e imprevedibile di Paperino il motore trainante delle sue avventure.
La tua storia d’esordio con il Topo è stata Topolino e la tigre col fiocco, pubblicata nel giugno 1971. Per un paio di anni hai continuato a disegnare soprattutto storie con Topolino e il suo entourage, poi hai iniziato a realizzare anche storie di Paperi. Questo per scelta personale, oppure perché c’è stata maggiore richiesta di storie con Paperino & C.?
Non mi era concesso di scegliere tra Paperi e Topi; le sceneggiature venivano date direttamente dal direttore, Mario Gentilini, a sua discrezione (ciò valeva per tutti i collaboratori). Quindi, anche la prima storia che realizzai con i Paperi, relativa alla serie Operazione Olimpiadi, nel 1972, mi venne affidata in questo modo; e, di seguito, anche tutte le altre che realizzai, seguirono questa procedura.
Che ricordi hai degli sceneggiatori delle storie di Topolino con i quali hai collaborato? Ce ne sono stati alcuni in particolare con i quali ti sei sentito maggiormente in sintonia?
Non ricordo nessuno in particolare; non ci sono mai stati problemi con gli sceneggiatori, perché, per quanto possibile, avevo abbastanza libertà di intervento sulla sceneggiature, allo scopo, se necessario, di apportare qualche modifica alla descrizione delle vignette in generale.
Ti piaceva disegnare le storie di Topolino su soggetto del Disney Studio, che venivano di solito pubblicate sull’Almanacco Topolino, con l’impaginazione “all’americana” su otto vignette e quattro strisce per tavola? Dovevi usare particolari accortezze nel realizzare queste storie, pensate per il mercato internazionale? Ti veniva fornito soltanto un soggetto dattiloscritto oppure anche una sceneggiatura, magari in forma di layout?
Certamente. Preferivo l’impaginazione “all’americana”, su quattro strisce, tipo Almanacco Topolino, perché, a parer mio, la vignetta rettangolare è più simile allo schermo cinematografico rispetto a quella quadrata del Topolino libretto. Non ricordo vincoli particolari relativi alla collaborazione con il Disney Studio. Solitamente veniva consegnata una sceneggiatura tradizionale ma, a volte, essa era realizzata in forma di layout, con testi e disegni. A memoria, non ricordo di averne mai ricevuta una.
Sul n.956 (24 marzo 1974) di Topolino, sei stato accreditato per la prima volta del ruolo di Capo Servizio Disegnatori che, credo, equivalesse al ruolo di Direttore Artistico. In tale veste, quali erano esattamente le tue mansioni? Con chi collaboravi in redazione, e quali erano le “dritte” che davi ai vari disegnatori di Topolino?
Oltre a realizzare quasi tutte le copertine delle nostre riviste, dovevo gestire la programmazione, distribuzione e controllo del lavoro della redazione grafico-artistica, e la qualità e la produzione di quello dei disegnatori esterni. I collaboratori, in redazione, non avevano una mansione precisa, ma lavoravano, a seconda delle necessità, su tutta la produzione. In redazione c’erano: Romano Peirano (rifinitura tavole, coloritura, inchiostratura), Adriano Baggi (rifinitura tavole, coloritura, inchiostratura), Giuseppe Uglietti (rifinitura tavole, realizzazione titoli, coloritura, disegni vari), Giancarlo Gatti (realizzazione storie, copertine, coloritura) e Giuseppe Perego (copertine, rifinitura tavole). Come si può immaginare, il controllo delle tavole fatto in presenza dell’autore era un momento particolare e non di facile gestione, perché era in gioco la personalità dell’artista. Si analizzavano le interpretazioni narrative, non in sintonia con la storia, le proporzioni, le espressioni dei vari personaggi, le ambientazioni, le prospettive, ecc. Un caso fra i tanti: un disegnatore inserì nelle prime 8 tavole di una storia – quindi, per ben 48 vignette – il personaggio di Pippo – che non era indicato nella sceneggiatura – accanto a Topolino!; mi accorsi di questo fatto perché Pippo non parlava mai! Comunque, ribadivo continuamente che l’aspetto grafico ed estetico dei personaggi principali doveva essere sempre simpatico e gradevole; è sempre stata ed è ancora la mia convinzione…
Già dal 1972 avevi preso a illustrare copertine e illustrazioni per i vari periodici a fumetti e per i libri disneyani. È corretto dire che adottavi approcci grafici diversi in funzione della destinazione dell’immagine che disegnavi? Per esempio, se per il settimanale Topolino usavi il tuo stile, eri invece più affine a Gottfredson per Topolino d’Oro o per i volumi-strenna di Mondadori…
Sì. Dato che mi è sempre piaciuto sperimentare, cercare soluzioni differenti per lo stesso argomento, a volte modificavo lo stile a seconda di ciò che dovevo realizzare; e questo valeva anche per l’inchiostrazione: utilizzavo la penna o il pennello.
Hai spesso realizzato anche illustrazioni e design per il merchandising legato a Topolino… giochi da tavolo, poster, modellini… Hai qualche ricordo in particolare riguardo alle collaborazioni in questo settore?
Una cosa che accomunava quasi tutti i licenziatari Disney con i quali avevo occasione di collaborare, era la grande voglia di sapere qualcosa del magico mondo disneyano. Pensavano che io sapessi tutto: erano assetati di informazioni, aneddoti, curiosità, notizie… Cercavo di accontentarli per quanto possibile, ma, quando capivano che non era così, cominciavano a parlare – apprezzando con soddisfazione o criticando duramente – della qualità dei disegni delle storie pubblicate nei nostri periodici; chiedevano chi ne fosse l’autore e, io, quando la critica era negativa, e arrampicandomi sugli specchi, cercavo di dare risposte, adducendo motivi e giustificazioni, apparentemente logiche. Alcuni mi offrirono addirittura l’assunzione nelle loro aziende; nel 1975, la Polistil mi chiese se mi poteva interessare la gestione di uno studio grafico, appositamente creato per realizzare pubblicità e fumetti, utilizzando dei loro personaggi giocattolo già in commercio, e inventandone anche di nuovi.
Dopo vari anni durante i quali ti sei dedicato soprattutto ai Paperi, sei tornato a realizzare storie di Topolino per la Egmont, a partire da Operation “Big Glutton” (Topolino – Operazione “Ghiottone”, 1996), che era una sorta di sequel della storia a strisce di Walsh e Gottfredson Topolino nella Seconda Guerra Mondiale. Qual è stata la molla che ha fatto scattare questo ritorno a Topolino? Come mai ad oggi hai realizzato soltanto altre tre storie intitolate al Topo o comunque nelle quali Topolino ha il ruolo di comprimario?
È stato il mio grande desiderio, dopo tantissimi anni, di cimentarmi ancora con questo splendido personaggio, e con lo stile che adoro: quello di Gottfredson. Questo fu possibile perché la Egmont, in quel momento, accettò le mie proposte; ma non era sempre così. Avrei realizzato altre storie – oltretutto, me lo chiedevano anche i lettori, nelle loro lettere – ma mi sentivo sempre rispondere di aspettare, e continuare a produrre storie con i Paperi. Quindi, non è stata una mia decisione, ma una scelta obbligata.
Qual è la tua personale visione del personaggio Topolino? Ovvero, come dovrebbe essere gestito, secondo te? Quali sono i suoi punti di forza e i suoi limiti, se ne ha? In generale, apprezzi il modo in cui il personaggio è stato “trattato” in anni recenti, non soltanto in Italia, ma nei vari paesi nei quali se ne producono storie, oppure hai qualche critica da muovere a sceneggiatori e disegnatori?
Ho sempre pensato che il punto di forza di questo personaggio sia l’armonia della sua figura, le proporzioni, la morbidezza delle linee e la possibilità di abbigliarlo senza problemi, in quanto la sua struttura, quasi simile a quella dell’essere umano, lo permette. Per il resto della domanda: NO COMMENT. Personalmente, credo che i suoi limiti si possano individuare nella forte personalità che non viene scalfita da nessun evento; il carattere: costante, coerente, assolutamente corretto con tutto ciò che lo circonda, anche con i personaggi negativi che lo contrastano; l’intelligenza, la capacità di risolvere sempre i vari accadimenti e le situazioni problematiche che deve affrontare.
In conclusione, c’è un futuro per questo Topo novantenne? Se sì, come lo vedi?
Ovviamente gli auguro con tutto il cuore un forte “in bocca al lupo, e crepi il lupo!”, ma non riesco a immaginare un futuro roseo per questo grandissimo e irripetibile personaggio. Sono un ottimista, e vedo sempre il bicchiere mezzo pieno, però questa mia opinione è il risultato di una analisi storica della vita generale di Topolino. Certamente la tecnologia ha influito negativamente anche su questa robusta icona planetaria…
Grazie mille per il tuo tempo e per le tue esaurienti risposte, Marco.
Grazie a te! È stato un piacere!
Pubblicata originariamente sul numero 107 di Fumetto nell’Ottobre 2018.