Classe 1975, londinese di nascita, Manfredi Toraldo è sulla scena fumettistica italiana da quando ha 17 anni. Creatore di 2700, Arcana Mater e altri fumetti, nel corso degli anni ha collaborato con molte riviste. Nel 2010 ha fondato la ManFont, società che pubblica fumetti online e cartacei.
Diego Cajelli nasce nel 1971 a Milano. Prolifico sceneggiatore, negli anni ha scritto storie di Dampyr, Legs Weaver, Zagor e ha creato per la Sergio Bonelli Editore Long Wei. Ha condotto un programma radiofonico per Radio Popolare ed è stato premiato nel 2008 con un Gran Guinigi. Ha collaborato con il Kaiju club per la realizzazione di Yamazaki 18 Years.
Ciao Diego e Manfredi, grazie per la vostra disponibilità. Prima di tutto, come è nata l’idea di Apocrypha e soprattutto del coinvolgimento di studenti della Scuola Internazionale di Comics?
Manfredi Toraldo: Ciao, e grazie a voi. “Apocrypha” nasce nel 2015 come progetto tra il Master di Fumetto della sede di Roma della Scuola Internazionale di Comics e la ManFont. Un’idea per dare la possibilità per i ragazzi del Master di mettere mano su un fumetto già esistente con sviluppi professionali e venire quindi a contatto con la realtà del lavoro serio. Dopo il primo tentativo (con risultati di ottima qualità, aggiungerei) con Arcana Mater, si è voluta replicare la cosa e si discuteva tra me (come responsabile della ManFont) e David Messina (come responsabile del corso Master) su cosa avremmo potuto concentrare nuovi sforzi… in attesa che Arcana Mater vada avanti (è in lavorazione la seconda stagione) e possa fornire altro materiale da sviluppare.
Ci siamo trovati d’accordo che serviva un titolo forte, un brand che potesse far sentire ai ragazzi il peso della responsabilità e 2700 si è palesato quasi subito.Era un’idea davvero stuzzicante e l’abbiamo quindi affiancata al progetto con Yamazaky 18 Years.
Diego Cajelli: Il tutto nasce da una collaborazione tra il master di Sceneggiatura della sede di Torino, tenuto da Manfredi Toraldo, e il master di Fumetto della sede di Roma, tenuto da David Messina e Sara Pichelli.
Ampliando la visione, il progetto è una collaborazione tra il Kaiju Club (di cui faccio parte, e da cui nasce il progetto Yamazaki 18 Years) la Manfont e la Scuola Internazionale di Comics.
Mi sembrava molto interessante un lavoro che mettesse in contatto studenti di sceneggiatura con studenti di disegno. È essenziale per capire al meglio le vere dinamiche di questo lavoro, al di là della necessaria preparazione teorica. Io mi sono trovato nel mezzo, collaborando al progetto con il ruolo di “docente ospite”.
Manfredi, cosa ha voluto dire per te riprendere una serie durata per circa dieci anni e conclusa da un decennio? Come mai la scelta è ricaduta su una storia del passato e non su materiale nuovo? È stata una scelta dettata dalla voglia di “sicurezze” per gli esordienti, una scelta nostalgica o ci sono altre ragioni dietro a questo?
M: 2700 ha una storia (di successi) travagliata ma rimane il mio primo fumetto “serio” e ci sono molto affezionato. Da troppi anni si vociferava con alcuni editori di provare a riproporlo e ristamparlo, ma i diritti del lavoro originale sono bloccati da un accordo con alcune persone con le quali non si riesce a trovare una quadra. Nulla però mi vieta di produrre cose nuove partendo dai concetti narrativi originali (che sono il vero punto di forza) con nuovi studi e modelsheet. L’unica cosa rimasta, in questo progetto, uguale, è la storia che prosegue in continuity, per sperimentare un approccio che ci piacerebbe riprendere e variare in un futuro, a seconda dell’accoglienza che avrà questo volume. In pratica: riprese in mano le mie cose scritte ai tempi (diamine, avevo diciassette anni…) vedo il potenziale ma ho voglia di riscrivere tutto. Quindi si prova a traghettare il pubblico verso il cambiamento e se l’accoglienza sarà buona si farà una rielaborazione totale del tutto per usare linguaggi e grafiche del 2016 e passa e non quelle del 1995 (sì, la volevo fare la battuta con 2700 ma ve la risparmio…)
Diego, il primo volume di Yamazaki 18 Years è uscito nel 2015 e prevedete un altro volume nei
prossimi mesi. Come si inserisce la storia di Apocrypha nei vostri piani?
D: Alla base di Yamazaki 18 Years c’è un universo narrativo strutturato, le singole storie presenti nel volume del 2015 sono collegate tra di loro da una serie di elementi in stretta correlazione. Il lavoro alla base di tutto è davvero ampio, prevede trame orizzontali e verticali, e come tutti gli universi ragionati in questo modo è per forza di cose un universo aperto. Aperto significa che dopo un briefing di introduzione specifica, ogni scrittore è stato messo nelle condizioni di inserire un proprio plot, una propria idea all’interno della struttura. Ovviamente, se compatibile con i presupposti narrativi. Per realizzare il volume Apocrypha sono andato personalmente a Torino, alla Scuola Internazionale di Comics per “addestrare” la classe di sceneggiatori all’uso dell’universo di Yamazaki 18 Years. Sono venute fuori delle storie così interessanti che una di loro farà da ponte tra il volume Apocrypha e il volume di Yamazaki 18 Years che presenteremo a Lucca.
Secondo quali criteri sono stati scelti gli studenti e come si è svolto il tuo lavoro di supervisore? Hai incontrato dei problemi nella gestione di un gruppo di giovani sceneggiatori in fase di formazione?
D: Ho fatto una lezione specifica sulla fantascienza quantistica e sull’universo narrativo di Yamazaki 18 Years alla classe di sceneggiatori di Torino. Dopo il briefing introduttivo hanno dovuto elaborare un soggetto sulla supervisione iniziale di Manfredi Toraldo. Quando si sono sentiti sicuri, mi hanno girato i soggetti per una mia approvazione. Sistemate due virgole, girate due viti, sono partiti a sceneggiare. Sono rimasto molto colpito dal livello di preparazione di quei ragazzi. Per cui di grossi problemi degni di nota non ne ho riscontrati.
M: Vista la complessità del mondo narrativo (e la quantità di pagine che si sarebbero dovute leggere per conoscerlo) si è optato per coinvolgere, nelle sceneggiature, un gruppo di autori ex allievi della scuola che avessero già esperienza più una vecchia conoscenza della serie che da disegnatrice ha tentato il ruolo di sceneggiatrice (superando alla grande il passaggio!). Altri studenti sono stati coinvolti invece nel progetto Yamazaky 18 years Aphocrypha, nello specifico quelli del corso Master di Sceneggiatura della sede di Torino della Scuola Internazionale di Comics. E anche con loro, si è lavorato davvero molto bene.
Quali sono i consigli che daresti ad un aspirante sceneggiatore?
M: Leggere tantissimo (se vi sembra di leggere tanto raddoppiate le dosi, poi, raddoppiatele ancora una volta e state sicuri che state leggendo ancora poco) e scrivere il più possibile. Una scuola è utile, ma l’importante sono l’impegno e la passione… e, oltre al leggere, andare al cinema, vedere serie TV, andare a teatro, ascoltare musica… insomma, bisogna coltivare un mondo interiore da poter riversare su carta.
D: I primi che mi vengono in mente sono:
Chiudere Facebook.
Se ti piace un film, un fumetto o un libro, consigliali ai tuoi amici, ma non “citarli” in quello che scrivi.
Se ti piace un autore, cerca di fare il possibile per non conoscerlo mai di persona.
Chiudere Facebook.
Guarda la realtà che ti circonda. Vivi. Sperimenta. Vivi! Vivi, cazzo! Non vivere solo sul web.
Chiudere Facebook l’ho già detto?
Da un punto di vista professionale, cosa pensi andrebbe migliorato o ampliato nella formazione di futuri fumettisti, sia come sceneggiatori che come autori completi?
D: Come al solito, mi tocca dire quel tipo di cose che fanno di me una brutta persona. Servirebbe un life coach in grado di fornire tutto l’aiuto necessario per gestire il lato emotivo e cognitivo-comportamentale di questo lavoro.
Serve un counselor che istruisca a reggere psicologicamente un fallimento o una delusione. Il successo non è un obbligo e non è detto che arrivi nei tempi e nei modi che uno si aspetta. Soprattutto, non è detto che il successo di qualcuno sia un evento replicabile o sia un inalienabile diritto anche per qualcun altro. Lo dico perchè ne ho piene le palle di quelli che ci hanno provato, hanno preso le palate in faccia e ora usano il web per sfogare tutta la loro frustrazione.
M: Il facile approccio alla produzione personale del giorno d’oggi convince molti di poter fare ciò che si vuole. Quello può essere un problema alle volte. Studiare il mercato, capire cosa abbia un senso proporre e cosa si debba imparare per proporlo, avere qualcosa da dire… sono passaggi che ognuno di noi (anch’io e tanti altri professionisti) dovrebbero compiere come esercizio quotidiano. Insomma, non rimanere nel proprio orticello ma avventurarsi nei boschi della produzione mondiale.. è pericoloso, ma è un rischio che vale la pena correre se a un autore importa diventare bravo.
Quale pensi possa essere l’apporto di nuove generazioni di autori al fumetto italiano per farlo crescere ed evolvere in maniera innovativa?
M:È un discorso che ho fatto spesso. Mi riaggancio al lato positivo della risposta sul negativo di sopra.
Il lato negativo del poter produrre più facilmente di un tempo è l’illudersi di saper fare anche quando non si sono maturate le competenze. Il lato positivo è che la semplicità di produzione permette a tutti gli autori che hanno qualcosa da dire di sperimentare senza bisogno che una casa editrice dia loro il permesso. Questo può portare a una vera democrazia dell’offerta narrativa. Oggi viviamo in tempi interessanti – difficili, come il detto cinese sottolinea, ma davvero interessanti. Fumetti che un tempo non avrebbero mai potuto vedere la luce perché nessun editore li avrebbe avallati hanno rinnovato il panorama fumettistico (Zerocalcare o SIO, solo per fare gli esempi più eclatanti). Quindi, adesso VERAMENTE i nuovi autori hanno la possibilità di proporre idee nuove.
Basta che abbiano il coraggio di sperimentare sulla loro pelle.
D’altronde nessun codardo ha mai rinnovato alcun mondo.
D:Stai rivolgendo la domanda alle persone sbagliate. Il lato creativo, ovvero l’apporto che “le nuove generazioni di autori” possono portare al fumetto italiano, è in costante crescita ed evoluzione.Viviamo in un momento storico eccezionale dove, da un punto di vista di contenuti, l’offerta e la qualità sono a livelli altissimi. Purtroppo, senza un corrispettivo adeguato dal lato industriale/editoriale coi contenuti e basta ci fai ben poco. Quindi, dal mio punto di vista, la domanda è: quale deve essere l’apporto dell’editoria, del marketing, della comunicazione, delle strutture editoriali per far crescere ed evolvere il fumetto italiano in maniera innovativa?
Bella domanda. Speriamo che qualcuno ci risponda.
Intervista realizzata via mail tra il 28 settembre e il 6 ottobre 2016