Dopo la prima parte pubblicata qualche mese fa, questa seconda parte analizza le restanti due storie – Posizione di tiro e Pazza da uccidere – del volume che raccoglie gli adattamenti a fumetti realizzati da Jacques Tardi dei romanzi di Jean-Patrick Manchette, sempre secondo il filtro del confronto/contrasto tra centro e periferia.
In Posizione di tiro, fin dalle premesse della trama, è presente un antagonismo di classe che amplifica il tema centrale: Terrier, il protagonista, ama una ragazza di un livello sociale molto più alto e lei promette di aspettarlo per dieci anni, in modo che lui possa fare fortuna, ma questa promessa viene inevitabilmente infranta, nonostante Terrier sia arrivato a essere un sicario professionista per raccogliere denaro. Tardi, così come in principio fece Manchette, si preoccupa espressamente di non renderci simpatico il protagonista, che non soltanto è ingenuo, ma proprio stupido e credulone. La logica e la freddezza che gli mancano nella vita quotidiana sono le sue migliori qualità nel violentissimo lavoro che svolge. Fin dalle prime pagine è evidente che gli omicidi che gli vengono commissionati non avvengono a Parigi, ma in bucoliche cittadine di provincia: il centro è un “bancomat” per Terrier, luogo atto solo a ritirare i suoi compensi; la periferia è la “fabbrica”, una catena di montaggio di omicidi in sequenza.
Nick Land in un saggio contenuto in Collasso – Scritti 1987-1994 scrive che “la dislocazione delle conseguenze politiche delle relazioni di lavoro al di fuori della metropoli non è un’istanza accidentale dell’accumulazione del capitale […]. È, piuttosto, la condizione fondamentale del capitale in quanto nulla più che un’esplicita aggressione contro le masse”. La periferia è, quindi, un luogo di conflitto, in cui tutte le idiosincrasie del capitalismo si acuiscono contro gli individui e sui loro corpi. Di conseguenza, risulta naturale il voler rappresentare i costanti viaggi di Terrier tra centro e periferia, una serie di inquadrature che mostrano le auto che usa il protagonista e gli scorci cittadini o autostradali, che si innestano efficacemente nella collaudata struttura della pagina impiegata da Tardi. Terrier è un “corriere della morte”: viaggi e sparatorie sono l’unica cosa che conta vedere. È interessante notare, poi, che l’unico viaggio al contrario, ovvero dalla periferia al centro, è un’imboscata ai danni del protagonista, a cui lui riesce comunque a sfuggire. Il finale è la chiusura del cerchio, narrativa e tematica, dove il ritorno di Terrier alla sua piccola cittadina di provincia simboleggia l’impossibilità di fuggire da schemi socioeconomici ormai consolidati, dove la disgrazia si tramanda di padre in figlio: la violenza è sempre rivolta sui più deboli, dove se ora tocca al protagonista subirla, in passato era lui che, durante il periodo nella legione straniera, la rivolgeva a sua volta su chi non se la meritava, in una specie di visione karmica della vita.
Pazza da uccidere comincia subito in maniera emblematica in rapporto al contrasto/confronto tra periferia e centro: Michel Hartog, facoltoso imprenditore che ha ereditato tutta la sua fortuna, preleva da una clinica per l’igiene mentale situata in periferia Julie Ballanger, ragazza in cura da cinque anni dopo diversi crimini, per assumerla come babysitter per il nipote Peter, portandola così nel suo lussuoso appartamento situato in centro: l’ennesimo trauma si consuma in una mente di per sé già poco stabile. Una mattina Julie e il bambino vengono rapiti e portati in un bosco. Così come in Piccolo Blues, il bosco si configura nuovamente come “spazio estremo”, luogo di rapimenti, fughe e omicidi, dove tutto è permesso perché è stato privato delle sue tradizionali connotazioni fiabesche o di comunione con la natura.
Il bosco rappresentato da Tardi è arido, secco e quasi impenetrabile: le vignette in quella sezione presentano figure immerse tra rami appuntiti e intrecciati l’uno con l’altro e tronchi abbattuti, incastrate e fisicamente oppresse, metafora del loro inestricabile destino di vittime e carnefici. Non è un caso che l’equilibrio mentale di Julie vacilli ancora in questa situazione così stressante e la porti a compiere gesti violenti, impostati e disegnati in maniera fredda e asettica. La protagonista, comunque, non è la sola a essere instabile, perché tutti i personaggi presentano vene di follia, da Hartog e il suo razionalissimo piano omicida all’assassino Thompson e il suo venire a patti con una professione che gli distrugge la salute. In tutto questo si riflette l’iniquità dei rapporti di produzione, almeno secondo la visione di Manchette, dove chi è in cima alla classe sociale non si preoccupa di sfruttare qualcuno più in basso per arrecare danni delocalizzati dal centro, come la sparatoria in una piccola cittadina, gestita sempre in maniera distaccata grazie alla costruzione della tavola di Tardi, sempre molto regolare e che non si concede quasi nessuna deviazione (il numero delle vignette tende costantemente al 6, con piccoli rallentamenti della narrazione con 5 vignette e leggere velocizzazioni con 7/8).
Il momento decisivo è lo scontro a fuoco nel complesso quasi-labirintico situato in campagna e costruito da Fuentès, precedentemente amico e complice d’affari di Hartog, dove avviene la risoluzione di tutta la vicenda. Quello che è interessante notare è l’invidia di Hartog per la creatività di Fuentès, che non si può comprare con il denaro (sottolineando quanto sia sottile il confine tra follia e creatività e quanto la stigmatizzazione dell’una e l’esaltazione dell’altra dipendano spesso da uno status sociale), e lo scontro tra due modi di affrontare la vita, incompatibili tra loro. Le macerie del complesso segnano lo specchio morale di personaggi in rovina, schiacciati da norme, riti e ritmi sociali alienanti. Non è casuale che il piccolo Peter sia fondamentale nello scombinare gli equilibri e portare un po’ di inaspettata giocosità in sequenze che fanno della violenza e del realismo macabro il loro fulcro, salvando di fatto Julie. Il loro rapporto, lungo la storia, si è rinforzato e consolidato ma il finale dolceamaro conferma quanto certi forti traumi rimangano inconsci e quanto il separarsi da qualcosa sia a volte la scelta migliore.
Le storie di Manchette e Tardi si prestano anche a ulteriori analisi di altro tipo, ma concentrare l’approfondimento sul confronto/contrasto tra periferia e centro è sembrato naturale visto lo specifico discorso tematico e grafico-visivo che i due autori hanno messo in pratica. Questi fumetti, ancora oggi a diversi anni dalla pubblicazione, forniscono non solo storie di assoluta qualità ma strumenti per affrontare la realtà in un’epoca di scollamento progressivo tra il centro e la periferia in ogni angolo del mondo.
Abbiamo parlato di:
Manchette-Tardi L’integrale: Griffu-Piccolo blues-Posizione di tiro-Pazza da uccidere
Jean-Patrick Manchette, Jacques Tardi
Traduzione di Stefano Andrea Cresti
Oblomov Edizioni, 2021
360 pagine, cartonato, bianco e nero – 40,00€
ISBN: 9788831459198