All’interno della seconda edizione di Cerea!, che si è tenuta il 5-6 maggio 2018 all’interno della libreria Feltrinelli di Piazza CLN a Torino, Lo Spazio Bianco ha promosso in collaborazione con gli organizzatori dell’evento un incontro con gli autori per ragionare insieme sulla sempre crescente importanza del fumetto “da libreria”. Chi scrive, assieme a Camillo Bosco, titolare della cattedra di storia del fumetto presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo e curatore dell’evento, ha così dialogato con alcuni nomi del fumetto torinese che vivono in prima persona questa esperienza: Andrea Ferraris, Lucia Biagi e Capitan Artiglio, al secolo Julien Cittadino.
Andrea Ferraris, formatosi alla scuola di fumetto bolognese con Vittorio Giardino e Marcello Jori, viene da una lunga esperienza nella Disney degli anni ’90, ed approda al romanzo a fumetti con Bottecchia (Tunué, 2011), su testi di Giacomo Revelli, per poi divenire autore completo con due romanzi a fumetti di ambientazione storica come Churubusco (Coconino, 2015), ambientato nella guerra tra Usa e Messico, e La cicatrice (Oblomov, 2018).
Lucia Biagi (Pisa, 1980), che oltre alla produzione di fumetti gestisce la fumetteria torinese Belleville, è legata maggiormente a un romanzo a fumetti per ragazzi, con opere come Pets (2009), Punto di fuga (2014) e Misdirections (2016), oltre a Japanize Me, guida a fumetti del Giappone.
Capitan Artiglio (Torino, 1993) è invece un recente esordiente che ha attratto molta attenzione con il suo Kids with guns (Bao, 2018), western fantasy/fantascientifico con cowboy, magia e dinosauri.
Tre punti di vista quindi molto diversi per percorsi di formazione e genere letterario. La discussione è partita dal tema della definizione stessa di questo “nuovo fumetto” degli ultimi anni, caratterizzato da un netto aumento delle presenze librarie. Appare chiaro fin da subito il netto rifiuto di etichette precise da parte degli autori, che non ritengono sia utile un concetto di “fumetto indie”, indipendente o similari – a somiglianza di quanto invece avviene nell’ambito del cinema e della musica, dagli anni ’80 e ’90. Ferraris sottolinea piuttosto la somiglianza con quanto avvenuto, musicalmente, con il punk del ’77, che ruppe gli schemi preesistenti favorendo l’esplosione dei sottogeneri del rock e del pop nel corso degli anni ’80; Lucia Biagi rivendica piuttosto una più sfumata comune “attitudine” nell’affrontare il proprio lavoro, dando un maggior peso alla ricerca, alla sperimentazione, all’espressione personale a scapito di una formula più codificata propria del fumetto seriale; Capitan Artiglio evidenzia infine il rapporto con l’underground, citando nomi come Ratigher: un underground – chiosa Bosco, correttamente – che dal sottosuolo è passato “sulla cima del grattacielo”, con Ratigher a dirigere la Coconino e molti altri autori in posizioni di primo piano del fumetto italiano.
Stante il rifiuto di una definizione comune, tutti e tre gli autori condividono comunque la percezione di una comune dimensione nella distribuzione e diffusione di questo crescente fumetto “da libreria” (in mancanza di migliori definizioni). Ferraris sottolinea come questa transizione nel fumetto da un lato abbia aperto nuove possibilità, ma dall’altro abbia reso molto più difficile “vivere di fumetto”, ovvero costruire una carriera basata interamente sul mercato librario, a parte casi di successi eclatanti. Per contro, il fumetto seriale, un tempo più diffuso, permette un pagamento “a tavola” in grado di consentire di pianificare in modo più sicuro un professionalità nell’ambito del fumetto.
Gli altri autori concordano, in linea di massima, con tale prospettiva: Capitan Artiglio conferma in particolare che la maggiore offerta consentita dallo sviluppo del mercato librario gli ha consentito di esordire con un’opera e un segno fumettistico precedentemente meno usuali in Italia, che difficilmente, prima di questa nuova evoluzione, avrebbe trovato spazio nel fumetto seriale tradizionale. Lucia Biagi, anche sulla base della sua esperienza nella gestione di una fumetteria, constata come si sia ampliato molto il numero dei titoli presenti sugli scaffali di una fumetteria, specie volendo mantenersi aggiornati sulle evoluzioni complessive dello scenario del fumetto; questo però comporta una difficoltà da parte del pubblico – e dei librai – di mantenersi aggiornati sul tutto, portando certo a una proposta più ricca ma anche per molti versi dispersiva.
Passando, con una nuova domanda, dall’aspetto distributivo a quello “contenutistico” del nuovo fumetto, si ragiona sulla sua identità, e sul suo rapporto da un lato con la letteratura tradizionale, “scritta”, dall’altro coi maestri dell’epoca del “fumetto d’autore”, o anche altri ambiti come appunto il cinema. Di nuovo, si coglie un atteggiamento simile di generale apertura agli altri media, pur rivendicando sempre lo specifico del fumetto. Ferraris ribadisce l’importanza della lezione del fumetto “d’autore”, una stagione del fumetto italiano che che ha trovato epigoni d’ispirazione tutt’ora influenti per le generazioni di fumettisti: Hugo Pratt, Milo Manara, Guido Crepax, Sergio Toppi e Attilio Micheluzzi tra i tanti.
Anche Lucia Biagi concorda sull’importanza che, per un fumettista, riveste il rimando anche ad altri media, ma più come momento di formazione personale dell’autore che poi, fattili propri, può trarre da questi uno stimolo nella sua produzione (nel suo caso, in particolare, riconosce l’influenza, come modello, della letteratura giovanile, specie il giallo per ragazzi); Capitan Artiglio, in modo analogo, evidenza la poliedricità di riferimenti a cui si è ispirato, sempre in modo non strettamente derivativo, da Andrea Pazienza a manga ed anime come Akira, ma con un minore influsso diretto dall’ambito extrafumettistico.
Da questo ragionamento si passa facilmente a parlare di un’altra sfida attuale del fumetto, maggiormente recepita forse, per ora, dal fumetto seriale, ovvero la crossmedialità tra fumetto ed altri media. Le posizioni sembrano qui, legittimamente, divaricarsi maggiormente nelle singole esperienze personali. Lucia Biagi si dichiara meno interessata a questo tipo di operazione, mentre Capitan Artiglio ammette il suo interesse, magari con uno sviluppo nell’animazione o addirittura nel videogame (come avvenuto di recente, per scopi promozionali, in un titolo come Senzombra); tuttavia non ha per ora avviato alcun progetto concreto al proposito, anche per l’esordio ancora recente. Ferraris, invece, sta attivamente lavorando a progetti crossmediali basati sui suoi fumetti, per cui si sta pensando concretamente a una trasposizione in ambito filmico.
Camillo Bosco, seppur ancora convinto della necessità di creare una classificazione delle voghe dei fumetti che superi il mero genere o la loro collocazione distributiva, accetta la legittima volontà di creazione irriflessa degli autori presenti nel combattere definizioni che non si sentono proprie, stabilendo essi piuttosto influenze e ascendenze di stile e modalità comunicative. Tira quindi le fila dell’interessante discussione evidenziando come la sempre maggiore centralità dell’autore faccia emergere tre grandi modelli nell’ambito del fumetto italiano: quello di Hugo Pratt, più legato all’ambito del “fumetto d’autore” vero e proprio, in cui al centro vi è il romanzo a fumetti; quello di Andrea Pazienza, in cui è l’autore stesso a porsi come il fulcro della comunicazione della sua opera, che spesso è fortemente legata alle sue esperienze personali; e quello di Magnus, giunto al fumetto “autoriale” ma più vicino ancora al fumetto seriale tradizionale.
È stata un’occasione molto interessante di confronto concreto con chi il fumetto lo vive in prima persona, che ha permesso di tracciare una prima riflessione dagli esiti molto aperti ma, comunque, stimolanti. Resta il problema della difficoltà di giungere a categorie in grado di storicizzare – nei limiti ragionevoli – i fenomeni in corso: una carenza di sintesi di cui spesso, non del tutto a torto, è accusata la critica amatoriale, ormai prevalentemente on line. Da un lato emerge la difficoltà di unificare il fenomeno tolto l’aspetto strettamente produttivo di questo ambito in crescita (fumetto “non seriale” e “da libreria”), che forse, più che altro, può essere sintetizzato in una generale crescita del graphic novel o, come personalmente preferisco, del “romanzo a fumetti”. Dall’altro si evidenzia la nuova centralità dell’autore, correttamente evidenziata da Bosco e presentata dagli stessi autori nella loro riflessione attenta e appassionata sulla loro produzione. In ogni caso, un’occasione preziosa di confronto, per cui non ci resta, come Spazio Bianco, che ringraziare gli autori intervenuti per la loro disponibilità, e il festival Cerea! per la sua accoglienza.