PREMESSA DUE VOLTE AUTOBIOGRAFICA
Capitolo uno, “io, gigione”. Nei lontani anni cinquanta, capito’ una volta a quel gran giornalista che era Lamberti Sorrentino l’esperienza di recitare come attore in un film neorealista. Esperienza così diversa dalle sue attività quotidiane da lasciarlo scioccato quanto basta a indurlo a scriverci sopra una lunga inchiesta. Uscita poi sul settimanale “Epoca” col titolo “Io, gigione”. Un titolo che, a me ragazzetto, aveva molto colpito. Non saprei esattamente per quali ragioni, ma suppongo fosse per quella carica di ammiccante autoironia che vi percepivo. è per questo che ora in qualche modo me ne impossesso, riciclandolo a mio uso e consumo.
Capitolo due, “gigione anch’io”. Nel 1984, in occasione dell’uscita del mio saggio “Corto come un romanzo”, Folco Quilici mi chiese di partecipare alla sua trasmissione televisiva Geo – impostata sul viaggio, sulla scoperta e sull’avventura, e con un retroterra ecologico – per parlare di quello speciale viaggiatore che è Corto Maltese. La mia ipotesi era quella di inserirlo nella sua qualità di viaggiatore in ogni contrada del mondo, attento pero’ agli ambienti naturali da lui “visitati” e curioso degli aspetti etno-antropologici. Un “dire a nuora perché suocera intenda”, ovviamente: nel senso che le vere attenzioni del genere sono quelle evidenziate da Hugo Pratt nel disegnare con grande scrupolo documentale le sue storie, anche quando avrebbe potuto evitarlo.
Quella puntata di Geo andata è andata in onda su Raitre, nell’ormai remoto 1984, alle 19.35 del 5 maggio, e naturalmente ne era conduttore Folco Quilici, la presentatrice era Mita Medici ed io, l’ospite, facevo da “ambasciatore” del protagonista Corto, assente giustificato per… improrogabili impegni di viaggio. Pero’ la nostra conversazione, vivacemente improvvisata a braccio, è stata di conseguenza meno organica di quella che era la mia idea originaria, da me ovviamente concepita nella mia dimensione più consueta, ossia da “critico che scrive”. Per cui, ecco qui, mi permetto di sottoporre alla vostra pazienza di lettori quella che era la mia idea/spunto iniziale, qui rielaborata sotto forma di articolo.
Preliminarmente, mi permetto di ricordare al lettore alcune essenziali nozioni scolastiche, sicuramente a suo tempo snocciolate dall’insegnante di geografia fisica e qui ricapitolate in una rudimentale semplificazione: per ragioni circolatorie generali dell’atmosfera – nei cui dettagli ovviamente non entro – dall’equatore ai poli si succedono, più o meno identiche a tutte le longitudini, le seguenti situazioni ambientali: la fitta foresta pluviale, che sfuma gradualmente nelle zone semi aride quali la savana, poi i deserti – da quelli rocciosi a quelli sabbiosi – le ampie zone temperate delle praterie, le foreste temperate – latifoglie o conifere – per giungere finalmente alla tundra o alle steppe gelide e poi alle zone più o meno perennemente innevate. Senza naturalmente dimenticare quell’ambiente naturale che sono gli oceani, i quali occupano non a caso tre quinti dell’intera superficie del globo, estesi soprattutto nell’emisfero sud. Ebbene, si può dire che non c’é alcuno di questi ambienti naturali sul cui sfondo, a Corto Maltese, non capiti prima o poi di agire. E – appunto per ribadire quanto detto – è una apprezzabile attitudine di Hugo Pratt quella di circostanziare con scrupolo, sia pure con il suo disegno essenziale, la specificità di ogni singola situazione ambientale.
Il che significa tra l’altro che egli si fa scrupolo di darci ambienti naturali specificamente circostanziati: per esempio, attraverso le corrispondenti piante, quali i cactus nelle zone aride; o le fitte ombreggiature chiaroscurali della foresta; della quale inoltre non trascura gli animali, per esempio gli anaconda o le farfalle. Dettagli bensì tali da apportare una valenza estetica, ma idonei anche a testimoniare che soltanto chi ha realmente sperimentato quegli ambienti – e certamente il “giramondo” Pratt – può raffigurarli con tale veridicità e secondo parametri ottimali.
Corto Maltese è senz’altro uno dei più irrequieti viaggiatori che si possano immaginare. Tutta la sua vita è all’insegna del vagabondaggio, sia da bambino quando lo portava in giro sua madre, la bellissima zingara Nina da Gibraltar, sia successivamente quando, poco più che adolescente, si mise in viaggio lui stesso per proprio conto. Viaggi che lo hanno portato in tutti i continenti, a contatto con ogni tipo di realtà sociale, politica, ma soprattutto ambientale.
Naturalmente ci si potrebbe chiedere perché si viaggia e si possono dare tante risposte. Si viaggia per naturale curiosità di conoscere altre genti, altri paesi. Si viaggia per sostituire con nuovi ricordi vecchi ricordi dolorosi. Si viaggia anche perché ci costringe al viaggio un’attività che si è scelto di esercitare. E per altre ragioni ancora, naturalmente. In Corto Maltese, tutte queste ragioni probabilmente confluiscono, conferendogli una specie di istinto nomade, del quale peraltro egli stesso è ben consapevole. C’é, infatti, un momento in cui la fascinosa Bocca Dorata, nella sua casa di Itapoa, gli dice: “Qui avresti trovato tutto ciò che cerchi… Ma tu sei cieco come una talpa…” E lui pensoso le risponde: “Puo’ darsi, Bocca Dorata… Ma è affar mio accorgermene“. “E allora?” incalza lei provocatoria, venendo al sodo, “che fai bel marinaio, parti?” “Sono costretto…” sembra ironizzare lui, non si capisce bene se rassegnato o divertito, “Non sono di quelli che mettono radici“.
Dunque, il Bel Marinaio viaggia. E lo fa per tante ragioni. Essendo fra l’altro un pirata (un pirata moderno, cioé magari anche venditore d’armi come Arthur Rimbaud) si sposta per consegnare qua e là i suoi carichi, magari micidiali. Così lo troviamo a portare armi ai dervisci in Africa, oppure in Irlanda ai ribelli irlandesi. Ma a volte si sposta anche per motivi umanitari: come ad esempio quando si addentra nella foresta amazzonica per rintracciare un bambino forse rapito dagli Indios. E quanto ai vecchi ricordi dolorosi, la cosa è più che evidente: ad esempio, nel lungo episodio Corte Sconta detta Arcana, dove emergono spesso allusioni a una misteriosa Lei, che probabilmente è stata in passato un suo grande amore da cui è rimasto deluso. Ma forse tutti questi sono solo degli alibi per uno spirito nomade, marcato da una certa inquietudine istintiva, non solo fisica ma anche intellettuale.
Gli ambienti del pianeta, quindi, Corto Maltese li conosce e li frequenta praticamente tutti. Logico, pero’, che essendo un marinaio, il suo ambiente più naturale sia il mare. E d’altra parte il viaggio per mare è forse il più classico dei viaggi avventurosi, tanto più in un periodo “romantico” come quello di Corto, quando i mezzi di trasporto erano ancora i velieri, ossia mezzi la cui possibilità di muoversi era ancora dipendente dalle condizioni naturali. Per cui il viaggio per mare, in quelle condizioni, già si configura in sé stesso come avventura, in quanto lotta contro un elemento – l’acqua – che non è quello consono all’animale “uomo”, tipicamente terrestre. Comunque, al di là di ogni filosofia, non c’é dubbio che i mari e i relativi mezzi di trasporto, e le incantevoli spiagge dei Mari del Sud coi loro palmizi sono uno sfondo molto frequente nella vita di Corto Maltese. Eppure egli è senz’altro un marinaio “sui generis”, non privo di qualche apparente contraddizione. Perché a un certo punto dichiara egli stesso “preferisco il deserto”. E in effetti, nei suoi viaggi il deserto compare spesso, in tutti i suoi aspetti: dall’erg sabbioso al serir ciottoloso, all’hammada roccioso, oltre al kuno, il deserto freddo mongolo, da lui visto anche sotto la neve.
Tuttavia le curiosità, le inquietudini, insomma potremmo dire le annotazioni di viaggio di Corto Maltese si estendono dagli ambienti naturali anche agli aspetti etnografici. In Somalia, ad esempio, egli si sofferma a lungo a parlare con la madre di Cush, splendidamente ornata di preziosi monili; ferma la sua attenzione sul “ras” e sui suoi modi di vestire e di addobbarsi. E nei Mari del Sud “annota” i mascheroni lignei, così come in mezzo alla foresta amazzonica la sua attenzione è attratta dagli indigeni, dai loro ornamenti e così via.
Eguale curiosità lo attira del resto verso le costruzioni e le architetture: dalle splendide case della Nuova Guinea alle umili capanne somale, i tucul; dalle lussuose architetture coloniali dell’America Latina ai funzionali fortini che sorgono come miraggi dal deserto.
E naturalmente, un fascino particolare attira Corto Maltese verso le architetture misteriose, verso le costruzioni dalla suggestione magica e dai risvolti esoterici. Gli riuscirebbe difficile, per esempio, passare dalla Cornovaglia senza addentrarsi nell’interno a visitare Stonehenge e i suoi misteriosi megaliti. E la suggestione magica del luogo, detto per inciso, gli gioca un brutto tiro, perché lì vive un’avventura che egli poi non saprà se ascrivere al sogno o alla realtà. Mentre poi in un altro sogno – in una prima occasione non proprio suo ma del giovane amico Tristan Bantam; ma successivamente anche suo, nella sua avventura estrema – compare anche il mitico continente Mu. En passant, va sottolineato che questa è una faccenda abbastanza interessante, nel senso che l’autore Hugo Pratt opera delle curiose contaminazioni. Infatti nel ricostruire il continente perduto Mu, egli propone degli interessanti elementi architettonici: le strutture circolari tipiche, come quelle di Stonehenge, anche di altre parti del mondo, sia in Europa, sia ad esempio nella Sillustani incaica sul Titicaca; i “giganti” di Tula nel Messico e le piramidi del Viale dei Morti a Teotihuacan; gli anelli del gioco della pelota (come quelli di Chichen-Itza nello Yucatan) che qui diventano monumenti; le famose maschere funerarie azteche, compreso il famoso cranio di cristallo. Una congerie di elementi, in definitiva, che testimoniano in Pratt una appassionata cultura archeologica e una forte propensione a elementi magici.
Ma per Corto Maltese, veneziano di elezione anche se non – burocraticamente – di cittadinanza, la più magica delle città sembra rimanere Venezia. Infatti lui la vede, più che nei consueti aspetti turistici, forse banali, in quelli più insoliti e segreti: la Venezia dei tetti, per esempio, e delle altane, che è lo scenario di una parte significativa del racconto Fiaba di Venezia; o la Venezia dei campielli fuori mano; ancora incontaminati dal “traffico”; o addirittura la Venezia delle “corti” interne, coi loro intonaci scrostati, coi loro giardinetti incolti, i loro gatti pigri, indisturbati e padroni. è la Venezia descritta ad esempio, in letteratura da Frederick Rolfe detto Baron Corvo, uno “scrittore maledetto”, riscoperto e rivalutato anni dopo la sua morte; o la Venezia quotidiana di scrittori attuali come Nantas Salvalaggio e più ancora Carlo della Corte e Alberto Ongaro.
Insomma, com’é logico, dir marinaio è dire Venezia. E per Corto essa dovrebbe essere la città dell’anima, il luogo ideale in cui fermarsi definitivamente per la vita. E invece neanche questo è vero, e lo dice lui stesso che ne è consapevole. Infatti, alla fine di un episodio, il maresciallo Sorrentino lo tenta, “Sei sicuro di voler partire questa sera?” “Sì, Sorrentino” è la ferma risposta del Corto. “Questa città è bellissima e io finirei per lasciarmi prendere dal suo fascino, diventerei pigro” per concludere poi melanconico sullo sfondo della splendida Basilica di San Marco “Venezia sarebbe la mia fine“. E qui, per Corto Maltese, il cerchio si chiude. Probabilmente, in ciò sta la filosofia di un qualunque “viaggiatore”: l’impossibilità, per loro, di fermarsi, la spinta al movimento continuo, il terrore che qualcosa li invischi se si fermano, la repulsione anche alla sola idea della sosta. E anche per Corto Maltese il ciclo delle peregrinazioni ancora una volta ricomincia.
CONSIDERAZIONI PER UNA CONCLUSIONE
Eeeh… Il nostro caro Hugo Pratt… Da quando non c’é più, sono (siamo!) tutti lì a strattonarlo per ogni dove. Perfino sul piano politico, c’é chi lo tira a sinistra, chi a destra, chi in altre direzioni ancora (e magari lui non ne andava bene nessuna, essendo un sostanziale individualista anarcoide). Mancava solo che lo si tirasse anche al fargli svolgere dei ruoli sociali: come in questo caso, ché gli abbiamo fatto fare la parte del professore… Benché pero’, a dire il vero, lui l’insegnante lo abbia fatto sul serio, essendo stato per anni docente alla Escuela panamericana de Arte… E con un gusto che risulta addirittura documentato. Ma questa, come suol dirsi, è un’altra storia. Della quale pero’ – promesso – ci occuperemo in una futura occasione.
Voglio pero’ sottolineare la curiosa verosimiglianza e la involontaria originalità di prospettive del presente articolo, che forse non sarebbe mai “nato” se non ci fosse stata, a monte, una singolare concomitanza di fattori. Innanzitutto, il fatto che un certo personaggio – Corto Maltese, nel caso specifico – sia caratterizzato dal fatto di essere un giramondo, per cui risulta abbastanza naturale che lo sfondo delle sue gesta possano essere degli ambienti naturali fra i più disparati. Bisogna un po’ insistere su questo requisito, perché nel fumetto la rappresentazione di una ampia gamma di ambienti naturali non è per niente la regola, anzi è abbastanza inconsueta. Non solo, quando anche il disegnatore (molto più che l’autore) raffiguri sullo sfondo delle vignette l’ambiente circostante, di solito non si va al di là di un “fondale” monocorde, perché logicamente una certa serie si svolge in un certo luogo e in un certo periodo (per esempio, il West: con le sue praterie o le sue aride mesas e nient’altro).
In secondo luogo, pero’, la ulteriore circostanza – in se stessa non necessaria, ma in concreto effettiva – che l’autore (com’é ovvio, Hugo Pratt) avesse il gusto e il piacere di far agire spesso il suo personaggio “in esterni” e pertanto di raffigurarli, questi ambienti naturali. E infine un’altra indispensabile circostanza, ossia che un critico di fumetti – beninteso, è la volta del sottoscritto – fosse tale soltanto per hobby, essendo la sua normale attività quotidiana quella di insegnante alle Superiori di una materia quale la Geografia generale. Con tanto di servizio, per anni, quale professore di geografia fisica e, per la stessa materia, commissario agli esami di maturità. Cio’ che pertanto lo predisponeva, in via abbastanza automatica, a una condizione, quella di essere particolarmente sensibile alla variegata raffigurazione degli ambienti naturali medesimi. Da qui, la incuriosita attenzione per l’operato di Pratt, che in questa specifica direzione risultava un involontario “collega”.
Ci voleva dunque la convergenza di vari elementi: un autore sensibile al paesaggio, un personaggio giramondo – in modo tale che in momenti diversi della finzione narrativa la sua vicenda venisse a trovarsi in differenti ambienti naturali (ed è quanto puntualmente succede a Corto Maltese, anzi quasi esclusivamente a lui) e infine un “critico” che casualmente avesse un retroterra tale da essere a sua volta sensibilizzato a questo genere di dettagli.
Detto poi per inciso, va sottolineato che la chiacchierata sugli ambienti fatta in questa sede si limita a qualche appunto relativo solo alla saga di Corto Maltese. In realtà, pero’, è l’intera opera di Pratt ad essere attraversata da questa viva attenzione per gli ambienti naturali. Un’attenzione già presente quando egli si limitava a disegnare storie scritte da altri, per esempio nella sua lunga collaborazione con Hector G. Oesterheld. Ma sarebbe difficile dimenticare la presenza vitale della prateria o delle pianure aride nella serie Sergente Kirk, o la funzionale presenza della foresta in vari dei racconti di Ernie Pike ambientati nelle Filippine o nelle isole del Pacifico. E suggestive raffigurazioni degli ambienti equatoriali africani abbiamo fin dal primo dei racconti autonomi di Pratt, Anna nella giungla, o l’efficace incombere del deserto in tanta parte della sua serie amatissima, Gli Scorpioni del deserto. Un’incessante esibizione, dunque, della inevitabile interazione e compresenza fra l’uomo e gli ambienti naturali. I quali forse non sarebbero mai stati rappresentati in maniera tanto efficace e precisa – sia pure nella frequente semplicità dei tratti – se l’autore non li avesse visti e vissuti di persona, essendo stato quell’infaticabile giramondo di cui ben si sa.
Questo articolo si trova pubblicato sul numero 54 (maggio 2005) di FUMETTO, la rivista trimestrale dell’ANAFI (Associazione Nazionale Amici del Fumetto e dell’Illustrazione), distribuita solo ai soci della medesima. Punto di riferimento degli appassionati di fumetti fin dal lontano 1971, FUMETTO è uno dei benefici di chi si associa all’ANAFI; infatti, ogni anno, oltre ai quattro numeri della rivista, vengono poi destinati ai soci almeno due volumi omaggio appositamente editi. Nel 2005, i due omaggi sono il volume in formato comic book intitolato LE REGINE DELLA GIUNGLA, dedicato alle “tarzanelle” a stelle e strisce, con storie inedite in Italia firmate da grandi autori come Lubbers, Powell, Fletcher, Kamen, Webb e altri ancora, e l’albo dedicato a SERGIO TARQUINIO – Un disegnatore per l’avventura, uno studio di oltre 200 pagine su uno dei disegnatori italiani che maggiormente ha improntato col suo stile un lungo periodo del fumetto italiano.
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