Mamma Uovo è una favola scritta da Gabriella De Benedetta, Silvia D’Ovidio e Antonello Pinto, con le illustrazione realizzate da Sergio Staino, allo scopo di aiutare le mamma a comunicare il significato della propria malattia ai loro bambini. All’indomani dell’uscita di Papà Uovo, corrispettivo di Mamma Uovo per la figura paterna, abbiamo approfondito con gli autori le motivazioni che hanno dato origini ai due testi, le risposte ricevute dai pazienti e i progetti futuri che andranno a completare quest’importante iniziativa.
Com’è nata l’idea di realizzare questo libro illustrato?
L’idea è nata da un’esigenza lavorativa, in quanto molti pazienti oncologici tendono a non informare i loro figli minorenni circa la malattia da cui sono affetti, o lo fanno con molta difficoltà. Tale atteggiamento protettivo può alimentare un crescente disagio psicologico nei figli e modificare in senso negativo le capacità gestionali dell’intera famiglia rispetto alla malattia. Inoltre, le preoccupazioni legate alla genitorialità possono incidere negativamente sulla qualità di vita dei pazienti/genitori, influenzandone anche le scelte terapeutiche.
Per affrontare tali problematiche abbiamo, quindi, ideato uno strumento specifico allo scopo di sostenere i genitori durante la comunicazione della diagnosi oncologica ai loro figli minorenni. Lo strumento, concepito sotto forma di favola, racconta dal punto di vista di un bambino la malattia del genitore e la conseguente chemioterapia, utilizzando un linguaggio semplice e trasversale, adatto a più fasce d’età e arricchito dalle illustrazioni di Sergio Staino che accompagnano l’intero racconto.
Come avete messo insieme le vostre competenze?
Sono molti anni che condividiamo ogni giorno la vita di reparto con le sue storie e sue difficoltà. L’integrazione e la contaminazione dei nostri saperi è fondamentale per poter lavorare in equipe e siamo allenati a farlo. Il libro è arrivato al termine di un lungo lavoro di ricerca e di riflessione sulla tematica della genitorialità e fin dalle prime fasi di questo percorso la condivisione con i medici per noi è stata una grande ricchezza. Spesso è la curiosità rispetto alle reciproche competenze che ci spinge al confronto e alla contaminazione; più spesso è l’esigenza di prendersi cura del paziente che ci obbliga a farlo. In ogni caso, sappiamo che è di fondamentale importanza riuscire a collaborare quando bisogna orientarsi nella complessità. Per il libro potremmo dire che noi, come psicologhe, abbiamo scritto la favola illustrando e spiegando quello che abbiamo ritenuto più problematico per i bambini; il medico ci ha aiutato soprattutto nello spiegare il piccolo mondo delle cellule, trovando metafore e semplificazioni che spiegassero senza banalizzare.
Infine sono arrivate le immagini di Sergio. Con lui c’è stato un grande feeling dal primo momento. Nonostante non ci conoscessimo prima di questa esperienza, è stato semplice e naturale collaborare. Sergio è riuscito a entrare nel progetto e a comprenderne lo spirito con una facilità che ci ha sorprese e stupite. Sergio ha in sé la leggerezza (quella di cui parlava Calvino), unica arma per sostenere i macigni della malattia e questa grande risorsa forse è stato il punto i cui e per cui ci siamo incontrati.
Com’è avvenuta l’idea di collaborare con un disegnatore e perché proprio Staino?
Con Sergio c’è stato un incontro casuale dal quale è nata una grande sintonia. Ci siamo conosciuti intorno a un tavolo gustando prelibatezze della cucina napoletana, e, tra un bicchiere di vino e un fritto, abbiamo parlato del nostro lavoro e della nostra idea della favola. A Sergio è piaciuto il nostro progetto, ne ha compreso e condiviso fin dal primo momento l’intenzione e il significato, e immediatamente si è reso disponibile ad aiutarci per realizzarlo.
Era da tempo che cercavamo qualcuno che potesse aiutarci con le illustrazioni, ma abbiamo incontrato molte difficoltà perché il tema della malattia rattrista e appesantisce, e nei disegni tutto ciò emergeva in maniera prepotente. L’incontro con lui è stato decisivo per dare vita a Mamma Uovo. E pensare che, prima di quella cena mai avremmo immaginato di poter collaborare con un grande artista come lui. Insomma, il caso ci ha aiutate e ha anche segnato la via di questa collaborazione che è stata divertente, proficua, ricca e stimolante.
Quale pensate sia la funzione delle illustrazioni di Staino in un volume come il vostro?
Sicuramente accompagnare e alleggerire il racconto ma anche aiutare i bambini più piccoli a comprendere ciò che si sta dicendo. Una delle difficoltà alle quali abbiamo dovuto fare fronte è stata proprio quella di comunicare con bambini piccoli, spesso in età pre-scolare. In questi casi, il libro diventa un oggetto che il bambino utilizza proprio grazie alle immagini. Una mamma ci ha raccontato che la sua bambina di 4 anni ha portato il libro all’asilo e ha spiegato ad alcuni dei suoi compagni ciò che stava accadendo alla sua mamma. Lei aveva letto il libro con la bambina e la piccola aveva fatto suo quell’oggetto e, nonostante l’età, riusciva a utilizzarlo da sola, proprio grazie alla presenza delle immagini.
Le illustrazioni di Sergio Staino danno volto e vita alle cellule del corpo umano, rendendole comprensibili e familiari non solo ai bambini ma anche ai grandi di ogni età. Le immagini arrivano ben oltre le parole e rimangono impresse nella mente anche quando tutto il resto scompare.
Parlateci delle difficoltà che avete avuto nello sviluppare questo progetto, soprattutto considerando la delicatezza dell’argomento. Avete dovuto evitare di trattare alcuni temi?
In verità no, non abbiamo evitato i temi delicati perché la favola è nata proprio per affrontare le situazioni più spinose. Abbiamo cercato di considerare tutti gli elementi più difficili dell’inizio del percorso terapeutico come la diagnosi, la chemioterapia e gli effetti collaterali.
La nostra esperienza ci insegna che la fantasia è sempre più catastrofica della realtà, e una corretta spiegazione delle cause risulta essere rassicurante.
Ad esempio per un bambino è più rassicurante sapere che i capelli cadono per effetto dei farmaci piuttosto che pensare che la malattia è così grave da far cadere i capelli, così come è importante sapere perché la mamma, dopo essere stata in ospedale a fare le cure, non si sente bene.
L’unico argomento non trattato è la possibile morte del genitore malato, perché non ci è sembrato opportuno farlo all’inizio del percorso terapeutico, momento in cui viene utilizzata questa favola. Inoltre, molti dei nostri pazienti guariscono dalla malattia e questo ci dà la possibilità di considerare le difficoltà della vita più che quelle della morte. Ovviamente, quando la situazione lo richiede, si fa un lavoro specifico sulla separazione e sul lutto. Sul tema della morte esistono già degli strumenti, mentre non ne esistevano sulla malattia e sui trattamenti chemioterapici.
A quale pubblico vi rivolgete?
Ai bambini dai 3 anni in poi che abbiano un genitore ammalato di tumore. In verità stiamo usando questa favola anche con molte nonne e zie che svolgono funzione vicaria della mamma occupandosi dei nipoti quando queste sono al lavoro o che comunque hanno un ruolo importante nella vita dei piccoli.
Come vi siete proposti alle case editrici e com’è stato il rapporto con Marotta&Cafiero?
Abbiamo scelto di proporci alla Marotta&Cafiero perché ci è piaciuto il loro modo di lavorare e intendere l’editoria. La Marotta & Cafiero è una casa editrice indipendente – open access, napoletana, che si occupa di narrativa sociale e d’impegno, con particolare riferimento alla città di Napoli. È gestita totalmente da giovani di Scampia, pubblica con licenza Creative Commons e dedica particolare attenzione anche ai problemi del clima e dell’ambiente, stampando libri su carta riciclata. Per tutti questi motivi abbiamo deciso di proporre a loro il nostro libro e abbiamo trovato delle persone capaci e disponibili che hanno sposato in pieno l’idea e gli obiettivi del progetto. Basti pensare che noi autori abbiamo rinunciato per intero ai diritti d’autore per devolverli in beneficenza a un’associazione che si occupa di pazienti Onco-Ematologici e anche la casa editrice ha rinunciato a parte dei suoi guadagni per lo stesso scopo. Inoltre la Marotta & Cafiero si è proposta di istituire e costituire una piccola biblioteca all’interno del reparto, con un vasto assortimento di libri. Per noi Mamma Uovo è speciale anche per questo, per le persone e le realtà meravigliose con le quali ci ha consentito di interagire.
Cosa pensate del rapporto tra grafica e narrativa e in generale della medicina grafica?
Parlando di grafica e narrativa ci viene in mente l’immagine. L’immagine mette in contatto la persona che la guarda con significati e sensi soggettivi, ricordi e contenuti che spesso vanno oltre ciò che è racchiuso nell’immagine in sé. Hillman nel Il Codice dell’Anima ci dice che
“Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia nel venire al mondo dimentichiamo tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino. (…) Si è cercato per secoli il termine più appropriato per indicare questo tipo di “vocazione”, o chiamata. I latini parlavano del nostro genius, i greci del nostro daimon e i cristiani dell’angelo custode.” (James Hillman, Il Codice dell’Anima, Adelphi, Milano 1997, p. 22, 23, 24.)
Che tipo di riscontri avete avuto finora?
Abbiamo avuto riscontri che ci hanno emozionate come non avremmo mai potuto immaginare. Conserviamo gelosamente le parole di chi ha guardato per la prima volta alla chemioterapia come un’alleata dopo aver letto il libro, e le immagini dei bambini che nel letto rileggono la favola anche quando il brutto mostro della malattia è andato via. È dall’inizio che le reazioni alla favola ci hanno fatto emozionare. Ricordate la frase di Chesterton che apre il libro? Ci è stata donata da una paziente con cui abbiamo utilizzato la favola quando ancora non era un libro.
Da un punto di vista più puramente tecnico e professionale, stiamo fornendo una scheda di valutazione a tutti i nostri pazienti a cui diamo il libro (che distribuiamo gratuitamente in reparto) per aiutarci a capire se e come si sentono aiutati da questo strumento. Non abbiamo ancora risultati ufficiali ma a una prima lettura il risultato è veramente brillante.
Basandovi sulla vostra esperienza, raccontateci le reazioni che avete riscontrato nei comportamenti dei bambini nel rapportarsi alla malattia e alla sofferenza dei propri genitori.
Le reazioni di cui siamo state testimoni in questi anni sono molto varie e vanno dalla rabbia contro il genitore malato al prendersi cura di lui come se i ruoli fossero invertiti. Ma in ogni caso tutti i bambini hanno manifestato apprezzamento per il fatto di essere coinvolti e resi partecipi di quello che accade in famiglia, e molti hanno cambiato il loro comportamento in famiglia dopo essere stati informati esplicitamente della malattia.
Qual è, a vostro parere, la difficoltà più grande che hanno i genitori nello spiegare ai figli quello che si trovano ad affrontare?
Le difficoltà sono tante, a iniziare dal fatto di dover parlare di cose che spaventano, angosciano e fanno sentire vulnerabili, e doverlo fare con i propri figli, di fronte ai quali tutti i genitori vorrebbero avere un’immagine di forza e sicurezza. Inoltre, non è facile trovare le parole giuste per descrivere in modo veritiero una realtà che coinvolge profondamente. Per questi motivi e per il timore di dover rispondere alle difficili domande dei figli, molti pazienti ci chiedevano di sostituirci a loro nella comunicazione.
L’utilizzo di questo strumento, suggerendo parole e immagini, consente al paziente di mantenere il proprio ruolo genitoriale occupandosi in prima persona della comunicazione, ma al contempo di sentirsi sostenuto; inoltre la comunicazione può avvenire a casa, quindi in un contesto familiare e protetto per il bambino.
Pensate che la medicina tradizionale dia abbastanza spazio all’ascolto dei pazienti, dei loro bisogni e di quelli dei loro familiari, o servirebbe una maggiore attenzione e supporto psicologico?
Nella nostra piccola realtà si, infatti ci sono due psicologhe per il dipartimento di ematologia oncologica. Ma in generale no, non c’è la dovuta attenzione alla qualità della relazione con il paziente e i suoi familiari, ne tanto meno alla loro qualità di vita. La figura dello psiconcologo non è sufficientemente considerata ed è scarsamente presente nelle strutture oncologiche.
E’ appena stato pubblicato l’equivalente al “maschile” di Mamma Uovo, Papà Uovo, è già in stampa. Potete dirci qualcosa in più su questo nuovo lavoro?
L’idea di stampare Papà Uovo è nata insieme a Mamma Uovo ma, per esigenze non dipendenti da noi, non è stato possibile stamparlo prima. I genitori hanno entrambi un ruolo fondamentale che si tratti di mamma o di papà ad ammalarsi bisogna informare adeguatamene i figli. Finalmente Papà Uovo è pronto e si può trovare in tutte le librerie. Inoltre c’è stata la ristampa di Mamma Uovo, la cui prima edizione era andata esaurita.
Avete ulteriori progetti che prevedano l’utilizzo delle immagini da realizzare nel prossimo futuro?
Da questi libri stiamo realizzando un cartone animato, che presenteremo prossimamente (speriamo già entro maggio) e che sarà visibile liberamente sul sito lamalattiaspiegataamiofiglio.com.Questo video non nasce con l’idea di sostituire il libro, ma piuttosto come ulteriore strumento di comunicazione che, attraverso l’utilizzo di un nuovo veicolo comunicativo visuale e verbale, arricchisce la comunicazione dei due libri.
Intervista realizzata via mail nel febbraio 2018