Nelle sale italiane dallo scorso 18 febbraio, Zootropolis è il cinquantacinquesimo film realizzato dai Walt Disney Animation Studios.
Dopo un 2015 senza nessun prodotto del principale studio d’animazione disneyano a causa di una doppia razione di pellicole Pixar e dello slot dicembrino occupato dal nuovo capitolo di Star Wars, gli Studios animati Disney principali hanno programmato per questo 2016 ben due film, il primo dei quali si configura come una piacevole commedia gialla con protagonisti animali antropomorfi che ha come punti di forza la costruzione di mondi e l’importante messaggio che vuole trasmettere.
Il percorso Disney
Il percorso dei film animati Disney degli ultimi anni è senz’altro interessante, e fornisce una base produttiva e concettuale ideale sulla quale Zootropolis è andato ad innestarsi.
Quando nel 2009 si parlava, in occasione dell’uscita di La principessa e il ranocchio, di una rinascita disneyana dopo un periodo di incertezze e di scarso successo al botteghino, si sarebbe difficilmente potuto immaginare quanto sarebbe accaduto negli anni successivi.
Nonostante risultati comunque di tutto rispetto, il film che doveva segnare il grande ritorno dell’animazione tradizionale non soddisfò le aspettative della dirigenza in quanto a ritorni economici, e così, a parte il delizioso film dedicato a Winnie the Pooh (ad oggi canto del cigno dell’animazione a mano in Disney), la Casa del Topo investì sullo sviluppo della Computer Generated Imagery (CGI) cercando però di utilizzarla in maniera da renderla sempre più simile al feeling della classica animazione disneyana.
Non solo: a livello narrativo fu deciso di portare avanti una varietà di generi e situazioni che alterna pellicole fiabesche come Rapunzel e Frozen a prodotti che lambiscono altri territori, come l’omaggio ai videogiochi Ralph Spaccatutto o il lato supereroistico di Big Hero 6.
La contaminazione di generi nei film di questi anni è avvenuta con maggior cura rispetto a quanto accadde agli inizi degli anni 2000, quando Classici atipici come Atlantis o Mucche alla riscossa non riuscirono a ottenere buoni risultati.
Zootropolis arriva quindi dopo una striscia positiva sia come incassi che come accoglienza da parte della critica, seguendo una formula che preserva la componente del “cuore” disneyano in ogni tipologia di storia raccontata.
Indagine su cittadini al di sopra di ogni sospetto (?)
Zootropolis è sostanzialmente un giallo.
La protagonista è Judy Hopps, prima coniglietta a diventare poliziotto in un mondo in cui solitamente solo le razze più forti possono ricoprire tale ruolo. Anche se relegata dal proprio capo al ruolo di ausiliario del traffico Judy si trova presto invischiata in un’indagine più grande di lei relativa a delle persone scomparse; l’incontro con Nick Wilde, volpe che si dedica a piccole truffe per sopravvivere che Judy incastra per farsi aiutare nel caso si rivela determinante per la risoluzione dell’indagine e per l’affermazione dell’identità di Judy.
La trama non risulta particolarmente complessa: il giallo in sé viene esposto in maniera chiara e lineare e la ricostruzione di quanto avvenuto ai numerosi individui scomparsi è sempre raccontata in maniera sapiente per permettere di ricostruire le dinamiche. Una pulizia narrativa certamente apprezzabile perché il film possa essere fruito con soddisfazione anche dai più piccoli, ma che gioca bene le sue carte nel non rendere immediatamente riconoscibile il colpevole della vicenda anche agli spettatori più smaliziati.
La forza della storia però non sta tanto nella detective story, quanto nella caratterizzazione dei personaggi e nell’esplorazione della città di Zootropolis.
Judy è sostanzialmente una coniglietta di campagna piena di fiducia verso il progresso culturale raggiunto dagli animali e convinta che anche una outsider come lei possa seguire il suo sogno e diventare qualcosa di diverso da quanto la società sembra suggerirle.
Nick, di contro, è un nichilista sarcastico: ha sempre vissuto nella metropoli e ne conosce fin troppo bene le regole.
L’incontro di due visioni opposte non è certo inedito, ma viene gestito in maniera arguta dagli sceneggiatori che lavorano bene sulle personalità dei due animali rendendo così naturale e credibile l’evoluzione caratteriale che entrambi raggiungono durante lo sviluppo della trama.
Per quanto riguarda la città, l’idea di dividerla in quartieri caratterizzati da microclimi e aspetti tipici dell’habitat naturale delle specie che ci abitano risulta vincente e visionaria, offrendo al pubblico una grande varietà di setting. laddove, solitamente, una città risulta invece molto meno variopinta dal punto di vista delle ambientazioni e dell’estetica.
La città immaginifica
L’architettura di Zootropolis è certamente uno dei pregi principali del film.
Il Distretto Foresta Pluviale, quello ghiacciato di Tundra Town e quello arido di Sahara Square (fra gli altri) sono tutte ambientazioni distinte, veri e propri quartieri pensati per accogliere le specie animali più disparate. Anche il paesello di provincia Bunny Borrows in cui abita la protagonista prima di trasferirsi nella metropoli riesce a comunicare un’atmosfera campagnola grazie all’aria bucolica e ai colori che virano verso il giallo e l’azzurro accesi.
La scena in cui Judy percorre in treno la città è un trionfo di estetica e di virtuosismi animati: una carrellata in cui possiamo ammirare gran parte di questo mondo creato dagli artisti di Burbank, notando le differenze tra una zona e l’altra e soffermandoci sulla cura con cui ogni spazio è stato caratterizzato.
Nel corso dell’indagine i nostri protagonisti si recano poi personalmente in alcuni di questi quartieri, dandoci così l’opportunità di osservare più da vicino la conformazione di ogni ambiente: dagli sfondi ai più piccoli dettagli.
La CGI viene usata al meglio, confermando ancora una volta come gli sforzi della divisione tecnica rendano l’animazione computerizzata dei Walt Disney Animation Studios la più innovativa e ricercata del coevo panorama produttivo.
Per quanto gli sfondi possano sembrare fotorealistici come nelle pellicole Pixar, Dreamworks e Sony, basta soffermarsi su dettagli come ponti, alberi o altri oggetti per vedere come l’attitudine al feeling del disegno a matita resti palpabile, per quanto rimanga sicuramente più evidente nell’animazione dei personaggi che richiamano fortemente i loro modelli in 2D. Alcune finezze come il nasino di Judy che si arriccia o certe espressioni di Nick, del resto, mostrano bene l’approccio all’animazione dei personaggi da parte degli animatori.
A Zootropolis ognuno è ciò che vuole
Il nome originale della città (e del film), Zootopia, rende assai meglio l’idea alla base del film e quella che viene visualizzata è una vera e propria utopia, resa però concretamente: far convivere diverse specie di animali in una società civilizzata, senza che predatori e prede siano in lotta e superando quindi i propri istinti primordiali.
Ma, come ci si accorge seguendo lo svolgimento del caso, c’è sempre qualcuno interessato a sovvertire una situazione in cui la diversità non è vista come un problema e che fa leva sull’atavica paura del diverso, mai davvero sopita ma solo nascosta sotto il tappeto per trarne vantaggi di qualche tipo.
Il messaggio di cui si fa portatore il film non è quindi solo un inno all’integrazione, ma un ammonimento verso chi avrebbe interesse a minare quello stato di cose fomentando rabbia e paura, mostrando che una situazione in cui la diversità rappresenta un valore e un arricchimento piuttosto che uno spettro da scacciare dovrebbe essere quella più normale e civile.
La metafora animale nel complesso funziona molto bene in tal senso e la tematica viene trasmessa in modo ancora più convincente andando nello specifico della storia dei due protagonisti che, pur appartenenti a due specie storicamente avversarie, hanno creato un rapporto amicale forte e inaspettato, che riesce a superare anche un momento di crisi: Judy e Nick sono entrambi degli emarginati, anche se in modi opposti.
Zootropolis si fa però portatore anche di un altro messaggio, ben calato nella contemporaneità anche se forse più banale per la sua presenza pressoché costante nella filmografia Disney, su cui insiste anche la canzone di Shakira che fa da colonna sonora: quello che siamo e che diventiamo dipende da noi e da ciò che scegliamo di essere, non dal nostro retaggio, e il mondo offre molti posti in cui non mancano le opportunità per costruirsi la propria identità.
Voci animalesche
Una nota sul doppiaggio italiano: inizialmente la vasta presenza dei cosiddetti “talent” (vale a dire vip che non sono doppiatori professionisti ma che vengono scelti in virtù della loro fama) poteva far temere il peggio, ma in realtà il rischio è stato arginato riservando a persone come Frank Matano, Paolo Ruffini, Teresa Mannino e Nicola Savino dei ruoli da comprimari, che si sentono quindi per poche manciate di scene.
Pur rimanendo una scelta poco lodevole e volta ad attirare l’attenzione del pubblico su elementi secondari rispetto al cuore del film, arginarne la presenza in questo modo rende il risultato finale più accettabile, anche se in quei pochi minuti si notano comunque le stonature prodotte da certe inflessioni regionali davvero evitabili.
Altri nomi illustri come Leo Gullotta e Massimo Lopez, pur doppiando anche loro personaggi con screen-time risicato, forti delle loro precedenti esperienze di doppiaggio forniscono prove convincenti.
Spiccano comunque le voci dei due protagonisti: Alessandro Quarta (voce italiana di Topolino, Zach Braff, Ethan Hawke e Stephen Graham) caratterizza in modo riuscito l’intonazione melliflua, scanzonata e scafata di Nick Wilde, e Ilaria Latini (voce italiana di Amy Adams, Anna Faris, Ashley Green e Hayley Hatwell, nonché di Titti in Space Jam e in Looney Tunes back in action) non è da meno, riempiendo le corde vocali di Judy Hopps di gioia, speranza e ottimismo.
Saluti da Zootropolis
Sulle prime apparentemente meno rilevante rispetto ai film con protagonisti umani degli ultimi anni, Zootropolis si rivela invece una pellicola importante nell’ottica di diversificazione che interessa i Walt Disney Animation Studios e di cui si accennava all’inizio, con animazione ai massimi livelli qualitativi e con una trama solida e dal forte messaggio.
Il difetto maggiore che si può riscontrare è che la complessità di questa ambientazione è tale che non si esaurisce minimamente nell’ora e tre quarti di durata, finendo per sacrificare molti setting che sarebbero sicuramente stati interessanti da esplorare.
Inoltre, la morale sul “seguire i propri sogni” rischia di essere avvertita come abusata per quanto inserita coerentemente con il costrutto globale del film.
Per quanto riguarda invece i personaggi, alcuni comprimari risultano forse un po’ “schiacciati” dell’evoluzione della trama, e almeno un caso (il boss mafioso) la velocità con cui viene liquidato pesa un po’.
Infine, la tematica della discriminazione razziale appare leggermente sbilanciata tra Judy e Nick laddove il secondo viene emarginato perché persona da cui diffidare mentre la prima deve semplicemente fare più fatica di altri per ottenere il posto di lavoro che sogna, rendendo forse meno graffiante la metafora.
Nel complesso Zootropolis è un film decisamente valido, con una comicità garbata al servizio di una storia e di un messaggio vincenti.
Abbiamo parlato di:
Zootropolis
Regia di Byron Howard e Rich Moore
Sceneggiatura di Jared Bush e Phil Johnston
Walt Disney Animation Studios, 18 febbraio 2016
108 minuti, animazione in CGI